ROMA

Taxiwriter 16. Risvegli

Tra una corsa e l’altra alla guida del suo mezzo, Andrea Panzironi riflette, discute e osserva gli angoli di città in cui la storia ha lasciato delle tracce. Il sedicesimo racconto per dinamopress

“Che fai ? Non vuoi farmi salire ?”. Una voce di donna mi coglie di sorpresa, alle spalle, mentre sto per richiudere il portellone posteriore dell’auto che avevo aperto per scaricare i bagagli dei clienti da poco scesi all’ingresso dello Sheraton Hotel dell’ Eur. Mi volto e trovo davanti a me una donna di colore, alta, con le spalle ampie, con un sorriso bianco e lucente come il miglior marmo di Carrara. Vicino a lei un trolley debitamente proporzionato alla sua stazza. Riesco ad accennare una risposta: “Si, no…certo. Prego, non l’avevo vista …”. Continuando a sorridere la donna apre lo sportello posteriore e sale, lasciando il suo enorme bagaglio lì dove era. Afferro la maniglia del trolley trascinandolo più vicino al bagagliaio. Lo sollevo, vacillo per il peso ma con un ulteriore spinta riesco a catapultarlo dentro. Richiudo il bagagliaio e salgo al posto di guida.

Il sole del primo pomeriggio è ancora forte, nonostante sia ormai autunno inoltrato. L’abitacolo è caldo. Faccio scorrere in basso i finestrini anteriori. Avvio l’auto e chiedo la destinazione della corsa. La donna dice “Termini , devo prendere un treno tra mezz’ora..”. Penso che mezz’ora è un tempo ristretto per raggiungere la stazione. Come al solito i clienti la fanno sempre facile, non sanno del traffico caotico ed imprevedibile della città eterna, soprattutto gli stranieri come questa donna, penso storcendo un po’la bocca. Nel frattempo avvio il CD ed il mio amico Claudio Filippini fa scorrere le sue magiche dita sulla tastiera del pianoforte e le note lievi e gioiose della sua musica riempiono l’interno dell’auto. “That’s All Is Jazz!”, esclama la donna quasi saltando sul sedile. Parla molto bene italiano con un tono della voce ed un accento newyorkese che mi precipitano, come preso dal turbine di un’onda sonora possente, tra i grattacieli di Manhattan.

Guardo nello specchietto e osservo meglio il volto ridente della donna. Mi appare come un puzzle fantasmagorico composto dai volti di Tina Turner, Amy Winehouse e Nina Simone. Ed infatti, forza della musica, la donna accenna a cantare brevi frasi di una canzone. Poi pian piano fa scemare la sua bellissima voce. Mi sorride, contraccambio il sorriso. “Chi è che suona ?”, mi chiede. Rispondo dicendole che è il disco di in mio amico pianista jazz. Lei gli fa i complimenti e continua dicendomi che è stata una cantante da giovane, proveniente da una famiglia di musicisti e
che come a volte accade, per conflitto verso il padre, smise. Ora scrive. Vive da molti anni in Italia, prima a Milano ed ora a Verona. Preferisce, nonostante le sue origini, le piccole città, che sono più a “misura d’anima”, mi dice. La mia curiosità cresce con l’andare della conversazione e dell’andatura nel traffico della Cristoforo Colombo. Cerco di indagare sulla materia dei suoi libri e la donna mi racconta di come è diventata scrittrice e dei motivi profondi che l’hanno portata a farlo. “Risvegli, abbiamo tutti bisogno di essere risvegliati!”, afferma con decisione.

Dai suoi occhi di un colore indefinito, cangianti a causa dalle diverse angolazioni dei raggi del sole che velocemente inclina verso il tramonto, si riesce a scorgere la scia di una energia interiore molto forte, quella alimentata dalla convinzione rigeneratrice di coloro i quali hanno la percezione di aver capito. Cerco di fare domande per poterla collocare: Personal trainer? Psicoanalista? Yogi? New Ager? Psicologa motivazionale? Nessuna di queste figure, oppure altre, le appartengono, mi dice chiaramente. Con la forza degli argomenti, che spesso condivido annuendo, arriva ad una conclusione apparentemente sorprendente: l’anarchia è l’unica via di salvezza oggi. La guardo inizialmente perplesso, mentre una processione di seguaci di una Madonna Nera interrompe il flusso del traffico all’imbocco di Via Merulana con piazza San Giovanni. Con una manovra repentina facendo mulinare le braccia, riesco a divincolarmi dal groviglio di auto bloccate. Prendo per via dei SS Quattro e scendo verso il Colosseo. Lei mi
ringrazia, temendo di perdere il treno. Abbiamo ancora dieci minuti di tempo per raggiungere la stazione. Continuando la conversazione la incalzo sul concetto di anarchia. Mi sembra una posizione politica ormai fuori dal tempo, le dico. “E invece no! Dobbiamo tutti uscire fuori dal sistema, rallentare e riprenderci la nostra propria vita!”, afferma decisa. “Vedi, guarda cosa c’è intorno a noi. Solo caos, stress, gente che corre di qua e di là, spesso senza sapere la vera ragione per la quale tutti si dannano l’anima. Noi tutti dobbiamo disobbedire a questo sistema fasullo, ognuno si deve riprendere il suo tempo. Vivere ognuno secondo la sua personale visione di vita”, conclude guardando l’orologio con una certa ansia.

Termini sembra una meta irraggiungibile, il traffico in via Cavour ci sbarra la strada. “Mi spiace, ma credo che non arriveremo in tempo per il treno”, le dico con tono dispiaciuto. Lei si lascia andare sul sedile, sorride. “Tranquillo, il treno parte tra mezz’ora”, mi risponde sempre sorridendo. “Ah , ma non era in partenza adesso?”, controbatto. “Ah, no! Scusa , questo è un mio metodo per arrivare in tempo in ogni occasione. Anticipo sempre di mezz’ora gli
appuntamenti” mi risponde. Altro che anarchia. Questa si chiama paraculaggine, affermo tra me e me. Finalmente il groviglio di lamiere si scioglie ed arriviamo alla stazione in pochi minuti. Accosto sotto la pensilina, scendo ed apro il bagagliaio. Con lo stesso sforzo di prima tiro fuori il bagaglio. Lei si avvicina e mi paga lasciandomi una congrua mancia. Afferra con una mano la maniglia del grosso trolley e con l’altra mano mi porge il saluto. Gliela stringo sorridendo. E aggiungo: “E se in questi tempi caotici di mancati appuntamenti l’anarchia fosse semplicemente essere sempre in anticipo?”. Lei mi guarda aggrottando le ciglia, soppesando le mie parole. “Ecco, bravo! Sei uno
che si è risvegliato!”, esclama, e alzando la mano si volta e si avvia all’ingresso. Chissà perché, mentre la vedo scomparire tra la moltitudine dei passeggeri, uno sbadiglio lento e lunghissimo improvvisamente mi fa spalancare la bocca fino a farmi lacrimare. Salgo nel taxi avviandomi deciso verso il bar di via Nazionale. Sento il bisogno urgente di un caffè ristretto.

Foto di Marisa Dipasquale