MONDO

Che succede sulla sponda africana?

«Guardiamoci però dalla tentazione di aiutare i libici “a casa loro”, perché la gestione dell’accoglienza dopo il sacrosanto salvataggio e il problema dell’integrazione, qualunque cosa ciò significhi, sono tutti “a casa nostra” e tutta nostra è la barbarie del diffuso razzismo»

Il “mite” Serraj (definizione del suo sponsor “Repubblica”), cioè il capo dei torturatori e tagliagole della Tripolitania, tenta di resistere al degno compare cirenaico Haftar, ma la guerra è ormai nei sobborghi di Tripoli. L’invito della Croce Rossa a una tregua umanitaria è caduto nel vuoto e gli Usa hanno “temporaneamente” cominciato a ritirare il loro contingente. Anche l’Eni sta evacuando il personale.

Il trionfo di Macron, di egiziani e sauditi è evidente quanto la disfatta di tutta la strategia italiana – da Minniti (ricordate gli accordi con i “sindaci“ ovvero i capibanda locali?) a Salvini, preoccupato solo di bloccare le Ong e i porti senza badare a cosa succedeva nei luoghi di partenza, a Conte che ha flirtato tardivamente con Haftar e ha spacciato il convegno di Palermo come una grande vittoria, mentre era soltanto un espediente di Haftar per prendere tempo.

Anche l’illusione del governo Gentiloni allora e di Gentiloni oggi, di giocare la carta americana contro Macron è sfumata subito perché Trump tutto vuole tranne che cavare le castagne dal fuoco per l’Europa e ha subito ritirato le truppe. Un nuovo nefasto interventismo stile 2011 o stile Niger sembra scongiurato. La Total ha messo gli stivali per terra e saranno guai per l’Eni e altri interessi italiani in loco. Guardiamoci però dalla tentazione di aiutare i libici “a casa loro”, perché la gestione dell’accoglienza dopo il sacrosanto salvataggio e il problema dell’integrazione, qualunque cosa ciò significhi, sono tutti “a casa nostra” e tutta nostra è la barbarie del diffuso razzismo.

Se si pensa che fino a ieri, contro il parere dell’Onu e della Commissione europea, Salvini ha giustificato la chiusura dei porti con la pretesa che la Libia fosse un “posto sicuro”, possiamo misurare quanto il crollo o la paralisi del governo Serraj costituisca un colpo mortale a tutta la strategia dei respingimenti in mare – strategia della Bestia, sì, ma condivisa dal governo Conte e dal M5S fino all’autodenuncia in correità nel caso Diciotti e successivi. Sconfitta morale e politica, anche indipendentemente dal fatto se e in quale misura riprenderanno le partenze in seguito alla dissoluzione dell’amministrazione di Tripoli e della sua mitica Sar.

Le cose ultimamente non vanno troppo bene per Salvini. Da una parte per la sua crescente difficoltà a sfruttare il declino dei 5S per imporre elezioni anticipate e prendersi anche la guida formale del governo (e quindi la responsabilità per dolorose misure economiche ormai imminenti); dall’altra perché è andato a sbattere contro i due più significativi momenti di resistenza organizzata alle sue scelte. Cioè con il movimento delle donne, sfidato con poco successo a Verona, e con l’operazione Mediterranea, che sta mettendo in imbarazzo la sua scellerata offensiva contro le Ong e i profughi per mare.

Dobbiamo riflettere sul fatto che l’oltranzismo della Lega e la balbettante complicità di un sempre più perplesso M5S hanno suscitato o incrementato per risposta due movimenti non re-attivi che oggi stanno riconfigurando il panorama altrimenti friabile dell’opposizione di sinistra.

La Bestia può essere intralciata e sconfitta. Questa è la notizia e questa è la lezione di questi giorni.