MONDO

Incarcerati i rifugiati in protesta a Tripoli. «Non possiamo restare in silenzio»

Il presidio di richiedenti asilo a Tripoli davanti alla sede dell’Unhcr è stato sgomberato violentemente. Nessuna dichiarazione da parte dell’Europa se non il rinnovo degli accordi con il paese. 600 migranti sono detenuti nel carcere di Ain Zara in condizioni disumane e senza protezione

«Quanto accaduto dimostra, ancora una volta, come in Libia tutti i migranti siano soggetti a detenzioni casuali e arbitrarie, perfino chi chiede protezione e trattamenti in linea con il diritto umanitario», dichiara Ellen van der Velden, direttore delle operazioni di MSF nel comunicato stampa sulle operazioni militari avvenutedavanti alla sede dell’Unhcr di Tripoli nella notte tra il nove e il dieci gennaio 2022.

«Succede ora. Forze militari e di polizia sono state dispiegate al Cdc, c’è il caos e le milizie cercano di portare via tutti nei centri di detenzione», si legge quella sera sul profilo Twitter di Refugees In Libya, che a distanza di poco corregge il tweet specificando che la situazione si sta trasformando in un massacro tra spari di pistola e tende in fiamme. A essere coinvolto nelle operazioni di polizia anche l’ufficio di registrazione dell’Unhcr da dove sono stati prelevati un centinaio di rifugiati.

Da ottobre 2021 a presidiare l’ingresso della sede dell’alto commissariato per le Nazioni Unite per i rifugiati di Tripoli ci sono, appunto, i rifugiati che denunciano le ricorrenti e riconosciute violenze nel paese e chiedono di essere trasferiti in un luogo più sicuro, l’abolizione dei finanziamenti alla guardia costiera libica e la chiusura dei centri di detenzione.

«Qui abbiamo capito che non avevamo altra scelta che auto-organizzarci», riporta il manifesto redatto dai migranti a seguito dell’ennesimo rastrellamento avvenuto nel quartiere di Gargarish, dove sono stati arrestati e portati nei centri di detenzione circa 5mila migranti. Chi era riuscito a sfuggire alle milizie si era rifugiato nel Community Day Centre (Cdc) dell’Unhcr, che offriva pasti e denaro d’emergenza. Il centro è chiuso da dicembre a seguito dell’aumento del numero di donne e uomini in cerca di protezione.

A oggi il presidio contava un migliaio di persone: donne, uomini, bambine e bambini sono stati portati nella prigione di Ain Zara a 12 chilometri dalla capitale, alcuni riportano ferite da arma da fuoco. Majid Terab ha 25 anni, originario del Sudan, ora si trova in ospedale e sta bene, ma sul lato sinistro del bacino riporta un foro da proiettile. Majid è uno dei leader della protesta pacifica e racconta tramite i canali di Refugees in Libyacome si è svolto lo sgombero: gli agenti hanno dato dieci minuti di tempo ai manifestanti per liberare il luogo senza possibilità di intavolare un dialogo, ma caricando le persone presenti utilizzando la violenza.

Sembra che il via libera per attuare le operazioni di sgombero del presidio sia stato dato da José Sabadell, ambasciatore dell’Unione europea in Libia che a dicembre avrebbe twittato un post in cui si mostrava preoccupato per la situazione al di fuori della sede europea, anche a seguito di tensioni tra manifestanti e delegati Unchr.

L’ambasciatore continuando a cinguettare sui social chiede alle autorità libiche di intervenire ma, nei giorni a seguire, esprime apprensione anche nei confronti dei diritti dei migranti. A poche ore dalle violenze e delle deportazioni di 600 persone Sabadell ha avuto un incontro con il ministro dell’interno libico Khaled Mazen, in cui è stata confermata la cooperazione tra Unione Europea e Libia per il 2022. Un accordo che pare aver già dato i suoi frutti.

100 giorni di protesta in cui i rifugiati chiedono protezione che lo stesso capo missione dell’Unchr Jean Paul Cavalieri dichiara a Il manifesto di non poter garantire, così come le evacuazione per tutti e dunque riportando la necessità di trovare la soluzione in Libia, con lo stesso governo che non riconosce l’Unhcr e non firma la Convenzione di Ginevra del 1951 sulla protezione dei rifugiati.

Europa e Italia pare chiudano gli occhi davanti alle atrocità che si perpetuano in Libia e che non danno cenno di attenuarsi anche grazie ai sostegni economici Italiani per addestrare la guardia costiera libica.

Un finanziamento volto a favorire il lavoro dei militari che si occupano di catturare i migranti dal mare per riportarli nei centri di detenzione dove la sorte è ormai nota a tutti da tempo, tanto che la Cassazione a dicembre 2021 ha stabilito che i rifugiati possano avvalersi del diritto al non respingimento verso un luogo non sicuro per non essere riportati in Libia.

Un finanziamento dedicato a un paese che ha rimandato le elezioni che erano previste il 24 dicembre e tra i cui 98 nomi dei candidati spicca quello di Saif al-Islam Gheddafi, figlio di Muhammar condannato per crimini contro l’umanità insieme ad altri aspiranti che detengono già ruoli di potere.

Nel 2021 sono stati 67.074 i migranti sbarcati sulle coste italiane, circa 2mila persone non sono sopravvissute alla traversata, più di 32mila sono state riportate in Libia, dal 2014 il dato dei dispersi è arrivato a 23.150.

Tutte le immagini dal profilo Twitter di Refugees in Libya