ITALIA

Una storia disonesta. Sullo sgombero dell’Asilo

Intorno alle cinque di mattina di giovedì 7 febbraio Torino ha avuto un brusco risveglio.

Un esercito di mezzi della Polizia di Stato, con tanto di reparti venuti da tutto il Nord Italia, a sirene spiegate, attraversava il centro per dirigersi verso l’Asilo occupato di via Alessandria, per sgomberarlo e arrestare sei persone. In breve tempo, il quartiere si trovava sotto assedio. La polizia formava un perimetro di lampeggianti che da Corso Giulio Cesare si estende ancora oggi fino al lato di Corso Brescia che arriva alla Dora.

La quotidianità è stata sospesa e sostituita da un nuovo ordine militare, e ci inorridisce che nessuno abbia niente da dire su quanto continua ad accadere.

Un imponente dispositivo fatto di camionette, posti di blocco e agenti in divisa e in borghese, impiegato con lo scopo di indurre il panico e procurare allarme. Tutto ciò per sgomberare uno spazio sociale storico, da sempre luogo di resistenza e solidarietà tra i quartieri di Porta Palazzo e Aurora, un’area che, in decenni di norme degradanti e abbandono istituzionale, ha visto mutare la sua identità e la sua quotidianità, venendo investita da una retorica piena di parole catchy: riqualificazione, trasformazione, bonifica. Categorie che servono soltanto a mascherare la crescente mercificazione e speculazione di quella parte di città. Ad Aurora hanno comportato, infatti, un costante aumento degli affitti, l’appropriazione di interi isolati da parte dei capitali privati nonostante l’assenza di servizi pubblici adeguati, arrivando fino alla recente costruzione del polo Lavazza e al tentativo di spostamento del “balonaccio” da Porta Palazzo, al quale in tante e tanti continuano ad opporsi.

Quella che sta avvenendo è una vera e propria “pulizia” del quartiere, fondata sull’espulsione delle categorie sociali indesiderate: le persone povere, quelle straniere e migranti, attraverso un connubio di militarizzazione e investimenti speculativi. È a questi processi che gli spazi sociali si sono da sempre opposti, analizzandoli, monitorandoli e contrastandoli. Lo sgombero dell’Asilo, descritto in questi giorni come un covo sovversivo, non può che essere letto come un ulteriore passo in questa direzione: l’identificazione dei “nemici pubblici” diventa un’autentica caccia alle streghe, utile grimaldello per accelerare la messa a valore del territorio.
In questi giorni, abbiamo sentito la Sindaca Appendino e l’intero 5 Stelle torinese sostenere che un’occupazione fosse la principale ragione delle difficoltà economiche di Aurora e dell’insediamento in quartiere di attività microcriminali. Ma veramente possiamo credere che le contraddizioni che attraversano un quartiere così vivo, multietnico e al tempo stesso problematico possano essere attribuite all’esistenza di uno spazio occupato? Davvero l’amministrazione che su Aurora e altre periferie si è solo riempita la bocca di slogan arraffa consenso, e non ha fatto altro che moltiplicare telecamere, pattuglie e installazioni artistiche ha il coraggio di sostenere una tesi del genere?

È talmente assurdo questo tentativo di ricondurre all’Asilo la difficoltà economica di un quartiere periferico della nostra città, talmente grottesco da mettere bene a nudo la logica con cui la Giunta comunale ha deciso di procedere: l’identificazione di un capro espiatorio, in opposizione al quale legittimare i prossimi interventi di gentrificazione, a favore dei più ricchi e in contrasto ai residenti più poveri del quartiere. Negli anni, abbiamo già visto all’opera questa logica durante i processi farsa per reprimere la lotta No TAV. Ma questo gioco è reso ancora più pericoloso dalla fase politica nazionale che stiamo attraversando, nella quale magistratura e polizia, di fatto aficionados del ministro degli Interni, hanno carta bianca (e portafoglio illimitato) per intervenire contro chi dissente.

Nello specifico, l’operazione giuridica e semantica volta a creare un legame tra la “sovversione dello Stato” e lotta contro gli indegni centri di detenzione per migranti ci sembra l’esempio lampante della sfacciataggine con la quale si svolge questa offensiva. Quando nel dibattito pubblico anche il vincitore del festival di Sanremo diventa il simbolo dell’antirazzismo e dell’opposizione al governo, fa sorridere come negli stessi giorni le persone che si sono attivamente spese per la libertà di movimento e di scelta dei migranti vengano imprigionate e processate con gravi capi d’accusa.

Per quanto riguarda la presunta violenza della mobilitazione di sabato 10 febbraio, ci domandiamo come possa suscitare più indignazione un cassonetto bruciato rispetto alla violenza esercitata quotidianamente dagli apparati di potere sulle persone. Persone, quelle che muoiono cercando di attraversare le frontiere, sotto la neve o in mezzo al mare; poveri e senza tetto; lavoratrici e lavoratori sfruttati/e e precari/e; donne e soggettività non conformi, che oggi si vedono private di diritti guadagnati faticosamente, con lotte lunghe e durissime. È contro questa violenza materiale e simbolica che gli spazi sociali nascono e si affermano, e nessuna presunta “eccezionalità” o “caso specifico” può autorizzare ad intervenire con la forza per sopprimerli.

La caccia alle streghe è poi proseguita nei giorni successivi allo sgombero fino alle scene da far west durante il successivo presidio sotto il comune, ed è giusto ricordare i luoghi e i modi in cui si è svolta. Parliamo di solidali inseguiti, picchiati, accerchiati per ore, fermati sui marciapiede ogni qualvolta provassero a scendere in strada. Gli abusi in divisa sono proseguiti anche su quelli che sono stati definiti “prigionieri”, dando prova della mentalità militare che sottende la gestione dell’ordine pubblico. Persone solidali, arrestate in una folle caccia all’uomo durante il corteo, sono state malmenate per il solo fatto di essere state presenti. Poi sono state tutte rilasciate con l’obbligo di firma quotidiana, che di fatto limiterà la loro libertá e controllerá la loro vita..

Contro le fantasiose ricostruzioni giornalistiche di questi giorni, tese a fare dei “centri sociali” uno strano oggetto di studio, ad alienarli dalla realtà nella quale invece sono ben radicati, non possiamo che ribadire che i veri crimini sono quelli compiuti alla luce del sole da chi si muove protetto da leggi ingiuste, disseminando sofferenza, precarietà e paura. Non intendiamo prestarci alle divisioni strumentali tra buoni e cattivi, spazi desiderabili e spazi indesiderabili. La Giunta pentastellata, e in particolare il suo vice-sindaco Montanari, hanno insistito in questo continuo tentativo di dividere gli spazi sociali della città. Uno di essi viene oggi dato in pasto alla cronaca come il male assoluto di un quartiere, mentre gli altri vengono decantati durante il Consiglio Comunale come importanti esperienze di solidarietà e mutuo soccorso.

Chi siete voi per dire come uno spazio sociale dovrebbe organizzarsi e muoversi? Rifiutiamo, nelle parole e nei fatti, questi goffi tentativi di divisione, frutto di un modello di governance della città confuso, pieno di contraddizioni, regolato dal tentativo di raccogliere consenso un po’ di qui e un po’ di là. Per non farsi mancare nulla, abbiamo inoltre sentito un infame esponente politico locale permettersi di evocare l’episodio della mattanza alla scuola Diaz durante il G8 di Genova come modello di gestione dell’ordine pubblico, mentre il capo della polizia della città interveniva nel dibattito giornalistico vestendo il ruolo di politico fatto e finito. Sono provocazioni, queste, che non possiamo che rispedire al mittente, ai grandi ciceroni di questi giorni: sindaca, questore, ministro degli interni e compagnia cantante.

Davvero chi gestisce l’ordine e la disciplina sperava che tra esperienze nate dal basso non ci fosse un legame più forte delle differenze nell’orizzonte, nelle pratiche e nei percorsi intrapresi? Crediamo di no. Sarebbe stato strano piuttosto il contrario, ovvero se la solidarietà non si fosse messa in moto per difendere uno spazio presente da decenni nella nostra città. Dentro quel corteo, dietro quello striscione, a difendere gli spazi sociali e a lottare contro la gentrificazione selvaggia, c’eravamo tutte e tutti.

Gli spazi sociali non si toccano!

LARRY, SILVIA, NICCO, BEPPE, GIADA, ANTONIO, ANTONELLO, IRENE, GIULIA, FULVIO, GIULIA, CATERINA, MARTINA, CARLO, FRANCESCO E ANDREA LIBERI!

TUTTI LIBERI, LIBERI SUBITO!

 

Foto di copertina di Michele Lapini

Articolo pubblicato su manituana.org