DIRITTI

Siamo inarrestabili! Verso il Roma Pride 2014

Ieri a Roma in tant* siamo andati al Pincio, nel bicentenario dell’arma dei carabinieri per ricordare che siamo inarrestabili! Perché’ inarrestabili attraversiamo Roma e la occupiamo, con i nostri desideri e la favolosità dei nostri corpi!

Verso il pride del 7 giugno, tutt* in piazza!

Siamo froci/e, lesbiche, trans, intersex, bisessuali, puttane, femministe, queer, migranti, terrone, camioniste, shampiste, sfrante, passive, effeminate, ciccione, senzatetto, fannullone, precarie.

Siamo quelle che non si riconoscono nel Pride del glamour, del fashion, della fortezza-Europa come modello, delle famiglie del Mulino arcobaleno.

Il Pride è però da sempre uno spazio politico non omogeneo: è per questo che, infilandoci nelle pieghe delle sue contraddizioni, ce lo vogliamo riprendere con la favolosità dei nostri corpi fuori norma, per urlare che Siamo Inarrestabili.

Inarrestabile è la nostra critica alle istituzioni che ci governano in ogni aspetto della vita. Inarrestabili sono le nostre pratiche politiche, la nostra voglia di prenderci spazi di liberazione e socialità non- mercificata, dove vivere le nostre vite libere dalla violenza e dalle Norme.

Inarrestabile è il conflitto contro chi ci criminalizza e ci sgombera, e che oggi col decreto Lupi che mira a rendere la vita impossibile a chi occupa e libera spazi – ha un’arma in più.

Inarrestabile è la lotta contro la precarietà a vita, quella che a colpi di decreti si abbatte sulle nostre esistenze, quella sancita dal Decreto Poletti. Noi abbiamo imparato a volare e non c’è Jobs Act che possa farci dimenticare come si fa. Inarrestabile è il conflitto contro chi ci vuole patologizzate e medicalizzate per la sfida che portiamo ai meccanismi di addomesticamento delle eccedenze.

Siamo inarrestabili nel realizzare la città che vogliamo, una città in cui le strade sicure le fanno le soggettività che le attraversano quotidianamente e non poliziotti e telecamere; una città in cui i nostri desideri si realizzano negli spazi che liberiamo dall’etero-sessismo, dal razzismo, dalla transfobia e che strappiamo alla speculazione e alla privatizzazione.

Alla speculazione e alla privatizzazione strappiamo anche i nostri corpi messi a profitto tanto nel recinto di un village, dove i nostri desideri sono commercializzati, quanto sul posto di lavoro (per chi riesce a trovarlo!).

Le politiche di diversity management non ci ingannano: sappiamo bene che servono solo a renderci più docili e produttive. La valorizzazione delle nostre “capacità relazionali femminili” o della nostra “creatività frocia” così come la concessione, in alcuni posti di lavoro, di quei diritti minimi che – in uno Stato omofobo – appaiono come storiche conquiste, non ci fanno dimenticare lo sfruttamento a cui siamo sottoposte: siamo consapevoli che si tratta di sistemi per fidelizzarci che servono solo a sfruttarci meglio, a generare profitto dai nostri bisogni. Per questo motivo portiamo conflitto dentro e contro il lavoro precarizzato, non abbiamo bisogno del Jobs Act ma di un welfare inclusivo e non familistico che risponda ai nostri reali bisogni senza incanalarci in modelli normativi che non ci appartengono.

In questo contesto, diritti come quello del matrimonio – ancora negati da uno stato omofobo e conservatore – rischiano di portare ad una sola uguaglianza formale, priva di benefici sostanziali. Con il progressivo smantellamento dello stato sociale, infatti, l’unico riconoscimento che si rischia di avere sarà quello pubblico e perbenista delle nostre unioni affettive. Ma i nostri desideri e le nostre affettività non hanno bisogno di essere normate per essere riconosciute. Il nostro welfare guarda alla soggettività e non alle coppie: vogliamo i mezzi per vivere liberamente le nostre vite e costruire le nostre relazioni perverse e polimorfe, vogliamo reddito per autodeterminarci e sfuggire ai ricatti della famiglia e del lavoro.

I diritti che da anni attendiamo non sono solo quelli colorati di rosa. Il nostro sguardo e’ inarrestabile e guardiamo alle realtà inserendole in un quadro più complesso e più complessivo. Non esistono diritti LGBTQ, soprattutto se dietro il loro avanzamento si nascondono vecchie e nuove violazioni della dignità umana, politiche razziste e limitazioni all’autodeterminazione di qualcuno. Nessun* è liber* se non siamo tutt* liber*.

Per questo costruiamo conflitto contro tutte le politiche di controllo sulle nostre vite e sui nostri corpi: quelle che vorrebbero costringerci dentro le gabbie del maschile e del femminile a costo di intervenire senza il nostro consenso. Questo avviene oggi ai bambini intersex/DSD che subiscono troppo spesso invasivi interventi farmacologici e chirurgici puramente estetici, basati esclusivamente sulla necessità di adattare i loro corpi all’immagine che ci si aspetta debbano avere un corpo maschile o femminile. Anche alle persone trans*, per poter accedere alla necessaria riattribuzione anagrafica vengono imposte operazioni a cui non tutt* vogliono o possono sottoporsi. Per questo appoggiamo la campagna del MIT “Un altro genere è possibile” e il disegno di legge 405. D’altra parte alle persone trans, per poter accedere alle operazioni e alle tecnologie mediche a cui scelgono di ricorrere per autodeterminare il proprio corpo, viene imposta una diagnosi psichiatrica. Siamo contro la patologizzazione dell’esperienza trans! Il sistema sanitario nazionale deve fornire gratuitamente l’accesso a queste prestazioni come a tutte le altre prestazioni sanitarie che stanno subendo i tagli determinati dalle politiche di austerità.

Noi sappiamo che diritto alla salute vuol dire accesso gratuito e garantito alle prestazioni sanitarie e alle tecnologie mediche delle quali abbiamo bisogno per sentirci bene, autodeterminarci, vivere liberamente il nostro corpo. Il nostro benessere non si taglia, vogliamo che sia garantita (e finanziata) la favolosità dei nostri corpi, sui quali nessuno deve fare obiezioni. Non ci scordiamo che è proprio l’obiezione di coscienza ormai dilagante che sta silenziosamente smantellando e svuotando la legge 194 che dovrebbe garantire la possibilità di abortire. Ed è ancora l’obiezione dilagante che rende difficoltoso l’accesso alla contraccezione di emergenza.

Non ci sfugge che dietro tutte queste politiche c’è la volontà di costringerci dentro ruoli di genere normativi che si nutrono di quella stessa eteronormatività che comprime le nostre vite e scrive il palinsesto omolesbotransfobico delle politiche pubbliche.

Il nostro Pride è inarrestabile, perché Inarrestabile era lo spirito delle frocie dello Stonewall Inn e orgogliose come le travestite che si opposero alla violenza e ai soprusi della polizia cantiamo:

Siamo le ragazze di Stonewall

Portiamo i capelli con i boccoli

Non portiamo le mutande

Mostriamo i peli pubici

Siamo le regine del villaggio

Froci/e fuori norma

QueerLab

Degender Communia

Communia

Infosex / ESC

Lucha y Siesta

Link

per adesioni commentate e/o inviate un’e-mail a queerlab@gmail.com