ITALIA

La scuola torna in piazza

Dal 24 al 26 settembre in piazza per tre giorni di mobilitazione rivendicando investimenti strutturali in personale e strutture. E soprattutto, riaffermare la scuola come spazio di apprendimento e relazione aperto a tutta la società

La scuola pubblica dovrebbe essere aperta dal 14 settembre, anche se ha dovuto chiudere per le elezioni referendarie e regionali, anche se alcune regioni avevano già deciso di riaprire il 24 settembre, anche se molte scuole utilizzano ancora la didattica a distanza, anche se mancano spazi, personale e le regole continuano a essere molto, troppo, confuse. Purtroppo, oggi, sono le frasi avversative e ipotetiche quelle che descrivono meglio il mondo della scuola. Un mondo confuso, stanco, un po’ perso tra regolamenti e ordinanze. Ma anche in subbuglio.

Dalla scorsa primavera, infatti, genitori, insegnanti e studenti stanno costruendo assemblee, momenti di incontro e giornate di mobilitazione per richiedere la riapertura in sicurezza, la garanzia del servizio, investimenti in personale e strutture. E dopo questa riapertura a singhiozzo, il mondo della scuola torna in piazza per ribadire che la «scuola è aperta a tutti», così come recita l’articolo 34 della Costituzione.

A seguito delle mobilitazioni di maggio e giugno, che hanno coinvolto più di sessanta città in tutta Italia, il 26 settembre Priorità alla Scuola ha indetto una manifestazione nazionale a Roma, dove si prevede una partecipazione ampia e nazionale di tutte le componenti della scuola.

Come scrive il comitato: «Il diritto allo studio deve essere garantito a tutt* in ugual misura: dall’asilo all’università. Senza scuola non ci sono diritti. Purtroppo, durante la pandemia, come ampiamente verificato, la didattica a distanza ha penalizzato migliaia di bambin* e ragazz*, aumentando le disuguaglianze sociali, economiche e culturali». Questa manifestazione è stata preceduta da due giorni di sciopero della Scuola e dei Servizi educativi e scolastici proclamati dall’Unione Sindacale di Base con Unicobas, Cobas Sardegna e Cub, e da diversi presidi e flash mob studenteschi.

 

 

«La riapertura della scuola in tempo di pandemia avrebbe potuto significare un cambio di rotta, la messa al centro di istituzioni della cura e del welfare», scrive Non Una di Meno, che sarà in piazza il 26 settembre, insieme a Priorità alla Scuola «per rivendicare il ruolo della scuola come luogo di educazione all’autodeterminazione, alle differenze dei generi, all’affettività, alla salute». Al contrario questa riapertura tutta in mano alla capacità delle singole scuole di organizzare il servizio sta aumentando l’esclusione e la dispersione scolastica.

La scuola riparte senza nuovi insegnanti e con più di 200mila precari, in attesa del concorso ordinario e straordinario per l’immissione in ruolo di nuovo personale docente e Ata, che comunque non coprirà le necessità di organico. Questo anno, inoltre, una parte del personale verrà assunto grazi ai cosiddetti “contratti Covid”, sulla base dei quali non si avrà accesso nemmeno all’indennità di disoccupazione finito il contratto. Intanto, molte scuole sono ancora senza banchi e non sono in grado di fornire i dispositivi di sicurezza al proprio personale.

 

Per questo, a gran voce si richiede di utilizzare i fondi del Recovery Fund per investimenti strutturali per scuola e ricerca, così da raggiungere la media europea di investimenti sul Pil (5%) e uscire dal lungo periodo di disinvestimento pubblico sui servizi.

 

Questi investimenti dovrebbero riguardare in maniera specifica: l’edilizia scolastica, l’eliminazione definitiva del precariato, l’aumento del personale, il miglioramento delle condizioni lavorative di tutto il personale scolastico e la diminuzione di alunni per classe. Inoltre Priorità alla scuola sottolinea la necessità di aprire un dibattito sulla costruzione di un sistema pubblico dedicato a bambin* dagli 0-6 anni, affinché migliorino le disastrose condizioni lavorative di chi è impiegato in questo settore e la riattivazione della medicina scolastica come pratica di cultura della salute collettiva, anche attraverso la riapertura in ogni istituto della sala medica. Tutto questo in assenza totale di un discorso pubblico sull’università e la ricerca.

Questa riapertura difficile, rischia di lasciare indietro la parte più debole della società, e soprattutto rischia di far ricadere tutto il lavoro di cura tra le mura domestiche quindi sulle spalle delle donne. In un paese come l’Italia dove le donne lavorano poco, vengono pagate meno e svolgono la maggior parte del lavoro domestico non pagato. Madre e maestre, come scrive Lea Melandri. Infatti, il comparto scuola è per l’80% composto da donne, lavoratrici, precarie, sottopagate, il cui ruolo è stato svilito a una funzione di controllo e accudimento.

Per questo, la piazza del 26 settembre, rivendica la scuola come luogo di apprendimento, uno spazio di incontro e di relazione, una responsabilità collettiva e di cui tuttə dovrebbero prendersi cura.