ITALIA

La scuola si mobilita

Mentre ci si affretta a riaprire tutte le attività, il mondo della scuola pubblica rimane nell’incertezza più totale, mostrando inoltre come lo stato di emergenza nel settore scolastico abbia radici ben più lontane dell’attuale pandemia. Per questo, il prossimo weekend sono state lanciate in tutta Italia mobilitazioni e assemblee

La parola d’ordine della fase due sembra essere normalità. Tutto deve riaprire e il prima possibile, anche le stesse attività che ci avevano raccontato “più a rischio”, come parrucchieri ed estetisti. Non riapre, però, la scuola, perché le attività in edifici chiusi e con molte persone rimangono i primi vettori del contagio e si rischia di non garantire condizioni di sicurezza.

Nel mondo della scuola pubblica la confusione è massima, nonostante le ripetute conferenze stampa della Ministra Azzolina. L’anno scolastico verrà concluso a distanza, mentre probabilmente l’esame di maturità sarà in presenza. È stato pubblicato il concorso ordinario e straordinario in piena Fase 1 senza nessuna chiarezza su come e quando verrà svolto. Ma soprattutto mancano completamente delle linee guida chiare e precise per la riapertura a settembre delle scuole. Per questo tutto il comparto scuola è in fermento: gli insegnati, i genitori, il personale ATA, le educatrici ed educatori e tutto quel mondo che ruota intorno ai servizi scolastici ed extrascolastici, esternalizzati, precari, se non in nero.

In questi anni, le scuole italiane sono state sottoposte a un lungo processo di riforme aziendaliste che la Buona Scuola di Renzi ha portato a conclusione inserendo l’alternanza scuola-lavoro obbligatoria, i dirigenti scolastici con “pieni poteri”, la chiamata diretta degli insegnati e una didattica incentrata su obiettivi e merito. Eppure, le scuole italiane sono in perenne mancanza di personale, il sindacato USB-scuola conta che manchino più di 200.000 unità tra insegnanti curricolari e di sostegno, mentre i bandi appena pubblicati coprono un totale di 61.863 in tutto il paese. Gli edifici delle scuole sono vecchi e fatiscenti e le classi sovraffollate. Un insieme di fattori che rendono difficile la messa in sicurezza delle scuole rispetto agli stretti parametri dettati dall’emergenza Covid-19.

 

Questa, però, non è semplicemente una situazione emergenziale dovuta alla pandemia, ma un servizio pubblico che vive in continua emergenza da decenni, con personale sotto-dimensionato, sottopagato ed edifici inadeguati. Per questo, il mondo della scuola è in subbuglio, e seppur a fatica, data l’impossibilità materiale di incontrarsi, sta provando a organizzare delle mobilitazioni.

 

Il primo sciopero è stato indetto il 15 maggio scorso da USB-scuola. E nelle prossime settimane si stanno moltiplicando le assemblee e le iniziative con l’obiettivo di aprire un dibattito sull’educazione pubblica come diritto essenziale e la scuola come spazio di crescita e socializzazione, una necessità non solo per le e i discenti ma per tutto il paese.

Questo sarà un primo weekend di mobilitazione. Sabato 23 maggio, ci saranno le prime piazze in tutta Italia, convocata sotto la sigla “la scuola va aperta”, giornata che nasce dall’appello priorità alla scuola rivolto alla ministra Azzolina scritto da genitori, insegnanti, educatrici/ori e professioniste/i che lavorano nella scuola. Le/i organizzatrici/ori chiedono di garantire il diritto all’istruzione, informazioni chiare, pianificazione della riapertura in sicurezza e investimenti. Ci saranno iniziative in decine di città italiane, che seguiranno le regole vigenti per le manifestazioni, a Roma è previsto un sit-in di fronte al Ministero della Pubblica istruzione.

Mentre domenica 24 maggio, dopo la partecipata assemblea di Non Una di Meno Torino sulla scuola, Non Una di Meno Roma ha convocato “Che fine ha fatto la scuola?” per «mettere a disposizione uno spazio di discussione collettiva» con l’intento di costruire rete tra i diversi percorsi delle comunità educanti che ruotano intorno alla scuola. Come viene sottolineato da Non Una di Meno, bisogna: «scardinare la logica dell’emergenza che cancella la funzione sociale della scuola pubblica e sostituirla con politiche ambiziose», affinché la scuola non sia il vettore per cristallizzare le esistenti diseguaglianze sociali, ma al contrario uno spazio dove costruire nuove politiche di equità e garantire diritti.

 

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