cult

CULT

Right to the City/ Cartografare i conflitti della città che viene

È iniziato ieri a Bologna (fino al 24 giugno) “Right to the City/Diritto alla città”, programma di dieci giornate di processi partecipativi, performance, workshops, incontri, seminari e installazioni all’interno del progetto “Atlas of Transitions”, per riflettere sui processi di esclusione e sui conflitti degli spazi urbani contemporanei. Ma dove al centro non potrà che esserci la questione migratoria e la nuova ondata reazionaria europea

Slavoj Žižek cita spesso nei suoi libri un aneddoto davvero illuminante preso da Antropologia strutturale di Claude Lévi-Strauss, riguardo a un gruppo di nativi dei Grandi Laghi. Divisi in due gruppi sociali –– «quelli che stanno di sopra» e «quelli che stanno di sotto» – quando a qualcuno di loro viene chiesto di disegnare sulla sabbia o su un foglio di carta la mappa del proprio villaggio (la disposizione spaziale delle case) si ottengono due risposte completamente diverse a seconda dell’appartenenza all’uno o all’altro gruppo. Se una delle due tribù rappresenta la mappa della città con due cerchi concentrici, l’altro separa le due tribù in due gruppi contrapposti, divisi da una linea che li mette uno di fronte all’altro. Qual è dunque la reale disposizione della case? Chi dei due ha ragione?

Questa storia ci racconta, tra le altre cose, che una mappa “oggettiva” di un territorio, di una città, di una comunità non esiste, e non perché non esista una verità ultima di come è la realtà, come sostengono i postmoderni liberali, quanto perché questa verità non è altro che il conflitto tra una molteplicità di visioni irriducibili l’una all’altra. Non ci può essere un accordo universale su che cosa sia la rappresentazione di un territorio proprio perché questo non produce mai Uno, nonostante i tentativi di farlo diventare tale da parte di gruppi dominanti. Non esiste una visione della città che possa racchiudere tutti, che possa mettere tutti d’accordo, che possa dare a ognuno il proprio giusto spazio (come invece vorrebbero le culture comunistariste-fasciste).

Nasce dalla consapevolezza di questa natura divisa e antagonistica della città Right to the City/Diritto alla città, programma di dieci giornate, a cura di Piersandra Di Matteo, di processi partecipativi, performance, workshops, incontri, seminari e installazioni iniziato ieri a Bologna e che continuerà fino 24 giugno in vari quartieri della città emiliana (all’interno del progetto Atlas of Transitions, organizzato da Ert – Emilia-Romagna Teatro, in collaborazione con Cantieri Meticci e con il Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia dell’Università di Bologna). Il titolo fa naturalmente il verso al droit à la ville dell’urbanista e sociologo marxista Henri Lefebvre che tra i primi rifletté sull’antagonismo insito nello sviluppo urbano capitalista. Fu lui che teorizzò come non esista espansione della città che non si accompagni a una qualche forma di segregazione economica, sociale, culturale. Ed è proprio guardando a questi processi di deterioramento dello sviluppo urbano delle periferie (geografiche e simboliche) che si può parlare di diritto alla città: cioè, che si può mettere in discussione l’esistenza del territorio come Uno che apparentemente mette insieme tutti, quando in realtà produce linee di gerarchizzazione ed esclusione. Questo vuole dire che lo spazio o lo si racconta dal punto di vista della sua pluralità antagonistica e conflittuale o non lo si capisce. O riusciamo a vedere il conflitto intrinseco ai processi di “mappatura” politica e simbolica della città o la “mappa” (con tutte le sue propaggini istituzionali) diventa strumento consapevole e deliberato di nascondimento, disciplinamento (ma anche messa a valore economica) dei conflitti.

Come  è possibile dunque vedere la città dal punto di vista del diritto alla città? Innanzitutto non mettendosi dall’alto e pensando di usare una prospettiva monolinguistica e fintamente universalista, ma agendo la consapevolezza che oggi nelle città si parlano lingue diverse, si costruiscono immaginari diversi, si hanno diritti di accesso ai beni comuni, ai servizi, al welfare che sono diversi. In Italia è da trent’anni che movimenti e realtà di base di auto-organizzazione di lavoratori e soggettività migranti hanno svelato come il finto universalismo dell’ideologia dell’Uno che formalmente mette insieme tutti ha un nome e un’istituzione: e si chiama cittadinanza. È la cittadinanza che rende accessibile o non accessibile, disponibile o non disponibile diritti, salario, welfare, servizi, e che produce una particolare mappa del potere della città. E dunque per parlare della città dal punto di vista del diritto alla città Right to the City non potrà che mettere al centro una riflessione su questo dispositivo attraverso cui si “disegna” il territorio.

Saranno moltissime le esperienze artistiche e partecipative che proveranno a riflettere sul tema delle soggettività migranti. Anna Raimondo ad esempio, sound artist italiana basata a Bruxelles e attiva in Nord Africa e America Latina, sarà protagonista di un happening radiofonico transgeografico che rifletterà, grazie all’incontro con alcuni bolognesi (Carlos, Hamed, Moussa, Zazà, Lamil, Jasmine, Mazen, Naveed) su cosa voglia dire vivere in condizione di clandestinità il tessuto urbano. Unleashing ghosts from urban darkness [Scatenare i fantasmi dall’oscurità urbana] di Alessandro Carboni utilizzerà invece il corpo come strumento cartografico per analizzare la vita urbana, con le sue trasformazioni, i suoi eventi e i suoi accidenti. La performance, che ha coinvolto ragazzi e ragazze dalla Giordania, Cina, Romania, Ungheria, Bangladesh, Brasile, Spagna, Gambia e Italia, ha prodotto una mappatura corporea di un’area estesa della città dalla periferia al centro. Ma naturalmente, partendo dalla consapevolezza profonda dell’assenza di unità e di pacificazione degli spazi urbani, Right to the City non proporrà soltanto di portare alla visibilità narrazioni viceversa invisibili e nascoste, ma organizzerà anche e soprattutto momenti di interruzione, di sospensione, di apertura dello spazio a possibili antagonismi futuri. Va in questa direzione il lavoro di Taoufiq Izeddiou, uno dei più importanti coreografi e “pensatori” nella scena della danza contemporanea, che con On Marche ha organizzato una performance di danza pubblica (esito di due laboratori che hanno visto coinvolti più di 80 cittadini bolognesi, migranti e richiedenti asilo), che andrà in scena il 23 giugno alle ore 18 in mezzo a via Rizzoli e il 24 giugno alle ore 17 in Piazza dei Colori, e che interromperà per 60 minuti il flusso regolare della vita nella città, rallentando i movimenti, i gesti, lo sguardo e creando una discontinuità nella percezione degli spazi della città.

Ma l’iniziativa prevede anche una serie di incontri, tra cui da segnalare quello con Ada Colau, la sindaca di Barcellona di Barcelona en Comú che è protagonista di una delle esperienze di municipalismo antagonistico più interessanti degli ultimi anni e che negli ultimi mesi si è esposta in prima persona criticando l’ondata reazionaria europea sui diritti dei migranti. Ci sarà anche un incontro sul libro Sconfinate. Terre di confine e storie di frontiera di Emanuele Giordana con Giuliano Battiston, Sandro Mezzadra e Pierluigi Musarò, e uno spazio di riflessione su Genere, corpo e cittadinanza con Simona De Simoni, Francesca Decimo e Elena Vacchelli. In collaborazione con il Biografilm Festival anche una serie di film tra cui Ibi di Andrea Segre, Les Sauteurs di Abou Bakar Sidibé, Moritz Siebert e Estephan Wagner, e Iuventa di Michele Cinque. Quest’ultimo in particolare parla di un’esperienza di drammatica attualità: la storia della Jugend Rettet, ONG fondata a Berlino nel 2016 da un gruppo di ragazzi con un unico, fondamentale obiettivo: inoltrarsi in mare aperto a bordo della nave Iuventa per salvare chi fugge dall’Africa verso l’Europa.

È infatti impossibile oggi in Italia fare una riflessione sui temi della cittadinanza e delle migrazioni, anche solo nel campo delle arti performative, senza ingaggiare in modo più o meno diretto un confronto antagonistico non soltanto con un senso comune ormai sempre più apertamente e svergognatamente razzista, ma anche con un governo che ha deciso di giocare con cinismo la partita della guerra migrazioni per sperimentare in sede europea un nuovo modello di governance che guarda più alle post-democrazie del gruppo di Visegrád che non al modello franco-tedesco. Per riuscire a contrastare una risposta in senso nazionalista e sovranista alla crisi del neoliberismo della UE, partire da delle pratiche partecipative che provano a immaginare degli spazi della socialità urbana nella direzione di un diritto alla città non sarà certo abbastanza, ma è comunque un passo nella direzione giusta.