OPINIONI

Racconto di Natale

Inizia in anticipo il carosello dei candidati al Quirinale e di contraccolpo a Palazzo Chigi. La prima vera mossa la fa Draghi, dichiarandosi “nonno delle istituzioni”, e lo scompiglio è generale

Cosa ci porta babbo natale? Ci porta nonno Mario, che si è reso disponibile per il Quirinale, cioè ci ha detto: prendere o lasciare, o meglio: o mi eleggete di corsa alla prima votazione o vi lascio nelle peste, perché siete un branco di cialtroni, e vi lascio senza le altre tranches del Recovery Plan e con tutte le varianti omicron e peggio. Voglio fare il Presidente e il governo con tutti i pasticci quotidiani se lo prende un altro, beninteso che scelgo e telecomando io in smart working. Con sfumatura immediatista-punk: «L’importante è vivere il presente. Questo governo ha lavorato sul presente, senza chiedersi cosa c’è nel futuro». Eleggetemi e poi si vedrà.

Insomma faccio il Presidente in un regime di fatto semi-presidenzialistico, avete proprio rotto, brutti ingrati smandrappati, e vi canto lo sfogo di Leporello: Notte e giorno faticar /per chi nulla sa gradir; /piova e vento sopportar,/mangiar male e mal dormir…/Voglio far il gentiluomo,/e non voglio più servir./no, no, no, no, no, no,/non voglio più servir!

Questa è la sostanza e così probabilmente andrà a finire. Ma un articolo politico ha l’ingrato compito di definire tutti i passi, analizzare le reazioni e rispondere agli interrogativi che sorgono nell’animo dei lettori. E allora ricominciamo da capo.

L’annuncio di Draghi è sufficientemente chiaro e sorretto da un esplicito ricatto: il problema non è che, se vado sul Colle, rimane scoperto il governo, è che, se non c’è una maggioranza per eleggermi subito, non c’è neppure una maggioranza di governo. Con tutto quanto ne consegue se mi tolgo da entrambe le posizioni. Se mi eleggete, invece, mi impegno, nei limiti del possibile, a non sciogliere le Camere; peones dei 5 stelle e di tutto il mondo, dormite sonni tranquilli fino al 2023!

Reazioni fredde e spiazzamento generale dei partiti, ma non in modo uniforme e non per le stesse ragioni. Ovviamente Berlusconi, che continua a credere di farcela e, senza l’imprevista candidatura di Draghi, calcolava di riuscirci alla quarta votazione (senza maggioranza di due terzi dei voti) e che tuttavia può sempre giocarsi la carta del kingmaker spostandosi a favore di Draghi una volta constatato di essere divisivo e di stare troppo a ridosso del limite minimo di consensi.

(da commons.wikimedia.org)

Spiazzatissima la Lega (che infatti ha guaito lamentosamente), impossibilitata a votare in prima battuta un candidato diverso da Berlusconi e soprattutto ad accettare un Premier meno autorevole di Draghi per restare decentemente al governo lasciando a Meloni tutti i vantaggi dell’opposizione. Magari con l’incubo di una designazione di Giorgetti a successore di Draghi (per quanto improbabile). Salvini – che, al solito, le sbaglia tutte – sperava a un ritiro di Berlusconi dopo le prime votazioni simboliche, ma per trovare un candidato moderato appetibile, intorno a cui ricostruire l’unità del centro-destra senza offrire vantaggi strategici a Forza Italia e tanto meno alla rivale Meloni.

Ma neppure Fratelli d’Italia, che pure aveva sponsorizzato Draghi nella speranza di andare subito alle elezioni, è soddisfatto, vista la sua riluttanza a sciogliere le Camere. Il pranzo-vertice di Villa Bianca ha rinviato tutto a dopo le feste.

Il M5S è spaccato, fra l’odio di Conte per Draghi, che lo ha sbalzato di sella e poi umiliato in tutti i modi fino alle nomine Rai e ai dubbi sul Superbonus, e le speranze dei suoi parlamentari in una proroga fino al 2023 del grattaevinci piovuto dal cielo nel 2018. Per ora si oppone ma il passaggio dall’orgoglio di partito alla rassegnazione, che probabilmente coinvolgerà tutti gli spiazzati di oggi, per ora non si è compiuto.

Tutte le schegge di centro, che speravano di risultare decisive in ballottaggi fra candidati meno qualificati di Draghi, si rendono conto della loro inutilità e mugugnano. Renzi addirittura tace, tenendosi in tasca il suo candidato Casini e fingendo di riflettere visto che non ha più carte per ricattare l’intero consesso elettorale. Di non rischiare il voto anticipato, peraltro, è soddisfatto – visto la botta che prenderebbe con lo scarno 2% attribuitogli dai sondaggi. Per oscuri motivi anche Leu, forse ispirata da D’Alema che preferisce Amato, sembra riluttante. Tutti comunque temono il voto e alla fine potrebbero limitarsi a starnazzare e poi abbozzare.

(da commons.wikimedia.org)

Malgrado le cautele verbali e la delusione dei renziani interni, Letta è intenzionato a proporre ai dem il sostegno a Draghi. Malgrado le persistenti difficoltà a costruire il “campo largo” per i capricci di Conte e di Leu, il Pd continuerebbe a consolidare l’asse istituzionale con Draghi e soprattutto prende tempo, sperando nell’impercettibile crescita dei consensi e nella confusione covidica dei suoi concorrenti. In fin dei conti Letta si trova in una buona situazione tattica. Un Presidente grato e, se si vota subito, riplasma i gruppi parlamentari secondo la propria linea o meglio nell’ubbidienza, visto che la linea non c’è.

Se non si vota meglio, visto che oggi come oggi uscirebbe una maggioranza di centro-destra cui il successo garantirebbe per un paio d’anni sufficiente compattezza.

In conclusione, su una china che inclina verso una Terza Repubblica che ci piace poco Draghi gioca razionalmente le sue carte e altrettanto razionalmente Letta lo sostiene, da subalterno avveduto. Non è però detto che tutto vada liscio e l’emergenza Covid sfugge ai ben elaborati piani del ceto politico. Sfugge anche il fattore opposizione reale, cui hanno alluso sia lo sciopero pur strumentale del 16 dicembre che altri movimenti ancora in fase embrionale. Il presente di cui si compiace Draghi e cui si accoda Letta dovrà commisurarsi prima o poi con il futuro. Che non sarà di nonni e bisnonni o di meno attempati patrioti conservatori e fascisti.

Immagini di copertina da commons.wikimedia.org