EDITORIALE

Zelensky alle Camere e lo stato della guerra

Un intervento tatticamente moderato del Presidente ucraino e una replica bellicista di Draghi, mentre Putin si impantana in un’aggressione rovinosa

Il tour del Presidente Zelensky fra le istituzioni rappresentative occidentali ha fatto tappa in Italia, davanti alle Camere riunite con svariati e poco dignitosi vuoti riservando qualche interessante sorpresa.

Innanzi tutto il tono insolitamente dimesso e più sentimentale che rivendicativo di Zelensky, rispetto ai suoi soliti standard. Forse per lo stato della guerra e delle trattative coperte, forse per la scarsa rilevanza politico-militare del nostro Paese, forse per il precedente colloquio con un Papa palesemente refrattario a furori bellici e financo alla visita di sostegno a Kyïv.

Fatto sta che non ha richiesto né armi né No-fly zone, non ha evocato la terza guerra mondiale e neppure tracciato analogie con la Resistenza italiana. L’incidente israeliano sull’Olocausto ha fruttato.

Perfino il riferire tutte le responsabilità a «una sola persona», sdegnando di nominarla, è apparso più cauto rispetto alle invettive di Biden contro Putin.

Non ha certo rinunciato a denunciare con la consueta retorica la pericolosità epocale di un’invasione, peraltro effettiva e mortifera («L’obiettivo di Putin è l’Europa, avere il controllo sulle vostre vite, sulla vostra politica, la distruzione dei vostri valori. Valori di democrazia, dei diritti umani, della libertà. L’Ucraina è il cancello per l’esercito russo. I russi vogliono entrare in Europa, ma la barbarie non deve entrare»), ma, dopo aver ricordato la vicinanza durante la pandemia di italiani e ucraini, si è limitato a chiedere «altre sanzioni, altre pressioni» e a ringraziare per l’accoglienza dei profughi.

Al contrario – ed è irritante anche se tecnicamente meno preoccupante – ci ha pensato Draghi a calcarsi in testa l’elmetto e svolgere il suo bravo intervento guerrafondaio, da cui si era relativamente astenuto chi reattivamente qualche ragione l’avrebbe avuta.

Supermario ha parlato di Resistenza e armi agli ucraini, mentre Zelensky aveva fatto solo rifermento alle sanzioni.

Inoltre è stato zelante nel promuovere l’adesione immediata dell’Ucraina all’Europa, che ha presentato come estensione della “civiltà” verso un est ”incivile”, insomma il volto presentabile della Nato. E ben specificando “armi” oltre gli aiuti umanitari, superato nell’oltranzismo solo da un Letta a caccia di voti.

Quanto ciò risulti utili in vista di un possibile ruolo di mediazione italiano nelle trattative di pace o di tregua lo lasciamo all’immaginazione fervida dei lettori – compresi alcuni incauti esponenti storici della sinistra. Ma il populismo interventista estrae a getto continuo vati e condottieri da banchieri, steward da stadio e prof di SciencesPo.

Sul campo la spinta offensiva dell’armato russa (ma non “rossa”) sembra insabbiata, riducendosi a bombardamenti e assedi ma conseguendo risultati, a caro prezzo suoi e dei civili ucraini, solo sul fronte meridionale, in particolare a Mariupol’, anello di congiunzione fra le repubbliche del Donbass e la Crimea, insomma vengono conquistate posizioni in vista di una tregua e di una trattativa che congeli lo status quo dell’occupazione territoriale.

Si appalesano così le dimensioni gigantesche di un errore politico e strategico in cui Putin si è giocato tutto, attaccando un paese slavo “fratello” in base a informazioni carenti o erronee (eppure di Servizi avrebbe dovuto intendersene…), con forze inadeguate sia per una guerra lampo sia per un’occupazione prolungata e una devastante guerra civile che avrebbe fatto impallidire l’Afghanistan.

Non stiamo parlando di “crimini” (categoria poco utile in guerra e in politica), ma di “errori”, che sono «peggio di un crimine», come ben sapeva Talleyrand. E tali “errori” rivelano tutta l’angustia dell’imperialismo neo-zarista di Putin, che sta ripetendo l’arroganza sciovinista di Nicola I, Alessandro III (il suo modello reazionario e militarista) e Nicola II – di cui speriamo condivida la meritata sorte.

Putin si è vantato di aver rovesciato la politica leninista delle nazionalità e ne stiamo vedendo i risultati. Indipendentemente da ogni considerazione sull’espansionismo della Nato, il battaglione nazista Azov, l’addestramento e l’assistenza logistica Usa alla resistenza ucraina, la provocatoria gestione mediatica di Zelensky, ecc.

Solo una rapida trattativa può arrestare una guerra che sta devastando l’Ucraina, in primo luogo, e deteriorando regressivamente tutto il quadro politico europeo e internazionale, cancellando ogni agenda progressiva, in primo luogo il contenimento della pandemia e i timidi tentativi di transizione verde contro la catastrofe ambientale imminente.

Probabilmente si conseguirà solo una tregua, perché nel medio e lungo periodo solo la trasformazione delle pulsioni di guerra fra imperialismi in rivolta contro i contrapposti imperialismi potrà garantire la salvezza dall’apocalisse nucleare rapida o ecologica lenta.

Tregua però essenziale per riaprire spazio alle lotte popolari contro lo sfruttamento e la povertà e ai movimenti antirazzisti, transfemministi,  Lgbt+ e FFF che avevano segnato l’ultimo decennio e contro i quali si fa, come sempre, ricorso al diversivo della guerra – suggello supremo di ogni ciclo reattivo e reazionario.

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