OPINIONI

L’anno che verrà

Un grido di rabbia, contro la sinistra (eterna) con l’elmetto, l’Europa di Biden e dei «Nove di Bucarest», la guerra mondiale di Putin e della NATO, così evidente e che nessuno sembra voler fermare

È passato un anno e la guerra non si ferma, si preannuncia invece un peggioramento. Sangue su sangue. È passato un anno e si continua a giustificare l’invio delle armi; quanto Putin è un allievo di Carl Schmitt, tanto gli Stati Uniti e la Polonia sono sinonimi di democrazia e libertà. E pure i più realisti, quelli che vedono la catastrofe dietro l’angolo, sono convinti di conoscere nel dettaglio il «male minore»: indubbiamente, l’Occidente. Allora addirittura Romano Prodi – oltre Papa Francesco – è un pericoloso sovversivo, nostalgico maoista.

Dopo un anno di guerra, andrebbe seriamente analizzata, e denunciata, la follia che segna diffusa la decadenza europea. Follia, aggiungerei fanatismo. Nella coltre fanatica, nella bolla del «ceto medio riflessivo» (rigorosamente di sinistra), che pensavamo scomparso con i «girotondini» ma che invece non scompare mai, inosservato e irrilevante è stato l’incontro di Biden con «I Nove di Bucarest» (21 febbraio scorso) – a Varsavia ovviamente, dopo il passaggio per Kiev. Presidente di un Paese segnato dalla guerra civile, verticale (Capitol Hill) e orizzontale (gli agenti di polizia che ammazzano a pistolettate afroamericani come se fossero mosche), Biden sta ricostruendo l’Europa: contro l’Europa del 1957 (Trattato di Roma), contro quella del 1992 (Trattato di Maastricht), contro quella del Primo gennaio 1999 (euro). Ma soprattutto, e gli europei di sinistra continuano a non capire, contro Next Generation EU, ovvero la prima mutualizzazione del debito pubblico continentale.

L’Europa di Biden è la nuova NATO, con la Polonia in testa, con i Baltici che seguono furiosi. Ovvio, il loro odio per l’imperialismo russo è in buona parte comprensibile. Non si capisce, però, per quale motivo questo odio, che si traduce prevalentemente in sistemi politici illiberali e razzisti, sia sufficiente a cancellare l’imperialismo americano. Sì, invece di perderci in definizioni alla moda, tra queste il «multipolarismo competitivo», dovremmo dirci che l’ambizione imperiale americana, successiva al 1989, ha fallito, e che il mondo è tornato «striato», scenario di guerre imperialistiche. Dove si combatte e si muore a migliaia sul campo, non solo con i droni. Gli Stati Uniti, tentando di accelerare lo scontro con la Cina per il controllo dell’Indo-Pacifico, intanto spaccano l’Europa e puntano a sfiancare la Russia, potenza nucleare e dunque maggiore pericolo militare.

Conosco il ritornello: «ma è Putin che ha attaccato, è lui l’imperialista». Vero. Pur prendendo per buona l’idea, infondata e omissiva, che USA e UK non stessero in alcun modo organizzando l’offensiva militare ucraina e, con essa, l’estensione ulteriore (e il rilancio) della NATO, non è chiaro per quale motivo i fatti così evidenti accaduti in questi mesi debbano essere cancellati. È infatti evidente, perché ammessa pure dai politologi americani più influenti (Ian Bremmer, tra questi), che quella ucraina è una guerra per procura della NATO; è evidente che Biden stia facendo del tutto per respingere la pace, umiliando i tentativi cinesi di mediazione; ma, soprattutto, è evidente che Biden con «I Nove di Bucarest» stiano facendo saltare in aria l’Europa franco-tedesca, con Giorgia Meloni loro solida alleata.

Io rimango, nonostante tutto (in particolare, ma non solo, la violenza efferata contro la Grecia dal 2010 al 2015, in generale il disastro neoliberale di Maastricht), un convinto federalista europeo. E resto altrettanto convinto, lo penso dal 24 febbraio del 2022, che la guerra di Putin e di Biden sia anche, non solo ovviamente, una guerra contro l’Europa del Welfare State, del diritto del lavoro e sindacale, delle costituzioni antifasciste. Se Putin è nazionalista e machista, gli Stati Uniti sono pure quelli antiabortisti della Corte, quelli razzisti e classisti di Trump, quelli con milioni di poveri (prevalentemente afroamericani) incarcerati, quelli senza un sistema sanitario pubblico e gratuito, quelli dove il diritto di sciopero è quasi del tutto stato cancellato, o comunque reso inefficace.

Possibile che a nessuno venga in mente che non esiste, ora, un male minore, e che il realismo politico dovrebbe spingerci a volare alto, a costruire un robusto movimento pacifista e costituente europeo, che la faccia finita con la NATO? Possibile che, per dimostrare concreta solidarietà alle/agli ucraine/i, dobbiamo per questo favorire lo scontro di civiltà e rilegittimare l’imperialismo occidentale, oltre a quello orientale? Siamo così certi che le/gli ucraine/i, dal basso e democraticamente, ritengano ogni soluzione diplomatica sbagliata? Per quale motivo critichiamo la drammatica separazione tra governanti e governati in casa nostra e poi celebriamo Zelensky come un tribuno del popolo? Possibile che la proposta cinese, come invece (e giustamente) sostengono Scholz e Sánchez, non vada in nessun modo presa in considerazione?

Fanatico è chi continua a celebrare l’Occidente contro le autocrazie: criticare gli autoritarismi d’Oriente è il minimo, celebrare la guerra per procura della NATO è fanatismo. Folle è far finta di non capire che l’Italia, e l’Europa, sono a un passo dalla guerra, che le testate russe sono lontane da Roma ma il Mediterraneo è ormai zeppo di navi di Putin, che una guerra di lunga durata, oltre a infliggere un colpo durissimo alla popolazione ucraina, spomperà l’economia europea, favorendo nazionalismi e sovranismi pericolosi quanto pericoloso è Putin. Trattasi di una cecità da salotti buoni, che però rischia di consegnare l’epidermica nonché diffusa ostilità alla guerra di chi ne sta subendo gli effetti economici (vedi l’ultimo sondaggio IPSOS), non solo a Meloni, ma a governi pure peggiori.

Questa cecità, con determinazione, va combattuta. Subito.

Immagine di copertina di Wendelin Jacober da Pixabay