MONDO

Il potere sottosopra. Lo sciopero globale delle donne

Pubblichiamo la traduzione italiana dell’introduzione al reader sullo sciopero globale delle donne realizzato dalla Transnational Social Strike Platform. Questo reader è un tentativo di pensare collettivamente le sfide politiche e organizzative poste dalla pratica femminista dello sciopero, per farne una prospettiva generale di lotta su scala transnazionale

Il primo sciopero globale delle donne dell’8 marzo 2017 è stata un’esperienza senza precedenti, che ha avuto la capacità di catalizzare un momento di eccezionale intensità, tenendo unite le mobilitazioni delle donne in tutto il mondo contro la violenza e l’oppressione.  Nel nostro primo reader abbiamo raccolto testimonianze ed esperienze di quello sciopero. Come Transnational Social Strike Platform, crediamo che l’incredibile capacità di circolazione dello sciopero e il suo carattere sociale e transnazionale confermino il suo potenziale come fulcro politico di un nuovo movimento globale. Utilizzando lo sciopero come rifiuto della violenza e dello sfruttamento, le donne hanno portato la lotta contro la violenza patriarcale dentro la società e nei luoghi di lavoro e sono riuscite a stabilire connessioni impreviste tra soggetti e terreni di lotta differenti. Questa mobilitazione ha dimostrato di non essere solo un esperimento isolato, ma ha effettivamente aperto uno spazio di possibilità, che ha prodotto una nuova chiamata allo sciopero globale per l’8 marzo 2018. Questa seconda data non ha carattere rituale, ma è il segno del persistere dello sciopero. A partire da queste basi e da una prospettiva di lotta condivisa, abbiamo invitato donne da diversi luoghi, in Europa e in America, a discutere le modalità con cui si stanno avvicinando allo sciopero.

I contributi arrivati da Spagna, Italia, Regno Unito, Svezia, Stati Uniti e Argentina evidenziano la forte consapevolezza di essere parte di un processo di sollevazione globale. Questo reader, perciò, non è una semplice cronaca di esperienze locali, ma intende approfondire il processo e la prospettiva dello sciopero femministacapace di innescare nuove opportunità di iniziativa e organizzazione in contesti differenti ed eterogenei.

La decisione di pubblicarlo prima dell’8 marzo costituisce un tentativo di riflettere insieme, da diverse angolazioni, sulle sfide politiche comuni che si pongono a tutte e tutti coloro che vi stanno prendendo parte. Come possiamo fare in modo che la possibilità offerta dallo sciopero globale delle donne si esprima in tutto il suo potenziale e irrompa anche nella nostra realtà? Come lottiamo contro chi prova a sminuirlo, considerandolo impossibile o «non reale», o contro chi afferma che stiamo degradando la forma dello sciopero? In che modo immaginiamo lo sciopero femminista come una possibilità e un progetto di contrattacco contro il regime globale neoliberale di sfruttamento e oppressione? Come possiamo organizzare la nostra comunicazione politica e infrastruttura transnazionale per fare in modo che gli effetti dello sciopero siano il più possibile estesi e durevoli?

 

Il processo tra gli eventi

Nel suo contributo a questo reader, la compagna di Ni una Menos Argentina afferma che «il tempo tra una data e l’altra non è vuoto», e questo 8 marzo vediamo un chiaro segno del fatto che lo sciopero è un processo e non semplicemente un evento. Infatti, grazie a questo processo e alla forza di una mobilitazione globale e di massa, milioni di donne hanno trovato la forza prendere parola e rifiutare la violenza patriarcale. Le numerosissime marce e manifestazioni femministe in tutto il mondo hanno incoraggiato e sostenuto chi ha scelto individualmente di denunciare violenze sessuali e molestie. L’incredibile flusso di storie circolate sotto l’hashtag #metoo è l’effetto di un’accumulazione collettiva di potere, che, tuttavia, non si traduce automaticamente in un passo in avanti di crescita e condivisione dell’iniziativa e dell’organizzazione collettiva. La questione che ci troviamo ad affrontare è, dunque, come essere parte di questo flusso, impedendo la sua neutralizzazione attraverso le logiche neoliberali dell’individualizzazione e del rimando reciproco di denuncia e risarcimento. Il caso della Svezia presentato in questo reader è particolarmente illuminante, perché l’esperienza del #metoo ha avuto un certo impatto anche lì, mentre lo sciopero delle donne non è ancora riuscito a fare breccia. Indicando l’orizzonte di un radicale «spostamento di potere», lo sciopero si rivela una minaccia per un «femminismo istituzionale» che non è in grado di vedere il carattere globale e sistemico dell’oppressione delle donne e nutre ancora speranza in un possibile intervento pubblico, locale o nazionale, capace di porvi rimedio per decreto. Il carattere globale dello sciopero crea le condizioni per una doppia consapevolezza. In primo luogo, offre la possibilità di entrare nel campo di battaglia non solo come vittime da compatire, riconoscere o risarcire, ma come soggetti politici che prendono la guida di una lotta contro il neoliberalismo che sembrava impossibile finché le donne non si sono sollevate contro di esso. In secondo luogo, ci obbliga a pensare a come assumere una prospettiva globale senza tuttavia ignorare il persistere di differenze locali o regionali. Il riferimento delle compagne svedesi alla guerra combattuta dalle donne in Rojava mostra l’importanza di non assumere come punto di partenza o come destinazione predefinita contesti apparentemente pacifici e progressisti, ovvero ciò che resta della socialdemocrazia europea e occidentale, ma di riconoscere che il neoliberalismo è sostenuto a livello globale da diverse intensità della violenza patriarcale. Lo sciopero, allora, può essere capace di sincronizzare lotte e condizioni differenti senza pretendere di renderle omogenee. La piattaforma del TSS si inserisce in questo terreno e lavora per la costruzione di un’infrastruttura transnazionale capace di intensificare la circolazione dello sciopero, per dargli continuità e sostenere il dispiegamento del suo potenziale politico.

 

Come rendere lo sciopero sociale

Lo sciopero diventa il segno politico di una possibilità di radicalizzazione e sincronizzazione, aprendo lo spazio di un «orizzonte organizzativo» che pone precise e ineluttabili questioni in ogni contesto. Una questione sollevata dallo sciopero delle donne riguarda l’urgenza di trovare modi per allargare lo sciopero al lavoro riproduttivo, cioè a tutte quelle attività svolte dalle donne nello spazio domestico, da sempre considerato «privato» e quindi impolitico, come sottolineato dalle spagnole di Marea Granate – Femigrantes. Il problema non si risolve soltanto dando visibilità all’interruzione del lavoro domestico. La scommessa sta nel portare alla luce la dimensione sociale dello stesso lavoro riproduttivo, per interrompere la riproduzione sociale in senso più ampio. L’obiettivo è rendere visibile il modo in cui le gerarchie sociali e le posizioni sessuate sono riprodotte attraverso la violenza sessuale, le molestie sui luoghi di lavoro e la divisione sessuale del lavoro in ogni ambito. Rendere lo sciopero sociale vuol dire allora individuare e combattere la connessione tra la violenza patriarcale e lo sfruttamento che sta alla base della società neoliberale. Lo sciopero si fa sociale nel momento in cui punta a colpire i processi istituzionali e socia

 

li di gerarchizzazione che intensificano la precarietà producendo isolamento e frammentazione. Pertanto, le diverse pratiche e le molteplici modalità di partecipare allo sciopero che si stanno adottando in tutti i paesi non riducono lo sciopero a un’azione meramente simbolica, anzi moltiplicano i tentativi di politicizzare la posizione delle donne nella società, portando i «margini al centro», come affermano le compagne inglesi della Women’s Strike Assembly. Un chiaro esempio di ciò ‒ che emerge nei diversi contributi che compongono questo reader ‒ è il tentativo di includere la lotta contro il razzismo come posizionamento femminista decisivo, iscritto nel processo dello sciopero. In ogni luogo le donne migranti, nel corso del loro viaggio verso la libertà, devono fare i conti con molteplici forme di abuso sessuale, mentre al contempo la condizione di precarietà imposta dal permesso di soggiorno le trasforma in una forza lavoro ricattabile e più esposta allo sfruttamento. L’approccio intersezionale evidenziato in molti dei testi sembra allora essere non tanto il punto di partenza, quanto piuttosto un effetto della lotta stessa. Le differenze tra i soggetti coinvolti nel processo sono rilevanti non come qualcosa di dato, cioè come politiche, ma alla luce della loro politicizzazione che ha luogo nel momento in cui la loro funzione nella riproduzione di un sistema generale di oppressione e sfruttamento viene smascherata e contestata. Di conseguenza, possiamo affermare che lo sciopero diventa sociale quando produce una connessione politica tra soggetti diversi politicizzando gli effetti generali delle loro condizioni specifiche. Questo orizzonte e questa possibilità sono indicate dallo sciopero femminista – quando il cordoglio si trasforma in lotta e la rivendicazione di distruggere il patriarcato vuole farsi anche leva per rovesciare il neoliberalismo come ordine globale.

 

Dal femminismo globale allo sciopero e ritorno

Lo sciopero delle donne «deve farsi carico delle molteplici realtà di lavoro che sfuggono ai confini del lavoro salariato e sindacalizzato», come dicono le donne di Ni Una Menos ‒ Argentina. Questo richiede un’estensione del concetto di sciopero che sia in grado di accogliere il lavoro non pagato, informale, migrante e irregolare. «Quando lo sciopero cessa di essere prerogativa esclusiva dei sindacati […] esso smette di essere un ordine cui ciascuno sa come conformarsi o aderire». In effetti, proprio perché i sindacati rivendicano lo sciopero come prerogativa esclusiva, le donne si trovano ovunque a dover combattere per ottenere il loro supporto, in molti casi necessario per conquistarsi la possibilità di interrompere la produzione e coinvolgere più luoghi di lavoro possibile. Tuttavia, ciò che risulta chiaro è anche il modo in cui l’uso femminista dello sciopero sta rendendo evidenti e indicando tutti i limiti di un’azione sindacale ridotta a un piano vertenziale, mentre allo stesso tempo sottolinea la possibilità di riportare lo sciopero al centro, dopo anni in cui è stato in pratica svuotato di tutto il suo potere e della sua efficacia dall’organizzazione neoliberale del lavoro. In altre parole, lo sciopero delle donne indica la possibilità di definire un nuovo corso delle stesse lotte sul lavoro. Questo emerge chiaramente dai contributi delle compagne dell’International Women’s Strike ‒ USA, che rivendicano il potere di scioperare in un contesto in cui la legislazione del lavoro è particolarmente restrittiva, e della Women’s Strike Assembly nel Regno Unito, dove il diritto di sciopero è stato ulteriormente limitato dal 2016. Quest’anno decine di organizzazione e sindacati di base stanno appoggiando lo sciopero, reagendo contro anni di smantellamento dei diritti di lavoratrici e lavoratori e invocando lo sciopero come «una forma di azione politica necessaria che è spesso considerata impossibile e quindi un privilegio».

In Spagna il carattere autonomo, globale e di massa del processo ha obbligato i grandi sindacati ad appoggiare lo sciopero. È allora chiaro come la questione di come scioperare non sia solo tecnica ma politica, come indicato dalle compagne italiane di Non Una di Meno, che devono fare i conti con restrizioni al diritto di sciopero dovute alla scadenza ravvicinata delle elezioni nazionali. Lo sciopero femminista è allora un’occasione per ripensare lo sciopero come espressione di un’insubordinazione collettiva contro le condizioni complessive della precarietà, perché indica la necessità di rompere l’isolamento e superare la debolezza cui la precarietà condanna il lavoro in quanto tale. Proprio per questo motivo l’International Women’s Strike ‒ USA fa appello a un femminismo del 99%, riprendendo lo slogan del movimento Occupy. Proprio perché è femminista, questo 99% non neutralizza le differenze che attraversano la classe operaia, ma piuttosto le catalizza mostrando la possibilità per lo sciopero delle donne di porsi alla testa di una lotta generale, scatenando un ancora più ampio movimento di insubordinazione.

Oltre a implicare una trasformazione generale dello sciopero, questo processo di sollevazione globale innesca anche una trasformazione del femminismo.  Lo sciopero femminista non si presenta come lotta separatista o basata sulle identità di donne e soggetti lbgtqi+, quanto piuttosto come una lotta capace di coinvolgere migranti, precarie e operai di ogni genere, che trasforma il rifiuto della violenza patriarcale nel punto di partenza condiviso per contrastare il capitalismo, il razzismo e la violenza di questa società. In questa prospettiva, si rende sempre più necessario un lavoro sistematico di connessione che dia voce a questi processi transnazionali tra gli eventi, che promuova la dimensione sociale dello sciopero e affermi la necessità di ripensarlo complessivamente come pratica. Lo sciopero non è qualcosa «dato», in ogni contesto ha bisogno di essere difeso, realizzato, promosso, invocato a gran voce, reso contagioso. In linea con questo, scommettendo sullo sciopero, i contributi presentati in questo reader forniscono indicazioni sulle possibilità e sulle sfide di questo processo di sollevazione globale, consapevoli che «il messaggio dello sciopero è lo sciopero stesso, perché mostra dove si trova il potere. È una dimostrazione di potere che consideriamo necessaria per incrementare il nostro di potere».

 

Qui puoi scaricare tutto il reader: https://www.transnational-strike.info/2018/03/01/pdf-tss-journal-power-upside-down-womens-global-strike/