ROMA

Il piano delle briciole

A 30 mesi dalla pubblicazione del Piano per il superamento dei campi rom presentato a suo tempo in pompa magna dalla giunta capitolina, non solo sono sensibilmente peggiorate le condizioni lavorative, scolastiche, di inclusione degli abitanti, persone che nella maggior parte dei casi sono state sgomberate da una periferia ad un’altra, spostate forzatamente da un campo all’altro, ma sono state sperperate montagne di soldi pubblici, senza soluzioni di continuità. I dati di realtà raccolti dall’associazione 21 Luglio e presentati ieri nella sala stampa della Camera dei deputati  

«Possiamo annunciare in maniera molto netta che finalmente a Roma saranno superati i campi rom». Era il 30 maggio 2017, e la sindaca della Capitale d’Italia, Virginia Raggi, così  presentava alla stampa il «Piano che consente di riportare Roma in Europa. Abbiamo appreso le migliori prassi che altrove hanno funzionato e le portiamo qui per superare i campi». Annunciava fiera la sindaca: «Capite che siamo visibilmente soddisfatti. Con i soldi dell’Unione europea recupereremo milioni di euro dall’evasione e dall’illegalità e li metteremo a disposizione di tutti i cittadini». La seguiva a ruota all’indomani della presentazione del Piano, un po’ su tutti i giornali, il fondatore del Movimento Cinque Stelle, Beppe Grillo: «La questione dei campi rom non è mai stata risolta da nessuno, un problema che forse neppure è stato mai affrontato, ma su cui in tanti, troppi hanno magnato», dichiarava il comico: «Da adesso si inizia a chiuderli, per sempre. E i soldi per farlo ce li facciamo dare dall’Unione Europea. Nessun costo extra per i romani».

Sgombero capitale

Trenta mesi dopo la realtà è molto diversa da quanto promettevano le roboanti dichiarazioni dei vertici penta stellati. Quello che è certo che da allora sono stati effettuati dall’amministrazione capitolina 104 sgomberi forzati di insediamenti informali per una spesa totale stimata in circa 3.300.000 euro di denaro pubblico. Che il “Piano di indirizzo di Roma Capitale per l’inclusione delle popolazioni Rom, Sinti, Caminanti”, contenuto nella deliberazione n.105 del 2017, prevedeva piani di inclusione focalizzati su quattro assi: quello dell’abitare, dell’occupazione, della scolarizzazione e della salute, e l’individuazione di 11 villaggi “attrezzati” e insediamenti “tollerati”. Lombroso, Candoni, Gordiani, Camping River, Castel Romano, Salone, La Barbuta, Salviati 1, Salviati 2, Monachina, infine, Barbuta esterno. Questi sono i nomi che la giunta aveva dato ai nuovi “villaggi della solidarietà” che si estendevano da nord a sud della Capitale, a quelli che a tutti gli effetti erano “campi rom”, che, da luoghi tradizionalmente della discriminazione e della marginalità, ora «divengono spazi dove si infrangono le promesse e svaniscono gli impegni», ha spiegato ieri nella sala stampa della Camera dei Deputati, Carlo Stasolla, presidente dell’ Associazione 21 Luglio, la quale da tempo promuove tra le altre cose azioni di empowerment coinvolgendo attivamente i membri delle comunità che vivono in contesti di segregazione e marginalità sociale.

Lì dove restano le briciole

«Oggi a Roma i campi segreganti non solo esistono ancora, ma sono lo spazio periferico e ultimo, “dove restano le briciole” di quanto annunciato e promesso con enfasi in Campidoglio nell’ormai lontano 31 maggio 2017», ha spiegato Carlo Stasolla, citando proprio il titolo della ricerca presentata dalla 21 Luglio: “Dove restano le briciole. I propositi del piano Rom e ciò che rimane degli insediamenti della Capitale”. Una lunga indagine in cui sono stati effettuati ben 38 sopralluoghi presso gli insediamenti di Castel Romano, La Barbuta, Salone, Candoni, Gordiani, Camping River, Lombroso, che ha passato in rassegna analizzando gli effetti di alcune, parecchie, delibere di giunta, ordinanze sindacali e anche gli esiti delle azioni dei bandi di gara volti al superamento degli insediamenti La Barbuta e Monachina. In particolare, sotto la lente dei ricercatori è finita la deliberazione dell’aprile del 2018 con cui la giunta capitolina aveva disposto le «misure di semplificazione finalizzate al superamento dell’insediamento Camping River», prevedendo, tra le altre, misure di sostegno all’inclusione lavorativa, volte a favorire l’iscrizione anagrafica, ma anche «azioni finalizzate a consentire il rientro assistito volontario in patria correlate a progetti di inserimento socio-lavorativo e/o abitativo nei Paesi di provenienza». Salvo poi ordinare, la sindaca Raggi, appena tre mesi dopo, con ordinanza sindacale contingibile ed urgente, l’allontanamento dall’area dove sorge l’insediamento di Camping River di tutte le persone «entro il termine perentorio di 48 ore». Nel mirino dell’Associazione 21 Luglio sono finiti anche gli atti con cui un anno dopo la stessa giunta ha esteso a tutti i villaggi attrezzati le misure di inclusione «attraverso la graduale attivazione di percorsi individuali di inclusione abitativa delle persone censite». E ciò che ne viene fuori, degli effetti di quel Piano, trenta mesi dopo la sua pubblicazione, è un quadro impietoso.

Il piano di carta

«Schizofrenia istituzionale» – l’ha definita Carlo Stasolla – il piano della governance assunta dall’amministrazione capitolina. Sotto accusa dell’associazione 21 Luglio è finito soprattutto lo strumento previsto del “Patto di responsabilità solidale” che ogni famiglia rom avrebbe dovuto sottoscrivere con Roma Capitale per beneficiare delle azioni di inclusione sociale previste dal Piano. Basta un dato a rivelarne il fallimento: solo il 19% delle famiglie residenti negli insediamenti di prossimo superamento (La Barbuta e Monachina) hanno sottoscritto il Patto. Senza contare le ombre che gravano sull’attuale gestione finanziaria del Piano. I conti li ha fatti l’associazione. Rammentando che il conteggio totale, dal quale non è inclusa la spesa per il trasporto scolastico per la quale non si è riusciti a reperire dati, è di quasi 10 milioni di euro a fronte dei 6.015.613 euro dichiarati ai rappresentanti dell’Agenzia della Commissione Europea che hanno stanziato i fondi che sono volti al superamento dei campi, tesi all’inclusione sociale dei soggetti svantaggiati.

Il rischio concreto della strumentalizzazione politica

Dunque «le prospettive non sono incoraggianti. Perché tra un anno la città di Roma sarà in piena campagna elettorale e una sterzata securitaria potrebbe rappresentare la tentazione nella quale l’Amministrazione rischia facilmente di cadere». Ha concluso Stasolla: «È la strada più facile e le premesse ci sono tutte. Esse ci parlano di famiglie rom presenti da 40 anni in Italia che non potranno rinnovare il permesso di soggiorno cadendo nell’invisibilità, di militari a presidiare gli insediamenti, di un Regolamento di prossima pubblicazione che punterà anzitutto sulla “legalità”. L’incognita della strumentalizzazione politica pre- elettorale alle porte sulla pelle delle persone, è anche il pericolo di cui ha parlato il deputato dei Radicali, Riccardo Magi, introducendo la conferenza stampa di ieri mattina alla Camera. Il rischio ulteriore che se il Piano continuerà a naufragare e ancora una volta assisteremo, come nel passato, allo sperpero di denaro pubblico accompagnato da violazioni sistematiche dei diritti umani, qualcuno potrà dire che ci si è «magnato sopra», quando ai veri destinatari, invece, non sono state date che le briciole.

 

E adesso?

Adesso abbonati, genera indipendenza