ROMA

Nuovo Cinema Palazzo, il pm chiede sei mesi

Il pubblico ministero chiede sei mesi di reclusione per 12 imputatə, il legale della società affittuaria del Cinema Palazzo chiede una provvisionale di 250mila euro per danni stimati in 1,6 milioni di euro. Le prossime udienze il 25 marzo e il 6 aprile, quando ci sarà la sentenza.

Quando nel quartiere San Lorenzo si sparse la voce che nell’Ex Cinema Palazzo si stavano ultimando i lavori per un casinò la reazione fu immediata. Era il 2011. I comitati di quartiere, residenti, studenti, erano impegnati nei “comitati dell’acqua” – era l’anno del referendum stravinto, poi disatteso.

 

San Lorenzo è il quartiere con il più alto numero di associazioni per abitanti, che reagirono all’unisono, perché già lavoravano insieme. Comitati, artisti, residenti, negozianti, gruppi di genitori si mossero insieme: un casinò, a San Lorenzo, non ci poteva stare.

 

Di azzardo all’epoca si parlava molto poco. Solo dopo ci si sarebbe resi conto di cosa nel frattempo era successo lungo la Tiburtina: era sorta una immensa Las Vegas sfavillante e squallida, cresciuta negli anni in cui il gioco d’azzardo aveva sottratto 98 miliardi alle casse dello Stato.

Nel 2012 la Corte dei Conti multò le dieci società, (tra cui la Bplus, la ex Atlantis World Group of Companies, società gestita Francesco Corallo, poi arrestato) per soli 2,5 miliardi e sanzionò i vertici dell’Aams che avrebbero dovuto controllare. Nel 2012 l’associazione Libera presentò il suo dossier “Azzardopoli” al Cinema Palazzo.

 

Parlando dal palco, Francesco Forgione, ex Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, disse che «Ogni spazio di aggregazione, di socialità e di comunità è uno spazio sottratto alle organizzazioni criminali».

 

Nacque una collaborazione sul tema delle mafie che portò sul palco del Cinema Palazzo Michele Prestipino, Procuratore aggiunto DDA di Reggio Calabria, oggi capo della Procura di Roma. Solo nel giugno 2017 è stato approvato il Regolamento per le sale da gioco in Italia, che cita i dati allarmanti contenuti nel rapporto “Azzardopoli” presentato cinque anni prima.

Se il Regolamento, che stabilisce distanze minime di almeno 350 metri, all’interno del perimetro dell’Anello Ferroviario, tra sale gioco e luoghi sensibili, fosse stato in vigore sei anni prima attivisti e abitanti non avrebbero avuto alcun bisogno di occupare il Cinema Palazzo.

 

Un teatro, poi un cinema, infine una sala biliardo, il Cinema Palazzo era chiuso da tempo quando nel 2011 la Camene spa stipulò un contratto di affitto con la proprietà per 18mila euro al mese.

 

Un sito online illustrava il progetto con un rendering virtuale, dove erano ben visibili circa 50 slot-machine disseminate tra divanetti e tavoli da bar che avrebbero riempito i due piani dell’ex teatro. Un progetto costoso, eppure, notarono gli attivisti, il bilancio della Camene chiudeva a soli 365mila euro.

Le quote societarie erano detenute da altre cinque società tra cui la Stube, la società che gestiva i soldi di Diego Anemone, imprenditore, e Angelo Balducci, ex provveditore alle opere pubbliche. Entrambi sono stati condannati dal tribunale di Roma a sei e sei anni e mezzo rispettivamente nell’ambito del processo sugli appalti pubblici per il G8 alla Maddalena.

Alla Stube spa era intestato il Salaria Sport Village, posto sotto sequestro nel 2014. Gli attivisti scoprirono che l’articolazione delle quote azionarie non era del tutto tracciabile, un requisito fondamentale per divenire concessionari del gioco legale in Italia.

 

 

La Camene spa non aveva neanche i permessi per aprire lì il casinò: mancavano le autorizzazioni della Camera di Commercio e dell’AAMS. La destinazione d’uso del Palazzo poi, classificato come Tessuto Urbano T4, esclude le attività legate al gioco d’azzardo.

 

Quando il Cinema Palazzo presentò il suo Dossier, furono messi i sigilli all’ufficio tecnico del municipio: chi aveva dato il permesso di aprire un casinò nel cuore di San Lorenzo?

 

Dell’esito di queste indagini non si hanno notizie, così come nessuno si è curato di chiarire un altro dato interessante. Nel 2011 il deputato Aracri tenne una conferenza stampa insieme a Daniele Capezzone, ex portavoce del Pdl, per denunciare l’occupazione del Cinema Palazzo.

L’8 giugno 2011 il deputato Aracri, in un’interrogazione parlamentare, accusavail Cinema Palazzo di non rispettare la legge nei termini della finanziaria del 2007, che aveva liberalizzato lo strumento del gioco come incremento delle entrate allo Stato.

All’epoca non si capiva quali poteri ci fossero dietro una simile operazione. Solo nel 2018 si è conclusa la lunghissima vicenda giudiziaria dell’ex presidente della Camera e leader di An Gianfranco Fini, accusato di riciclaggio di denaro insieme al cognato Tulliani che aveva acquistato l’appartamento a Montecarlo oggetto di indagini, con i soldi dell’imprenditore Francesco Corallo attraverso la creazione di due società off-shore.

 

La stessa indagine portò all’arresto di Amedeo Laboccetta, rappresentante per l’Italia del gruppo di Corallo dal 2004 al 2008, e parlamentare prima di An e poi di Forza Italia fino al 2013.

 

L’inchiesta era nata da accertamenti sull’imprenditore dei videogiochi Corallo, lo stesso titolare della Atlantis World che aveva la concessione per la gestione delle slot in Italia e che da sola avrebbe sottratto al fisco oltre 250 milioni di euro.

È interessante notare, per inciso, che quando lo Stato italiano decise di dare in gestione il business delle slot a Corallo, creando il sistema che avrebbe portato al buco di 98 miliardi alle sue casse, suo padre, vicino al boss di Catania Nitto Santapaola, era stato già condannato a sette anni e mezzo per associazione a delinquere per affari nel settore del gioco.

La casa di Montecarlo era stata comprata nel 2008. Nel 2018 “La Stampa” scriveva: «secondo i pm romani un “fiume” di denaro sarebbe entrato nelle tasche dei Tulliani grazie a Corallo, la cui attività imprenditoriale sarebbe stata agevolata da leggi ‘ad hoc’ approvate quando il partito di Fini era al governo». Anche in questo caso la magistratura, evidentemente, si era mossa tardi.

 

 

Nel febbraio del 2012 il tribunale civile di Roma assolveva gli e le imputatə per l’occupazione del Nuovo Cinema Palazzo parlando di una «moltitudine di persone», e riconosceva che «l’interesse alla base dell’azione dimostrativa […] nell’occupazione dell’edificio è di natura politica, non patrimoniale o egoistica».

Gli e le occupanti stavano «rivendicando la conservazione della tradizionale vocazione “culturale” dell’ex Cinema Palazzo». Era la prima volta in Italia che un tribunale civile assolveva l’occupazione di una proprietà privata.

 

Nel 2013 il Cinema Palazzo avviò insieme al Teatro Valle Occupato un percorso sul diritto alla città che interrogava la proprietà privata, poi sfociato poi nella Costituente dei beni comuni.

 

Partecipando a un’assemblea tenutasi al cinema occupato, assieme a Stefano Rodotà, Ugo Mattei, Maria Rosaria Marella, Gaetano Azzariti, Alberto Lucarelli e altre, Paolo Maddalena, vice Presidente Emerito della Corte costituzionale, ricordava gli articoli 41 e 42 della Costituzione Italiana: «in cui la proprietà privata è garantita dalla legge […] ma non può entrare in contrasto con l’utilità sociale, con la sicurezza, la libertà e la dignità umana».

La proprietà privata è regolata dalla legge, che «ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale». Si trattava, in altre parole, di far valere nientemeno che la Costituzione Italiana.

 

La politica è intervenuta molto tardi a cercare di far valere dei principi che non fossero quelli della logica parassitaria del guadagno – nel caso del gioco d’azzardo è legittimo dirlo.

 

A giugno del 2020 il Consiglio regionale del Lazio ha approvato un ordine del giorno a firma della capogruppo della lista Zingaretti, Marta Bonafoni, e della consigliera del Pd, Marta Leonori, a tutela del Cinema Palazzo.

L’ipotesi era di valutare la possibilità di acquisizione dell’ex-cinema al patrimonio in quanto bene di interesse pubblico. L’iniziativa si inseriva nel contesto di azioni tra cui una mappatura di proprietà regionali e comunali da destinare ad attività culturali.

La stessa giunta comunale si è mossa, solo a seguito dello sgombero avvenuto in piena pandemia il 24 novembre 2020, con una memoria di giunta per «valutare tutte le attività utili a salvaguardare la vocazione culturale dell’ex Cinema Palazzo e la necessità del quartiere di spazi associativi».

Lo spazio è riconosciuto come «simbolo della partecipazione attiva». Partecipazione «che esercita in forma sussidiaria funzioni indirizzate allo sviluppo della comunità, alla vita culturale condivisa e alla coesione sociale».
La giunta riconosce, troppo tardi, la «forma sussidiaria» di un luogo occupato dalla cittadinanza che ha svolto per dieci anni funzioni che altrove, in un altrove funzionante, sarebbero di competenza delle istituzioni.

La giunta, come la regione, valuta la possibilità «dell’acquisizione del Cinema Palazzo al patrimonio capitolino dei beni indisponibili» – beni gravati da un’ulteriore contraddizione che ha visto in questi anni le associazione che ne usufruiscono battersi contro richieste di risarcimento milionari da parte del Comune a seguito di un ricalcolo delle morosità a canone di mercato, una vicenda che rimane ancora da sciogliere.

 

Soprattutto, la moratoria segue lo sgombero, dapprima rivendicato, poi condannato dalla sindaca Raggi.

 

Giunge al termine, in questo scenario, il processo intentato a 12 persone e iniziato nel 2018 – l’ultima udienza è fissata per il 6 aprile. La società, che progettava di aprire un casinò senza averne i requisiti, chiede un risarcimento danni di 1,6 milioni di euro, mentre il pubblico ministero chiede sei mesi per i 12 imputati.

Il processo fa ricadere su 12 persone che nel tempo si sono espresse sulle terribili conseguenze del gioco d’azzardo la responsabilità di un’occupazione che è stata partecipata da un intero quartiere: tutto il materiale che si può trovare online indica molto chiaramente che in questi anni in Cinema Palazzo è stato il raccoglitore, luogo fisico, a disposizione di tutti i comitati e le associazioni del quartiere.

 

 

Lo riconosce oggi lo stesso pm: secondo la polizia municipale intervenuta il giorno del tentavo di sgombero era presenti «100/150 persone»; aggiunge che l’occupazione «non fu un’attività volta a un fine criminale, perché si voleva destinare il bene a un uso sociale ‘culturale’ e non vi fu violenza. Si tratta probabilmente quindi della commissione di un reato nell’ambito di un’attività ‘positiva’ ma questo non toglie nulla alla sussistenza del reato».

Oltre a essere dunque un processo «paradossale» e «assurdo» – secondo le prime dichiarazioni della consigliera regionale Marta Bonafoni e di Gianluca Peciola di Liberare Roma – il processo si svolge in una stagione strana: nel pieno di una pandemia e di una crisi economica senza precedenti – in cui il Cinema era rimasto in funzione per coordinare la spesa solidale del quartiere – diventerà sempre più centrale il ruolo della proprietà e la funzione sociale della proprietà privata.

C’è bisogno di un cambio di paradigma, di un ragionamento ampio sulla sostenibilità di una certa visione della città che continua ad anteporre il profitto alla tenuta sociale dei territori, che riconosca l’esigenza di assegnare spazi pubblici secondo criteri sociali.

Per quanto ancora confusa, la discussione che si sta svolgendo a livello istituzionale, arricchita dai toni della campagna elettorale romana, capta i rischi di quello che potrebbe avvenire se questo cambio di paradigma non dovesse avere luogo, in termini di costi sociali, in termini di vero e proprio collasso di ecosistemi che già da anni si tengono sull’attivismo, il volontariato, e sulle «forme sussidiarie» di gestione del pubblico.

 

Si tratta di temi ora divenuti urgenti che il Cinema Palazzo ha anticipato di dieci anni. È tardi, e nel caso del Cinema Palazzo lo è sempre stato.

 

Si spera in una sentenza che non sia sussidiaria di un’azione politica che non c’è stata, ma che tenga almeno in conto l’assurdità di una richiesta di risarcimento da parte di una società che ha già sottratto ampiamente al pubblico e che ora chiede un rimborso a singoli privati per mancati guadagni in uno dei settori più tossici e mortiferi del sistema economico in cui siamo immersi.

 

Tutte le foto dalla pagina Facebook del Nuovo Cinema Palazzo.