Terzo incontro della Costituente dei Beni Comuni

Un report dell’incontro del 13 giugno al Nuovo Cinema Palazzo

Si sceglie di continuare con la medesima formula sperimentata nei precedenti incontri (Valle, L’Aquila, Pisa), chiedendo ai giuristi di intervenire al seguito delle singole presentazioni delle esperienze di movimento. Tre sono le principali linee tematiche che hanno attraversato la Costituente: il ripensamento radicale del regime di proprietà, verso un Codice dei Beni Comuni; il rapporto, per nulla lineare e sempre problematico, tra ordinamento costituzionale e processi costituenti; la questione della qualificazione giuridica di nuove soggettività emergenti (oltre il nesso individuo-soggetto giuridico moderno, ma anche oltre il comunitarismo). Ha fatto da sfondo la riflessione sulla nuova giurisprudenza del comune e la necessità di avviare un’azione incisiva di ripensamento dei dispositivi repressivi del diritto penale. Riportiamo di seguito una breve sintesi degli interventi che hanno animato la partecipata assemblea.

Daniela Festa (Cinema Palazzo) introduce l’incontro ricordando quello che accade in Turchia. I luoghi parlano: a Piazza Taksim a difendere la qualità della vita urbana ci sono “corpi in movimento” che, attraverso nuovi mezzi di comunicazione, denunciano la violenza dell’autorità che attacca le loro vite in nome del volere del mercato. Indica come tema per la discussione odierna di chiedersi come il diritto consuetudinario possa sostituire il diritto codificato. Esamina alcune sentenze recenti (Cinema Palazzo, Pisa..) che segnalano un’attenzione e una tutela per le lotte che generano beni comuni aggrediti continuamente dall’onnipotente diritto proprietario. Riferendosi allo spazio urbano si interroga sulle possibilità di impedire, attraverso il ricorso al paradigma della trasformazione d’uso, che la comunità sia privata di un bene che al contrario possa essere aperto e attraversabile. Può la norma restituire la ricchezza che questi luoghi resistenti e resilienti producono? Ancora, può la nuova giurisprudenza del comune espandersi fino a diventare egemone?

Guido De Togni (Teatro Valle) a partire dall’esperienza del teatro romano pone la domanda su “chi decide che un bene, quando è male usato, possa essere liberato” e quali possano e debbano essere le pratiche della comunità a partire proprio dalla cultura della cooperazione sociale che questi luoghi esprimono. La fondazione del Teatro Valle tenta di creare un prototipo di autogoverno dei beni comuni. Il punto cruciale è nel rapporto tra pratiche di autogoverno e loro possibile riconoscimento anche con riferimento all’articolo 43 della Costituzione.

Michele Luminati (giurista, Istituto Svizzero di Roma). Parla dell’esperienza del diritto e anche della sua “creatività”. Non tutto, probabilmente, deve essere giuridificato attraverso la legge, occorre forse lasciare ampio spazio di libertà alle pratiche che producono diritto. Presenta l’esperienza della Svizzera in cui il diritto assegna alle amministrazioni locali la regia di una diffusa pratica di partecipazione per la gestione dei beni comuni. Tra questi, cita l’esempio della gestione delle acque. Lo Stato “centrale” attraverso un livello leggero di normazione, esercita una funzione di verifica. Nel farlo applica il principio di ponderazione al fine di cercare soluzioni concrete a casi concreti (principio del federalismo, responsabilità distribuita verso “il basso”). Nell’esperienza elvetica molto spazio è affidato alla creatività delle comunità locali.

Ugo Mattei (giurista) interviene con una doppia domanda. Riferendosi al caso di Pisa ci si è chiesti “quali sono le condizioni per cui un titolo di proprietà decade?”; ora, aggiunge, bisogna anche chiedersi “se e quando una comunità perde il proprio diritto a governare un bene comune?” (più avanti nella discussione dirà, un’occupazione di fascisti, ad esempio, non è e non può essere un bene comune).

Paolo Maddalena (giurista), afferma che nel trionfo del liberismo l’interesse privato ha annullato quello pubblico. Ancora oggi una parte della dottrina giuridica afferma l’idea astratta dello Stato-persona, com’era ai tempi dello Statuto Albertino. Lo Stato-comunità al contrario si dà quando un popolo (inteso come comunità di cittadini) esercita sovranità in un territorio determinato. Non lo possiede in forma proprietaria, ma lo gestisce come bene comune. Roma per i primi sei secoli conosce solo proprietà collettive. Il rapporto tra popolo e territorio non si fonda, storicamente, sul primato della proprietà privata.

Alberto Lucarelli (giurista) sottolinea che l’esigenza dei beni comuni inizialmente nasce in risposta all’ondata di privatizzazione del pubblico. Oggi questo tema si amplia nella democrazia dei beni comuni. E’ necessario sottrarre il monopolio della decisione alla democrazia rappresentativa attraverso il ripensamento degli stessi strumenti della democrazia diretta (rafforzare gli istituti del referendum, delle leggi d’iniziativa popolare, delle petizioni). In questo le amministrazioni locali possono rivestire un ruolo importante. Cita l’esempio di Napoli che su alcuni capitoli di spesa ha scelto di derogare al patto di stabilità.

Stefano Rodotà (giurista) si chiede se la Costituzione sia uno strumento di lotta politica o, come dicono alcuni, un “ferrovecchio”? Optando per la prima definizione si domanda come si possa fare oggi un uso della Costituzione che, seppur massacrata, rimane oggi un baluardo della democrazia. Riferendosi all’articolo 42 ricorda come la proprietà privata sia costituzionalmente limitata, debba essere accessibile e avere una funzione sociale. Avverte di come la retorica e l’enfasi dei beni comuni – se slegata dal riferimento all’ambito costituzionale – rischia di portarci a rivendicare una sorta di pre-modernità. Pone una serie di interrogativi che andranno studiati: quale è la democrazia dei beni comuni? Si costruisce solo attraverso l’affermazione giuridica di una nuova tipologia di beni, i beni comuni? E quale rapporto intercorre con la democrazia rappresentativa? Sarà necessario indagare, inoltre, il ruolo dei media civici anche riferendosi all’analisi, con cui non concorda, di M. Castells di un mondo “senza centro” fatto di una rete con nodi interconnessi.

Gaetano Azzariti (giurista) ribadisce che, a suo parere, l’ordine costituzionale non può e non deve essere intaccato e che il Codice dei Beni Comuni non può essere utilizzato quale risposta sostitutiva alle istanze sociali, rispetto all’ancoraggio al quadro costituzionale. Il diritto non serve ma è. Occorre mettere da parte le teorie sul potere costituente e rimanere nell’ambito della difesa dell’ordine costituzionale.

Maria Rosaria Marella ( (giurista): il diritto è performativo, va reinventato dal basso, partendo proprio dall’osservazione delle pratiche dei movimenti. Dobbiamo produrre trasformazione e non lavorare per adeguamenti progressivi. Questo ora è possibile perché i movimenti non rifiutano più il diritto, si soggettivano entrando direttamente nel processo della sua politicizzazione.

Paolo Cassetti (Crap Roma) ricorda come dopo il referendum del 2011 la tematica dei beni comuni abbia assunto nel dibattito pubblico un ruolo determinante e come il referendum abbia esemplificato la crisi della rappresentanza e, nello stesso tempo, la volontà di partecipazione dei cittadini. L’esperienza dell’acqua ci segnala che sarà necessario incidere oltre che sulla proprietà (titolarità), sulla gestione dei beni comuni che rappresenta di fatto una sorta di proprietà informale.

Emiliano Angelè (ex-RSI, fabbrica occupata Officine Zero) racconta la nascita di questa occupazione prima operaia – a seguito della dismissione della compagnia “Treni Notte” e della relativa vendita del bene (si sviluppa in un’area centrale della città per 4 ettari) ad un gruppo speculativo immobiliare – trasformata, oggi, in un’occupazione condivisa con altre forme sociali per reinventare un ruolo produttivo e sociale di questo spazio.

Lorenzo Sansonetti (ex-RSI, fabbrica occupata Officine Zero) rifacendosi all’esperienza ed alle attività in programma (Coworking, Camera del lavoro autonomo e precario, ciclo/riciclo) e in generale al processo che si sperimenta per l’autogestione della produzione (“gli attori che occupano un teatro sono come gli operai che occupano una fabbrica”) si interroga sulla possibilità di mettere in crisi il rapporto dicotomico tra ordine costituente e ordine costituito che, a suo parere può avvenire, come sta accadendo, in un confronto di questo tipo: giuristi e lotte sociali. Chiede di interrogarsi sulla “ripubblicizzazione” dell’area e della fabbrica che è privata ma è al tempo stesso pubblica, data la composizione societaria di Trenitalia. Chiede se esistono strumenti legislativi per farlo. Definisce la democrazia dei beni comuni attraverso Marx: democrazia dei beni comuni è l’autogoverno dei produttori (e degli utenti).

Guido Farinelli (Cinema Palazzo) si interroga sulla nascita della proprietà privata e sul nesso inscindibile che la lega al diritto penale moderno: dalla recinzione di uno spazio e dal decidere chi lo governerà; dalla nascita di varie giurisdizioni, ai vari illegalismi, alla nascita dei Codici e alla loro funzione di tutela proprietaria. Oggi il diritto penale tutela più la proprietà che la vita umana. Per questa ragione i diritti che abbiamo acquisito vanno difesi attraverso forme di resistenza e strapparne di nuovi (diritto d’occupazione e diritto di resistenza come punti di partenza di una nuova giurisprudenza del comune e di un percorso politico per un garantismo “attivo”).

Paolo Maddalena (giurista) ribadisce che anche per lui la Costituzione deve essere considera come un faro. Il rapporto tra popolo e territorio si da quando “il mondo delle persone si incontra con il mondo delle cose”. E’ il popolo a decidere quale parte del proprio territorio è comune e quale può essere ceduto in proprietà privata.

Alberto Lucarelli (giurista) riprende il concetto di gestione di un bene comune interrogandosi su quale sia il nuovo soggetto giuridico, né pubblico né privato, facendo riferimento all’esperienza dell’ex-asilo napoletano Filangieri. Il compito dei giuristi deve essere quello di raccogliere quello che sta succedendo (una casistica del comune prodotta dalle lotte) agganciandosi proprio a quanto espresso all’articolo 43 della Costituzione.

Ugo Mattei (giurista), avverte del rischio che il riferimento alla Costituzione possa tradursi in una sorta di ortodossia costituzionale. Ribadisce, nello stesso tempo, che dalla Costituzione bisogna partire, in particolare dal suo quadro valoriale, proprio perché i suoi valori sono stati in questi anni fortemente messi in discussione. Il diritto è innanzitutto interpretazione, di un testo e di un contesto. Si chiede poi: il Codice dei Beni Comuni a chi parlerà? Si potrà far riferimento, come punto di partenza, ad alcune norme del diritto civile che in anni passati (in particolare negli anni ‘70) hanno reso possibile azioni di occupazioni e riuso di spazi abbandonati, per arrivare oggi a norme che traducano in diritto pratiche comunitarie.

M. Rosaria Marella (giurista) afferma che la comunità non è soggetto di diritto, non essendo né una persona fisica né un’associazione. Come diviene soggetto? La sfida è quella di una una forma giuridica aperta, allargata. Occorre individuare delle regole che impediscano una qualsivoglia chiusura, e che valorizzino l’aspetto del processo.

Francesco Brancaccio (atelier Esc), afferma che l’idea per la quale il potere costituente sia un potere pre- o extra-giuridico è un’idea che porta con sé un residuo di formalismo, e appartiene ad un filone ben preciso dello stesso costituzionalismo borghese moderno. Occorre al contrario valorizzare la Costituente come un luogo per affermare un altro modo di pensare e praticare il diritto. La stesso piano dell’interpretazione costituzionale è sempre determinato dal rapporto – dinamico, non statico – tra costituzione materiale e costituzione formale. Il potere costituente è dunque un problema (anche) giuridico, deve essere continuamenteriattivato . Le stesse costituzioni vanno concepite come processi aperti, non come dispositivi normativi fissi. I movimenti si pongono sempre su un orizzonte costituente, di trasformazione radicale dell’esistente.

Fulvio Molena (Teatro Valle), ricorda che la Costituente vuole costruire una piattaforma comune, per questo occorre andare avanti negli incontri sviluppando una relazione produttiva tra movimenti e giuristi. Occorre andare avanti, oltre gli identitarismi. La sfida è trovare l’elemento comune, su cui far convergere le energie e l’elaborazione.

Gaetano Azzariti (giurista), ribadisce ancora una volta la sua contrarietà ad un certo eclettismo nell’interpretazione della Costituzione (il riferimento è a chi per esempio parla di riforma presidenzialista, tema che non compare nell’articolato costituzionale ma che alcuni sostengono sia con esso compatibile). Bisogna sfuggire dall’uso retorico della Costituzione e dare sostanza ai valori reali, lavorando all’interno della Costituzione.

Alberto Lucarelli (giurista) intervenendo di nuovo sostiene che dal Duemila ad oggi, molte leggi hanno sdemanializzato beni pubblici e che i ricorsi alla Corte Costituzionale non hanno bloccato questa tendenza (così come il ricorso al regime concessorio di cui si è abusato). Il riferimento alla Costituzione non è stato dunque sufficiente, l’unico argine nei fatti è stato posto dai movimenti e dalle comunità insorgenti.

M. Rosaria Marella (giurista), oggi esiste solo la categoria di pubblico e quella di privato. Sono queste due categorie a determinare lo sviluppo della città. Dove è il comune? Come il diritto legittima la creazione di uno spazio comune da parte di una comunità?

Bartolo Mancuso (Scup) illustra l’esperienza di riappropriazione di uno spazio alienato dallo Stato per fare cassa, la sua riconversione produttiva per fini sociali, chiedendosi anche se non sia possibile pensare, come esiste una legge che persegue i disastri ambientali, ad una legge al contrario: che esalti le felici rigenerazioni capaci di creare e allargare, come nel caso descritto, forme di comunità.

Ex asilo Filangieri Napoli, a partire da quest’esperienza si interroga su come costruire una comunità aperta, su quali debbano essere le regole per la partecipazione e quali le forme per assumere le decisioni. Tutto questo può essere tradotto in norme.

Daniela Festa (Cinema Palazzo), riprendendo le varie posizioni, rileva come l’incontro di oggi abbia prodotto un passo in avanti rispetto alla discussione e al percorso della Costituente, la cui ricchezza potrà venire interpretata già dalla prossima Redigente (20 giugno – Teatro Valle).

Teatro di Messina ricorda la situazione territoriale siciliana dove, per esempio, la vicenda No Muos ha dimostrato la progressiva perdita di sovranità dei territori operata dallo Stato, per altro obbediente a un diktat esterno. Questa lotta a Messina ha impedito una trasformazione d’uso e una privatizzazione a vantaggio di un servizio assente in una città devastata dal liberismo e dalle infiltrazioni malavitose. Anche qui siamo in presenza di una comunità aperta composta da tanti soggetti che, ognuno con la propria specifica soggettività, ha contribuito a costruire questo spazio.

Adriano Zaccagnini (deputato M5S), prendendo come riferimento la categoria degli “usi civici” nota la loro connessione con quella, più recente, di beni comuni. La categoria di usi civici (introdotta a livello legislativo nel 1927) è stata man mano dimenticata, mentre essa può essere declinata proprio come uno sviluppo della funzione sociale e della funzione ambientale (che sono tra di loro interconnesse).

Atena, riprende il tema degli usi civici e di come da sempre questi abbiano “servito” la comunità e di come sia stata sempre la comunità a gestirne autonomamente il loro uso. Denuncia l’attacco ai beni comuni da parte della finanza.

Teatro Rossi Aperto, si interroga su come la comunità possa partecipare alla gestione di un bene pubblico per poi farne un bene comune.

Precari della Scuola, riprendono il tema del monopolio della decisione e della democrazia rappresentativa ricordando l’esperienza del referendum bolognese contro il finanziamento alle scuole private. Annunciano che l’esperienza bolognese nei prossimi mesi vorrà essere replicata anche a Roma.

Prossimo Appuntamento: 20 Giugno, Teatro Valle, Commissione Redigente