POTERI

Nomine e chiacchiere


Renzi snocciola slides e promesse e fa finanza creativa, ma poi va al sodo quando si tratta di costruire il proprio potere, come raccontano le poltrone potenti affidate ad una ragnatela di lobby ben consolidata e bipartisan.

Le difficoltà di Renzi non sono come quelle in cui ognuno di noi può imbattersi quotidianamente, sono piuttosto inciampi da cui rimbalzare, per lo più promesse calendarizzate ma al primo ostacolo spostate di data con disinvoltura o finanziate a carico di bilanci successivi (lo stesso pareggio di bilancio strutturale, provocatoriamente inserito in Costituzione, è stato rinviato fra molti pasticci al 2016) o lasciate cadere e sostituite con nuove mirabolanti promesse. Per lo più, non tutte. Per esempio, qualcosa del Jobs Act dovrà realizzarsi, perché la liberalizzazione del mercato del lavoro è una priorità indifferibile (e infatti la precarizzazione selvaggia è stata introdotta con DL). Qualche riforma andrà approvata almeno in prima lettura, ricontrattando con Berlusconi secondo l’esito delle elezioni europee –del resto, anche l’assistente anziani disabili di Cesano Boscone vorrà vedere se l’Italicum gli conviene sotto il 20%. Andamento ed esito finale restano tuttavia frastagliati, come pure il campo delle privatizzazioni.

La nomina dei dirigenti degli enti pubblici, invece, è stata portata a casa in fretta e si capisce meglio ora la tempistica della defenestrazione di Letta. Spoil system e premio ai finanziatori della campagna per le primarie sono tutto l’americanismo di Renzi, insieme alle visite alle scuole con abbraccio bambini. Di Obama, ahimè, gli manca il fasto oratorio, un retroterra imperiale e, naturalmente, una Michelle.

Veniamo allora al capitolo nomine, che ricalca, con più ciccia, la distribuzione di ministri e sottosegretari e la retorica della parità di genere. Solito annuncio: cambieremo tutto! Rottameremo! Metà donne!

In effetti, al primo turno (altri seguiranno, per effetto domino) c’è stata una partita di giro in cui alcuni boiardi anziani sono stati liquidati a peso d’oro e sostituiti da boiardi di mezz’età, altri semplicemente spostati da una casella all’altra, come Moretti (in quota D’Alema, che piazza anche Marta Dassù nel CdA) che probabilmente riuscirà nella nuova destinazione di Finmeccanica a mantenere e forse accrescere il proprio stipendio –ti credo che all’epoca delle polemiche avesse affermato «di Renzi mi fido»… Fra i pochi manager conservati, il peggiore, il super-sbirro Gianni De Gennaro, intoccabile regista di Genova 2001 e pupilla di Napolitano.

Alcune donne sono state effettivamente immesse in ruoli più decorativi che operativi (Presidenti, non AD) con la stessa logica delle ministre, cioè fidelizzandole e coprendo con lustrini di genere la lottizzazione a favore del centro–destra (Guidi nel CdM, Marcegaglia e Todini nelle nomine). Che poi la Marcegaglia, con il suo passato in Confindustria e il conflitto di interesse con l’Eni alla cui presidenza è assurta, abbia delocalizzato proprio quel giorno lo stabilimento Buildtech, beh, è una coincidenza disgraziata, che volete. Anche che la palazzinara Todini, ex-deputata FI, scaricata dal gruppo Salini e recuperata come consigliera Rai, sia entrata nel giro renziano con la rete imprenditoriale del Comitato Leonardo è una coincidenza, fortunata in questo caso. Si attende a breve un’altra leopoldina, Catia Bastioli, alla testa di Terna.

Nella scelta dei consiglieri di amministrazione, come per i sottosegretari, la retorica della parità si è invece dileguata ed è prevalsa la lottizzazione pura e semplice, con una grossa fetta agli sponsor di Renzi e della Leopolda (Landi, Campo dall’Orto, Fabri e soprattutto Bianchi, presidente della Fondazione Open specializzata in fund raising per Renzi,), per economisti turbo-liberisti di area centrista alleata quali Zingales, Pera e De Nicola. Ancora: Rao per l’Udc, Moriani protetta della Guidi ma collegata a Renzi via Manes, nonché benemerita azionista Alitalia come Marcegaglia e Mancuso), infine la quota Ncd (Gemma, Mancuso, Girdinio e Alpa). Nel collegio dei sindaci dell’Eni spicca Seracini, commercialista di fiducia di Matteo.

La Borsa è restata fredda, registrando la scarsa trasparenza del processo selettivo (pagato 60.000 € ai cacciatori di teste Spencer & Stuart e Korn Ferry) e la farsa di una presentazione di curricula a copertura di scelte decise in altro modo, ma la rete di contatti finanziari tessuta per conto Renzi da Ledeen, Gutgeld, Carrai e Serra ha piazzato adesso i paletti anche nella grande impresa pubblica. Per dirla con Folli (Sole-24ore), «Renzi ha fatto ciò che doveva e ha riassestato un sistema di potere: da oggi il suo sistema di potere».

Quando si tratta di affari, l’ex-sindaco procede con i piedi per terra, tratta in silenzio e dosa con il bilancino. Al resto riserva tweet, battutine sciape e profezie pseudo-epocali, fingendo di giocarsi il tutto per tutto ma in realtà guardandosi bene le spalle. Senza peraltro sbloccare i punti ciechi del suo progetto: le coperture ballerine del bonus di 80 € e del rimborso crediti alle imprese, la provvisorietà del Def, l’impossibilità strutturale di raggiungere il pareggio di bilancio, l’incubo del fiscal compact che si avvicina senza che il Pil decolli.

Ha la fortuna che i suoi oppositori all’interno del Pd e della Cgil non hanno spina dorsale e Berlusconi, sotto ricatto giudiziario ed elettorale, non ha interesse a smarcarsi. Condizioni adatte per galleggiare, un po’ meno per “cambiare verso”, forse neppure per portare a casa la legge elettorale. Renzi non è un Clinton o un Blair, riesce però ad assecondare i processi di smantellamento del Welfare e delle tutele lavorative accelerati dalla crisi. Speriamo che se ne accorgano non solo i precari ma anche i lavoratori che si credono garantiti e qualche loro organizzazione.