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MONDO
Né pace né libertà: la politica della morte tra tre fondamentalismi
La popolazione iraniana è stretta tra tre forze fanatiche e distruttive: il sionismo, l’islamismo e il nazionalismo monarchico. Un’analisi basata su osservazioni dirette all’interno delle dinamiche in atto in Iran
La triade fondamentalista e l’espansione infinita dei regimi di guerra
Da giorni l’intero territorio iraniano è sotto i bombardamenti di droni e aerei da guerra israeliani, mentre l’Iran risponde con missili contro le aggressioni. Considerare questo conflitto una “nuova guerra” sarebbe un errore: si tratta, piuttosto, dell’intensificazione di strategie militari interne a regimi bellici apparentemente infiniti, che emergono sempre da nuovi spazi geografici.
Oggi, i fondamentalisti in Medio Oriente hanno spinto le fiamme della guerra fino ai confini della regione. Questo fondamentalismo si manifesta in tre forme: islamico, sionista/ebraico e nazionalista-iraniano all’interno dell’opposizione di destra [i filo-monarchici iraniani che sostengono Rezha Ciro Pahlavi II, figlio ed erede dello Scià di Persia, ndr] che promuove il conflitto e legittima il massacro della popolazione iraniana. Nessuna di queste tre forze mira alla cessazione della guerra; anzi, ciascuna, con modalità proprie, cerca di intensificarla.
Questa triade è evidente nei discorsi ufficiali e non: i media religiosi iraniani parlano di una «nuova guerra sacra», quelli israeliani definiscono i bombardamenti come «attacchi preventivi», mentre figure dell’opposizione iraniana in esilio scrivono che «ogni goccia di sangue versato per la caduta della Repubblica Islamica vale il sacrificio» – anche se quel sangue appartiene a bambine e bambini innocenti.
In questo contesto, la guerra cessa di essere un fenomeno militare e diventa un regime permanente: un regime circondato da tre poteri fondamentalisti in cui non solo i confini, ma anche il significato stesso della vita e della pace, vengono annientati. La popolazione comune viene trasformata in carburante ideologico per giochi geopolitici. Nessuno dei tre poli cerca giustizia, sicurezza o libertà.
Restano sono le ceneri di un popolo mai protagonista delle decisioni.
La repressione della lotta attraverso l’intreccio tra sapere, tecnologia e Stato
Abbiamo bisogno di movimenti transnazionali contro la guerra. Tuttavia, l’organizzazione anti-bellica oggi si scontra con una nuova tragedia: l’alleanza tra tecnologia e sapere al servizio dell’apparato militare, che indebolisce le forze umane nella lotta contro i regimi di guerra. Nel conflitto Iran-Israele, ci troviamo intrappolate in un dualismo disastroso, dove ogni opzione porta solo a terrore e distruzione. I fondamentalismi attuali sono parte integrale dell’ordine globale, alleati con entità economiche che, saccheggiando le risorse dei popoli, investono in armi e tecnologie belliche.
Durante i primi giorni dei bombardamenti israeliani, molti utenti iraniani tentarono di condividere video e immagini di aree colpite come Shiraz, Kermanshah e zone a ovest di Teheran. Tuttavia, in poche ore, l’accesso a internet fu drasticamente limitato. Gli algoritmi delle piattaforme globali rimossero i contenuti, mentre il filtro di Stato e i blackout digitali entrarono in funzione.
Parallelamente, le tecnologie di sorveglianza vendute dalle aziende europee e cinesi ai governi regionali facilitano l’arresto di pacifiste e pacifisti e di giornaliste e giornalisti indipendenti. Il regime di guerra non si manifesta solo sul campo, ma vive negli strumenti che zittiscono le voci prima ancora che si esprimano.
Complessità del caso iraniano: inazione, assorbimento e adesione forzata al discorso bellico
Negli ultimi cinque giorni, il terrore della guerra ha portato anche i dissidenti del regime a identificarsi, loro malgrado, con lo Stato e l’esercito. Questa sovrapposizione imposta ha soffocato le dinamiche di protesta, trasformandole in una forma di nazionalismo bellico. Solo poco tempo fa, la Repubblica Islamica esercitava le forme più brutali di repressione e saccheggio contro il suo stesso popolo. Ora, molte e molti di coloro che urlavano “Donna, Vita, Libertà” nel 2022, sotto le bombe, rinunciano perfino al diritto di protestare.
In città come Karaj, Ilam, Khorramabad e nelle periferie di Teheran, si registrano blackout, mancanza di medicine, assenza di soccorsi, nella totale indifferenza delle autorità.
Le forze di sicurezza proibiscono di filmare e di parlare dei bombardamenti. I media ufficiali, nel frattempo, celebrano la guerra come «trionfo nazionale», unificando in modo immaginario Stato e popolo.
In questo clima, anche le più critiche e i più critici verso il regime si trovano a simpatizzare con l’apparato statale, perché in alternativa a questo sembra esserci solo l’annientamento. È questo il meccanismo sofisticato della neutralizzazione del soggetto politico: un punto in cui il potere trasforma la paura in obbedienza.
Critica all’illusione della liberazione attraverso la guerra
C’è chi, purtroppo, celebra la guerra israeliana come “liberatrice”. Ma bisogna dirlo chiaramente: anche se la Repubblica Islamica cadesse per mano di Israele o degli USA, a cambiare sarebbe solo la facciata del potere. Corruzione, disuguaglianza e sfruttamento persisterebbero. Le risorse naturali iraniane, insieme alla sua posizione geopolitica, attrarrebbero un’alleanza tra Stati e mercati transnazionali, pronti a instaurare un nuovo ordine di sicurezza permanente.
La guerra non libera. Cambia i regimi, destabilizza le vite, e distrugge le possibilità di autodeterminazione. L’Iraq e la Libia lo dimostrano: anni di violenza, occupazioni militari e degrado sociale hanno seguito la caduta dei rispettivi regimi. Chi risponderà se l’Iran subirà la stessa sorte? E può davvero esistere una «libertà attraverso i bombardamenti»?
Oltre le dicotomie: costruire un orizzonte internazionalista di resistenza
Non abbiamo a che fare con un solo nemico, ma con una rete intrecciata di poteri: l’opposizione di destra monarchica, Israele supportato dai mercati globali e il fondamentalismo islamico del cosiddetto “Asse della Resistenza”.
Per questo, dire solo “No alla guerra” non basta. Va connesso a un rifiuto complesso del potere in tutte le sue forme: “No allo sfruttamento”, “No all’occupazione”, “No alla repressione”. Un esempio concreto: al secondo giorno di bombardamenti, una nota figura monarchica in esilio ha dichiarato in TV: «Se la guerra è il prezzo della libertà, ben venga». Una posizione in linea con il progetto militare globale, indifferente alla sofferenza del popolo iraniano.
All’opposto, alcune campagne popolari iraniane all’estero — da Berlino a Parigi, da Toronto a Roma — hanno affermato: «Non siamo con la Repubblica Islamica, né con i bombardieri israeliani. Siamo con il popolo ». Sono queste le cellule embrionali di un internazionalismo della resistenza.
Il futuro della resistenza: ripensare la terza via
Come ci insegna la storia delle guerre e delle lotte anticoloniali del Novecento, una terza via è sempre possibile: quella dei movimenti popolari e armati contro gli eserciti oppressori. Ma oggi, la guerra ha mutato forma: è la guerra delle macchine contro gli esseri umani. Il sapere tecnologico è diventato decisivo nel conflitto, riducendo la partecipazione diretta dei popoli.
Il vero ostacolo è l’intreccio tra capitale, Stato e sapere nei regimi bellici. Nel conflitto Iran-Israele, questo intreccio si manifesta al massimo grado. Il popolo è paralizzato, privo di possibilità organizzativa, intrappolato tra fondamentalismo islamico, esercito israeliano e opposizione di destra. Ma un’altra possibilità esiste.
Dobbiamo immaginare un nuovo cammino, intrecciato con le lotte anti-militariste e anticapitaliste in Europa, Palestina, Libano, America e oltre. Queste lotte, pur disperse, hanno mostrato che da solidarietà minime possono nascere movimenti innovativi e orizzontali.
Forse non riusciremo a distruggere l’alleanza tra Stato, sapere e capitale nei regimi di guerra. Ma possiamo aprire nuovi spazi internazionali di lotta – che nascono dalla vita quotidiana, dall’arte, dalla cura e dalla politica non ufficiale – con un grido comune: contro i regimi globali di guerra.
Immagine di copertina di Taymaz Valley (Flickr.com)
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