EUROPA

Moria, brucia l’inferno d’Europa

Nella notte è divampato l’ennesimo incendio nel più grande campo profughi d’Europa. Questa volta, però, è quasi tutto distrutto. Probabilmente sono stati i rifugiati a chiudere il centro. Circa 13 mila persone sono in strada. È il momento di rispondere ai loro bisogni e garantirne i diritti

Per l’ennesima volta il campo di Moria è bruciato. Questa volta completamente, così come completa è la distruzione delle vite di 13 mila anime che erano intrappolate là dentro. Per cinque anni in una prigione di fango, spazzatura e violenza, uomini, donne e bambini hanno vissuto un inferno quotidiano sperando che la loro vita non proseguisse come prima.

Moria è molto più che un’esistenza in tende sporche, senza elettricità, senza fognature e senza acqua a sufficienza. Moria è un luogo in cui i bambini rifugiati sono costretti a prostituirsi per sopravvivere. Moria è un luogo in cui le donne camminano in gruppi di dieci o dormono con i pannolini perché hanno paura di essere stuprate mentre vanno in bagno. Moria è un luogo di accoltellamenti, tratta di esseri umani, suicidi e miseria organizzata dallo stato.

I confini greci sono i luoghi in cui l’Europa applica la politica di deterrenza più dura e militarizzata con lo scopo di rendere la vita dei migranti il più insopportabile possibile in modo che gli altri non vengano. Tutti e tre i corpi – esercito, guardia costiera e polizia – conducono operazioni contro un “nemico”, la cui unica arma è il proprio corpo e tutto ciò che chiede è il transito verso l’Europa e la protezione internazionale.

Anche i documenti ufficiali dicono che il sistema dei centri per migranti, degli hotspot, è disegnato con lo scopo di prevenire le migrazioni. Ieri nel campo sono stati rilevati 35 casi di Covid-19. In che modo i richiedenti asilo avrebbero potuto applicare le necessarie norme igienico-sanitarie a evitare il diffondersi del contagio con un rubinetto ogni 1.300 persone? Come avrebbero potuto applicare il distanziamento fisico se vivono in due per metro quadrato?

Come risposta il governo razzista ha annunciato la militarizzazione completa del campo e la detenzione della popolazione rifugiata, firmando un contratto da 854 mila euro con la più grande compagnia di costruzioni greca, la Aktoras, affinché realizzasse tutto intorno una recinzione.

È ovvio che questo incubo senza fine non può migliorare. Moria doveva essere evacuato e alla fine lo hanno fatto ieri nella pratica le migliaia di persone impoverite dallo Stato greco, prigioniere di una guerra dichiarata ed esercitata unilateralmente.

Bisogna stare al loro fianco con tutti i mezzi. Bisogna evacuare subito tutti i campi e soddisfare appieno i bisogni dei rifugiati. Gli Stati sono obbligati a fornire condizioni di vita dignitose ai richiedenti asilo. Mai più Moria, da nessuna parte.

Iasonas Apostolopoulos è attivista di Mediterranea. Attraverso la sua esperienza nei salvataggi in mare dinamopress ha raccontato l’evoluzione delle politiche di respingimento e criminalizzazione della solidarietà nel Mediterraneo in: Da Lesbo a Mediterranea, la storia di Iasonas Apostolopoulos

Foto via twitter, da Medici Senza Frontiere