ITALIA

“Mio fratello non è figlio unico” , racconto del corteo antirazzista di Firenze

Una mobilitazione enorme per dire che Idy, la sua famiglia, i suoi amici e tutte le persone che ogni giorno soffrono il razzismo sulla loro pelle non sono sole. Lottare insieme non è più rimandabile

Oggi, a Firenze, si è tenuto un grandissimo corteo antirazzista in seguito all’omicidio di Idy Diene, uomo di origini senegalesi, ucciso per mano di un 65enne italiano su ponte Vespucci il 5 marzo scorso. Un evento del genere non è nuovo alla città di Firenze: nel 2011 due migranti furono uccisi da Casseri, vicino all’organizzazione fascista di CasaPound. E non è nuovo nemmeno per il paese: l’attentato terroristico fascista e xenofobo di Macerata è ancora tanto presente nella memoria di tutti.

Il concentramento del corteo è stato chiamato in piazza Santa Maria Novella, alle 14.30. La piazza si riempie in pochissimo tempo.

Ciò che fin dai primi momenti colpisce è l’eterogeneità dell’assembramento. Sono tantissime le comunità senegalesi, accorse a Firenze non solo dalla Toscana, ma anche da diverse città del paese (Milano, Bologna, Torino etc). Tantissimi i migranti dei centri di accoglienza. Tante le persone solidali. Superato il ponte dove Idy è stato ammazzato, non si riesce a vedere la coda. Più di 30milapersone attraversano i lungarni fiorentini. Un dato che fa ben sperare dopo i risultati elettorali, di cui il clima che viviamo non è affatto un figlio illegittimo.

Eterogenei sono anche i sentimenti che accompagnano i manifestanti. Tanta la tristezza, mista a paura, per l’ennesimo omicidio a sfondo razziale. L’Italia, dicono alcuni migranti, è un paese che sta diventando invivibile per chi ha avuto la “sfortuna” di nascere nero.

Dall’altro lato, lo sconforto viene superato da una determinazione indescrivibile. Ciò che muove il corteo è la volontà di dimostrare che Idy non era solo, che il razzismo, nonostante la sua violenza, deve essere arginato. E che questo è possibile solo costruendo una comunanza e solidarietà diffusa.

Tutto questo si trovava racchiuso in uno striscione (il più fotografato), che diceva: “Mio fratello non è figlio unico”.

Il corteo è chiuso dalla preghiera di un imam. Poi un silenzio assordante avvolge la piazza: l’abbraccio collettivo di cui tutte e tutti, migranti e non, avevamo bisogno.