EUROPA

Lo sciopero più lungo della storia delle università inglesi

Il 22 febbraio è iniziato lo sciopero proclamato dal sindacato UCU in 61 Università inglesi contro la riforma delle pensioni. La protesta avviene in uno dei settori più floridi dell’economia inglese che negli ultimi anni ha subito una feroce trasformazione in senso neoliberale tra indebitamento degli studenti e precarizzazione dei ricercatori e dei docenti.
Intervista a Gabriella Alberti attivista sindacale UCU e professoressa associata all’Università di Leeds

Il sistema universitario inglese è una perfetta macchina di soldi. Ogni anno accorrono da tutto il mondo studenti per iscriversi in quelli che i ranking internazionali certificano come i migliori atenei del globo. Il settore ha avuto una crescita economica notevole dopo lo storico aumento delle rette, gli studenti britannici ed europei pagano circa 9 mila pounds all’anno e quelli non comunitari devono affrontare una spesa di circa 12 mila sterline. Una spesa proibitiva tanto che in molti ricorrono all’indebitamento per sostenere il pagamento delle tasse (l’indebitamento ha raggiunto nel 2017 la cifra record di 90 miliardi di sterline). Come in un perfetto sistema neoliberale all’aumento della ricchezza è corrisposto un drastico peggioramento delle condizioni di lavoro: precarietà, bassi salari, estrema competizione. In questo contesto è stato proclamato «uno degli scioperi più lunghi della storia del settore universitario in UK»

 

Visto dall’Italia, dove il sindacato fatica anche a chiamare un solo giorno di sciopero, sembra una cosa fuori dal mondo. Come si articolerà la protesta?

Lo sciopero inizia il 22 febbraio e ogni settimana ci sarà un giorno di sciopero in più, secondo una sorta di escalation strategy si inizierà il 22 e il 23 febbraio e si continuerà fino al 16 marzo, in totale ci saranno più di 14 giorni di sciopero pieno. Parteciperanno 61 università solo in altri sette campus, tra cui Birmingham, non è stato raggiunto la soglia  del 50% al referendum interno per cui la votazione è stata annullata. Inoltre non sono incluse le Università post-1992 che hanno un altro tipo di schema pensionistico

 

Chi ha indetto lo sciopero e qual è la richiesta?

Lo sciopero è stato indetto dal sindacato University and College Union (UCU) e viene contestata l’attuale proposta di riforma delle pensioni che trasferisce il rischio dal datore di lavoro al lavoratore. La riforma consiste in una trasformazione market-leading del sistema pensionistico per cui l’ammontare della pensione non si calcolerà rispetto ai contributi versati o agli ultimi stipendi ricevuti ma verrà a dipendere dagli andamenti del mercato finanziario. Ad inizio gennaio il sindacato ha indetto una votazione e il 58% in media dei membri tra tutti i campus universitari hanno preso parte alla votazione. Di questi l’88% dei votanti ha espresso supporto a favore di quella che qui viene chiamata industrial action (lo sciopero) e il 93% a favore di una “action short of a strike” (che spesso si riferisce a una peformance parziale del proprio contratto, per esempio rifiutare di fare gli esami finali). Il referendum è un passaggio necessario specialmente in seguito all’introduzione, da parte del governo, della nuova legge sui sindacati (the trade union bill) secondo la quale se nel ballot non si raggiungesse il 50% di elettori iscritti al sindacato la votazione risulterebbe nulla, questa volta la partecipazione è stata decisamente piu alta della soglia richiesta per proclamare lo sciopero.

 

L’Università in Inghilterra è uno dei settori strategici dell’economia nazionale, ogni anno migliaia di studenti di tutto il mondo si iscrivono negli atenei inglesi. State toccando uno dei nervi scoperti del sistema inglese. Le reazioni da parte dei dirigenti e dei rettori sono state molto dure fino ad arrivare alle minacce, in molti hanno denunciato la fine del diritto allo sciopero nel Regno Unito. Ci può raccontare cosa sta succedendo?

La risposta del management è stata molto violenta, non solo detrarranno totalmente il salario dei 14 giorni di sciopero, ma la cosa più grave è che in seguito alle fine dello sciopero i dirigenti di quasi tutte le università hanno chiesto ai professori di ri-organizzare tutte quelle lezioni che andranno perse. Ciò è fondamentalmente impossibile perché una volta finito lo sciopero, dovremmo comunque tornare a lavorare a tempo pieno, per costringerci ad accettare il loro diktat hanno minacciato di sottrarci fino al 25% dalla nostra paga mensile! Recuperare le lezioni perse per quanto mi riguarda significa annullare l’impatto dello sciopero, per fare un esempio è come se ad un operaio dopo uno sciopero gli venga chiesto di produrre esattamente ciò che non ha prodotto nei giorni di astensione dal lavoro. Questo significa negare di fatto il diritto di sciopero.

Nell’università italiane difficilmente si riesce a portare avanti delle battaglie comuni tra personale strutturato e precari, molto spesso le vertenze si riferiscono al particolare a danno delle richieste comuni. Nella proclamazione dello sciopero è stato coinvolto anche il personale non strutturato? Quali strategie avete adottato per creare un fronte più largo possibile?

Questa domanda va al cuore dell’ attuale situazione all’Università di Leeds. Dopo la minaccia della management di detrarre il 25% della paga per “action short of a strike”, i primi a vacillare sono stati i precari e in particolare i dottorandi che costituiscono una parte preponderante della docenza sopratutto perché sono quelli che coprono i seminari in cui hai un rapporto più diretto con gli studenti. L’università inglese si basa sempre di più sul lavoro precario: pagato a ore; fixed term; part-time o contrattualizzati. I ruoli di docenza vengono assegnati sempre di più a queste figure contrattuali precarie. Il sindacato ha portato avanti un’azione molto concreta e ha dato la possibilità ai precari di richiedere un rimborso per il salario perso durante lo sciopero. I fondi di cui si parla si aggirano intorno alle 500 sterline a persona per l’intero periodo di sciopero, che sono più o meno 50 pounds al giorno a cui si potranno aggiungere i fondi locali che ogni sezione sindacale a livello di campus mette a disposizione per le richieste di rimborso. É stato messo in pratica un principio basilare del mutualismo sindacale. La priorità dei fondi dello Strike pay verrà data ai precari, in quanto, se sei pagato a ore, perdi in proporzione di più di un docente con un salario mensile fisso.

 

Mi sembra che sull’Università si stia giocando una partita molto più ampia che riguarda anche il futuro del Regno Unito e intreccia l’economia finanziaria nella quale i fondi pensionistici rappresentano una delle risorse più importanti

Nel settore pubblico il sistema pensionistico non è stato ancora messo sul mercato azionario, per cui si dice che il governo dei Torys abbia un interesse al ché la riforma passi, può diventare un primo esempio di privatizzazione di un fondo pensionistico semi-pubblico. Inoltre secondo il principio del de-risking strategy i soldi verranno investiti in bond di stato, l’interesse potrebbe essere anche quello di stabilizzare l’economia inglese in una fase turbolenta come può essere la Brexit.

 

Quali sono le richieste che porta avanti il sindacato?

La nostra controparte è UK University un consorzio di rettorati che, in accordo con i gestori della cassa pensionistica, hanno valutato che l’esposizione al rischio del fondo è eccessiva e quindi la riforma è necessaria perché il sistema è insostenibile. Il nostro sindacato non è stato particolarmente chiaro sulla contro-proposta, e come alternativa hanno indicato la possibilità di aumentare la contribuzione dei lavoratori e dei datori di lavoro. Però dentro il sindacato molti non sono d’accordo con chi dice che il fondo è a rischio bancarotta, mettendo in discussione proprio dalla base le motivazione della finanziarizzazione. Altri ancora sostengono che questa lotta è stata persa due anni fa quando i sindacati hanno accettato la riforma delle pensioni con la fine del sistema retributivo (final salary). Dopo il 2011 il nuovo schema è un ibrido e ha una metà defined benefits e l’altra defined contributions. Ora è arrivata l’ultima mazzata non c’è più una garanzia su quello che prenderai alla fine della tua carriera, tutto dipenderà dal mercato finanziario, quindi vi è un’esternalizzazione del rischio dall’imprenditore al lavoratore che è un principio classico del neoliberismo.

 

Il drastico aumento delle tasse avvenuto qualche anno fa e il bisogno di accedere al credito per pagarle ha trasformato gli studenti in una classe indebitata. Per cui fin da giovanissimi vivono su di loro una fortissima pressione. Immagino le difficoltà nel coinvolgerli nello sciopero, come hanno reagito alla vostra protesta?

Qui a Leeds c’è gruppo che si chiama Leeds Student Support UCU che hanno fatto circolare una petizione in cui si chiedeva al rettore il ritorno al negoziato. Tuttavia dal mio osservatorio di docente, ogni giorno mi relaziono con circa 200 studenti (in gran parte internazionali) e penso che ormai abbiano completamente introiettato la logica del consumatore. La gran parte degli studenti che si mobilita lo fa per chiedere il rimborso delle ore di lezione perse, questa cosa potrebbe giocare a favore del sindacato perché mette il dito nella piaga e va ad approfondire una tensione tipica delle università neoliberali. Da un lato vorresti come lavoratore della conoscenza che gli studenti ti sostengano perché si tratta del futuro del sistema pensionistico, anche del loro, dall’altro però ti rendi conto che ormai l’università di mercato ha vinto e lo studente si ritrova con un debito che dovrà in qualche modo restituire appena entra nel mercato del lavoro. Il fatto che gli insegnanti li privino di un pezzo importante del pacchetto che hanno comprato a costo di indebitarsi crea ovviamente una contraddizione, una crisi che è essenzialmente di solidarietà. La domanda che mi pongo è la seguente: è possibile la solidarietà nell’accademia neoliberale britannica? Non conosco la risposta. Sto provando a coinvolgere i miei studenti, ho mandato una petizione, delle lettere da firmare, dei video. Vedremo come reagiranno quando inizierà lo sciopero.

 

 

Nelle università inglese si vive è un paradosso, vi è contemporaneamente l’aumento delle tasse e degli iscritti e una rapida diffusione della precarietà tra i docenti e ricercatori. Ci spieghi un po’ come è strutturato il sistema inglese?

Il personale precario è impiegato soprattutto nelle lezioni seminariali che richiedono una maggiore interazione cogli studenti, dove da un certo punto di vista vi è un coinvolgimento maggiore di chi insegna, per cui si può dire che da loro dipende sostanzialmente la qualità dell’offerta formativa. La gran parte dei precari è pagata a ore oppure sono fixed term, altri ancora sono dottorandi a cui è finita la borsa e i il dipartimento gli ha offerto dei contratti al 50% però spesso le ore di lavoro superano quanto è scritto sul contratto (il cosiddetto “workload model” che distribuisce le ore di lavoro effettive ha un valore piu simbolico che descrittivo). Sono loro che soffriranno di più della riforma pensionistica quando troveranno un altro lavoro nel settore. Poi ci sono i ricercatori che vengono reclutati sulla basi dei fondi di ricerca già vinti tranne nel caso in cui siano loro stessi i Principal Investigator di un progetto. Poi a Leeds c’è la figura del UAF (University Academic Fellows) che sono contratti molto strani, sulla carta sono a tempo indeterminato però hanno un elemento di 5 anni di probation, cioè fino al quinto anno rimani in bilico,  sei in prova, e quasi tutto dipende dalla tua capacità di ottenere fondi. Tutto questo non fa che creare un’enorme pressione sul ricercatore.

 

Dunque una delle capacità maggiori di un ricercatore deve essere quella di trovare fondi?

Come ricercatore sì e magari in certi dipartimenti l’aspettativa è che offrano certi insegnamenti gratis (anche se bisogna dire che a confronto con l’Italia tutti gli assistenti inseganti sono pagati). C’è pero una specie di biforcazione tra l’insegnamento e la ricerca dove i professori più importanti hanno sempre più tempo a disposizione per la ricerca perché possono esternalizzare l’insegnamento, mentre loro si occupano di scrivere grossi progetti di ricerca. Tra l’altro questi vengono assegnati a chi ha già un track record, all’interno dell’accademia vi è una sorta di riproduzione della classe dominante e del potere accademico. Al di fuori di questa cerchia c’è una classe di ricercatori sempre più precaria e di insegnanti assunti con contratti a tempo determinato -senza un vero motivo perché secondo la legge, se non c’è una ragione specifica per reclutare a tempo determinato, come sostituire una lavoratrice in maternità, non si potrebbe fare.

 

Dal quadro che abbiamo appena tratteggiato lo sciopero si inserisce in un settore che negli ultimi anni ha subito una completa trasformazione: di soggettività, di forme di vita. In questo scenario la riforma delle pensioni è solo l’ultimo tassello di un sistema più complessivo

Anche se l’istanza sindacale è sulla questione delle pensioni in realtà molti di noi sono in sciopero per tanti altri motivi: l’università orientata al mercato ha trasformato il rapporto pedagogico con gli studenti che sono diventati consumatori. Le implicazioni si hanno sulle nostre vite, ogni cosa che facciamo viene valutato su indici di perfomance creati per il settore privato. Ciò che conta è lo student service, ossia come gli studenti valutano la tua performance e quanti soldi riesci a portare con i fondi di ricerca. In un’università così marketizzata la qualità dell’insegnamento e della ricerca  vanno al ribasso insieme con le condizioni salariali dei lavoratori. Si dice che la pensione è una forma di salario differito, è stato calcolato che con la riforma i docenti verrano “derubati” di circa 200 mila sterline per depositarli nel mercato finanziario. Il problema è che i salari dei docenti, eccetto i rettori, i professori all’apice delle gerarchie e gli executive management, sono diminuiti del 14% reale, l’ultimo aumento ottenuto dal sindacato è stato dell’1%, francamente ridicolo, per cui si può dire che siamo attaccati da tutte le parti.

 

Ultima domanda che aria si respira in dipartimento?

Per chi insegna sociologia del lavoro e relazioni industriali, come me, far parte di uno sciopero e organizzarsi insieme a propri colleghi che sono bravi a formulare teorie ma non sempre nelle pratiche ha aperto una serie di contraddizioni. Nel mio dipartimento da una parte ci sono quelli che possiamo chiamare “i legalitari” e dall’altra quelli che preferiscono le guerrilla tactics piu orientate al sabottaggio e strategie invisibili. C’è una tensione interna che si sta giocando su come comportarsi durante lo sciopero, una parte dei docenti (anche quelli con buoni salari) non vuole dichiarare al management di essere in sciopero per non rimetterci i soldi. Dal mio punto di vista questa strategia non e’ del tutto difendibile dato il contesto di un sindacato che necessita visibilità. E poi, noi non timbriamo il cartellino per cui se non dichiariamo di scioperare il management non può applicare la detrazione di salario e punire finanziariamente chi sciopera, si vuol fare una sorta di sciopero selvaggio. Però il sindacato teme che questa forma di disobbedienza possa tornarci indietro come un boomerang perché farebbe abbassare le percentuali di adesione allo sciopero, questo mi fa riflettere come paradossalmente un sindacato debole debba facilitare la visibilità della lotta anche a scapito di andare contro gli interessi immediate dei lavoratori e apparentemente aiutare il management. Ma ogni strategia deve essere capita nel su contesto, quello di un paese in cui il vero diritto allo sciopero non e’ garantito.