ROMA

«Siamo un’alternativa al deserto». Il centro sociale SCuP! ancora sotto sgombero

Il centro sociale autogestito in zona Tuscolana è nuovamente sotto sgombero, dopo oltre otto anni di attività nel quartiere con iniziative che vanno dallo sport popolare alle più raccolte di beni alimentari per le famiglie in crisi per via dell’emergenza sanitaria

Situato in alcuni capannoni dismessi della stazione Tuscolana, il centro sociale Scuola e Cultura Popolare (Scup) esiste a Roma sin dal 2012, ma già più volte è stato oggetto di sgomberi e chiusure. Nato originariamente negli spazi di via Nola 5, Scup viene sgomberato una prima volta nel gennaio del 2013, costringendo volontari e occupanti a spostarsi in un altro stabile sulla stessa strada, per poi riprendersi la sede originale. Il secondo sgombero è arrivato il 7 maggio 2015: questa volta le ruspe dell’amministrazione Marino hanno distrutto quasi tutta la struttura, comprese la palestra, i bagni e una biblioteca con oltre cinquemila volumi. Ma la risposta non si è fatta attendere a lungo: il giorno stesso una grande manifestazione cittadina ha preso possesso dei tre capannoni industriali di via della Stazione Tuscolana, dove Scup risiede ancora oggi.

«Dopo lo sgombero di via Nola siamo riusciti a occupare qua perché quando abbiamo lanciato l’appello si son presentate più mille persone. Altrimenti sarebbe stato molto difficile», ci racconta Bruno, sessant’anni e il fisico asciutto che ci si aspetta da un istruttore di arti marziali. «Scup è partito come una specie di welfare autogestito: erano tutti professionisti che lavoravano nello sport, nella danza, nel teatro, con l’esigenza di creare una palestra popolare. Una situazione in cui l’accessibilità fosse alla portata di tutti. Da quando siamo arrivati qua, il progetto si è evoluto: prima del virus c’erano più di dieci tipi di corsi diversi. Danza, tre tipi di yoga, varie arti marziali e anche teatro, per esempio con i ragazzi asperger. Gli stessi che il giovedì gestivano l’osteria di Scup. Ci sono corsi fatti apposta per chi ha abilità diverse e per tutte le età. D’altronde io insegno tai chi chuan e ho sessant’anni», confessa con un sorriso Bruno.

 

L’arrivo del nuovo coronavirus e il successivo lockdown hanno bloccato le attività di Scup ben prima della consueta pausa estiva dei vari corsi, ma quella arrivata dalla Cina non è stata l’unica minaccia.

 

Infatti, come vi abbiamo già raccontato, Scup ha scoperto, proprio qualche giorno prima dell’annuncio del lockdown nazionale, che quegli spazi di via della Stazione Tuscolana rientrano nelle aree urbane inserite nel bando Reinventing Cities. «Questo bando ha una formulazione ambigua: si tratta sostanzialmente di un appalto/concorso. Un concorso in cui non sono i professionisti a presentare idee progettuali per un intervento poi messo a bando, ma sono le imprese che presentano, con un loro gruppo di progettazione, una proposta e un piano di fattibilità economica per la realizzazione della stessa», ci spiega Maurizio Crocco, architetto e urbanista, da sempre frequentatore di Scup. «L’appalto/concorso abbrevia i tempi successivi all’approvazione del progetto che ha vinto il bando: l’aggiudicazione dei lavori insomma. E questo è Reinventing Cities a Tuscolana. Però senza dirlo. Un po’ in malafede così».

L’annuncio dello sgombero è arrivato ai primi di settembre, seguito a breve distanza da una proroga temporanea: a marzo 2021 è attesa l’assegnazione dei lavori al progetto vincitore del bando. «Anche noi abbiamo partecipato al bando. Avevamo intenzione di presentarci per conto nostro, ma alla fine abbiamo presentato il nostro progetto insieme a uno studio di Roma, molto noto: Nemesi di Michele Molè. È stata una collaborazione di brevissimo periodo, ma proficua: Nemesi ha accolto in pieno tutti quelli che erano i nostri contenuti e li ha inseriti nella relazione di dieci pagine. Uno dei due elaborati che andavano presentati per il bando, insieme a un rendering in formato A3 e una serie di immagini che dovevano dare una primissima immagine di quella che è l’idea progettuale», ci dice sempre Maurizio. «C’erano altri dieci gruppi che partecipavano e ne sono stati selezionati cinque per la seconda fase del bando, ma purtroppo non siamo tra questi. Non conosciamo neanche i criteri che sono stati adottati per la decisione. Io ho visto i cinque gruppi che sono passati, ma nella prima fase del bando non era necessario indicare il soggetto economico attuatore dell’iniziativa. Nella seconda fase del bando diventa invece obbligatorio. Dei cinque gruppi che sono già passati, tre comunque lo hanno già indicato, due invece no. Di questi due, uno è quello di Paolo Desideri, professore di Roma che ha già realizzato la stazione-ponte di Tiburtina. Gira voce che dietro Desideri ci sia WeBuild, una grossa e importante società nell’ambito delle costruzioni con un capitale di oltre 42 milioni di euro. Siamo in quest’ordine di grandezza di queste cifre».

 

Gli fa eco Bruno: «Sappiamo per esperienza, perché lo abbiamo già visto succedere, che finanziatori così pesanti si muovono solo per profitto, anche se nel progetto ci sono finalità buone».

 

Tutti gli attivisti di Scup, nonostante la preoccupazione, hanno già iniziato ha muoversi: lunedì 7 settembre si è tenuta una partecipatissima conferenza stampa. Hanno preso parola numerosi esponenti del centro sociale e di altre associazioni che si ritrovano a Scup, ma anche politici: la consigliere regionale Marta Bonafoni, il deputato Paolo Lattanzio e l’assessore alla cultura del III Municipio Christian Raimo. Ognuno di loro ha espresso la massima solidarietà a Scup. «Sotto elezioni ci corteggiano un po’ tutti, ma solo perché ci vedono come un serbatoio di voti e non per quello che veramente siamo: propositori di servizi al quartiere», ammette un po’ sconsolato Bruno. Le risposte vanno dunque cercate altrove e Scup si è già mosso in questa direzione: durante la conferenza stampa è stato infatti annunciato un laboratorio di progettazione partecipata, inaugurato da un primo incontro sabato 12.

 

 

«Questa cosa di Reinventing Cities è partita da una variante al piano regolatore che impone la riqualificazione di tutto quest’asse ferroviario e prevede l’abbattimento dei capannoni per creare qualcosa di alternativo», lamenta Bruno. «Se l’obiettivo della rigenerazione non contempla un ruolo pubblico attivo e di regia, allora è solo un’azione speculativa di privati che intervengono sulle aree centrali e semi-centrali. Le zone che sono oggi appetibili per il mercato», analizza lucidamente Maurizio. Il laboratorio di progettazione partecipata si muove invece secondo altri criteri e spinto da altre motivazioni, come ci illustra Bruno: «Da sempre noi cerchiamo di offrire servizi e cerchiamo di offrirli in maniera il più possibile orizzontale, col coinvolgimento della gente. Cercare l’orizzontalità in ogni forma di organizzazione per noi è fondamentale. Servizi che qui mancano e rischiano di essere ancora più ridotti dallo sgombero nostro. Anche Lucha Y Siesta sta in questo municipio e pure loro sono sotto sgombero. Tra l’altro questo è un municipio enorme: parte da San Giovanni e arriva ad Anagnina, è una città praticamente».

«Noi non partiamo dall’idea di sostituirci al comune», prosegue ancora Bruno. «Ma di auto-organizzare una risposta al deserto che ci circonda: continuo taglio dei servizi, a cominciare dai consultori e centri anti-violenza.

 

Noi guardiamo soprattutto a coloro che si trovano in difficoltà: come i ragazzi asperger che hanno bisogno di essere seguiti in un certo modo…

 

E fino adesso ci siamo riusciti anche abbastanza bene, anche il discorso del Gas rientra in quest’ottica». Il Gas è il Gruppo di acquisto solidale, chiarisce Monica, una delle ragazze che se ne occupa a Scup, tutti i mercoledì alle 18,30. «Come in tutte le grandi città, a Roma ci sono tantissimi Gas e di solito riforniscono un quartiere. A Roma quasi tutti i quartieri hanno il proprio Gas. Noi ci riforniamo principalmente da Barikamà, una cooperativa di ragazzi migranti che anni fa ha iniziato a produrre lo yogurt, con una ricetta africana, e poi ha preso anche dei terreni a Martignano per coltivare frutta e verdura di stagione». Oltre ai prodotti di Barikamà, il Gas di Scup si appoggia alla rete Fuori Mercato: «Perché sì, c’è il chilometro zero reale, ma ce n’è un altro che possiamo definire chilometro zero politico. Per esempio: noi vendiamo la passata prodotta da SfruttaZero, che ovviamente non è a chilometro zero. La fanno in Salento, ma è il progetto di una cooperativa di ragazzi italiani e migranti, tutti con regolari contratti e un modo di lavorare estraneo al caporalato. Per questo parliamo di chilometro zero politico: tutta la filiera è etica», continua Monica, che però deve ammettere: «Purtroppo non sono prodotti che tutti si possono permettere». Durante il lockdown, impossibilitate dal continuare il Gas in maniera regolare, Monica e le altre attiviste si sono organizzate per continuare comunque: «Noi per primi avevamo difficoltà a muoverci, quindi abbiamo chiuso, però abbiamo preso gli ordini per Barikamà e loro consegnavano a domicilio».

Cheik Diop è originario del Senegal e vive a Roma dal 2007, anno del suo arrivo in Italia. Fa parte della cooperativa Barikamà ed è lui a raccontarci del lavoro svolto durante i mesi di lockdown: «Abbiamo avuto davvero tanto da fare, quasi troppo: quasi non riuscivamo a soddisfare tutti.

 

Eravamo attivi tutti i giorni, dal martedì alla domenica: a volte avevamo più di cinquanta famiglie a cui fare consegna in un solo giorno, senza riposo.

 

Consegne e confezionamento e così via, con anche il rischio di contagio. Ma ce l’abbiamo fatta grazie all’aiuto di tutti». Nello stesso periodo il Gas di Scup, insieme ovviamente ai ragazzi di Barikamà, ha dato vita a un’altra iniziativa benefica, che Monica ci illustra con grande orgoglio: «Abbiamo deciso, insieme ai gasisti (cioè gli acquirenti del GAS) di creare la cassetta sospesa, tipo caffè sospeso. Chi voleva, al momento dell’acquisto della propria cassetta, poteva lasciare una donazione con cui noi pagavamo a Barikamà altre cassette, da devolvere a chi non poteva far la spesa. Adesso le donazioni sono diminuite, quindi ci limitiamo a comprare delle cose di prima necessità per chi non se lo può permettere. È stato un circolo virtuoso tra noi che l’abbiamo pensata, tutti i gasisti che hanno donato e Barikamà che faceva le consegne. Anche loro e l’altro produttore, Adriano, se avevano degli avanzi, li mettevano a disposizione delle cassette sospese».
L’ennesimo esempio, concreto, di cosa significa Scup e di cosa potrebbe perdere il quartiere tuscolano e tutto il VII Municipio, se lo sgombero atteso per il prossimo marzo dovesse accadere veramente.

 

Tutte le immagini sono di Nicolò Arpinati