DIRITTI

L’accordo con la Turchia è una vergogna targata UE

Guerra ai rifugiati, guerra alle opposizioni interne, guerra in Siria: tre partite dell’accordo tra i paesi europei e la Turchia di Erdogan.

Domenica 29 novembre l’Unione Europea ha siglato una nuova dichiarazione di guerra ai rifugiati, ai diritti umani e alla democrazia. I leader europei concederanno ad Erdogan 3 miliardi di euro (iniziali), la promessa di liberalizzare i visti di ingresso dei cittadini turchi e la possibilità di fare dei passi in avanti nel processo di adesione del paese. In cambio, chiedono alla Turchia un maggiore impegno nel contrasto dei flussi di rifugiati provenienti dal Medio Oriente e dall’Asia, in particolare dalla Siria, che dalla scorsa primavera hanno percorso in massa la rotta balcanica diretti verso i paesi dell’Europa del Nord.

Questo accordo è il trionfo della strategia del presidente turco, che in tutti questi mesi ha deliberatamente permesso il transito di migliaia di persone verso il vecchio continente allo scopo di aumentare il suo potere contrattuale e strappare finanziamenti e sostegno politico. Ancora una volta, i governi europei hanno deciso di affrontare il fenomeno delle migrazioni internazionali in un’ottica miope: evitando rigorosamente di agire sulle cause che lo producono in forma così massiva (guerre, povertà, mancanza di diritti, catastrofi climatiche), ma spostando semplicemente la frontiera un po’ più in là. In aggiunta alle recinzioni di filo spinato e ai muri spuntati come funghi dalla Macedonia all’Ungheria, fino alla Slovenia, l’UE ha deciso di trasformare la Turchia in un’immensa zona di permanenza temporanea a ridosso delle sue frontiere esterne. Questo paese da un lato ostacolerà il viaggio di chi vuole raggiungere l’Europa, dall’altro diventerà il luogo in cui deportare chi è riuscito a entrare nello spazio Schengen ma non ha ottenuto la protezione internazionale, e risulta quindi un “migrante economico”. L’accordo è anche un passo in avanti verso l’esternalizzazione dell’asilo: quel meccanismo che confinerebbe nei paesi terzi la procedura di richiesta della protezione internazionale, impedendo a monte l’ingresso di chi non rientra nella figura giuridica del rifugiato.

Torneremo sui dettagli tecnici e giuridici dell’accordo in un altro momento. Qui ci interessa analizzarne le conseguenze politiche, che sono gravissime su due fronti.

Primo: la funzione assegnata alla Turchia rispetto alle politiche dell’immigrazione europee ne rafforza enormemente l’importanza geopolitica, aprendo per Erdogan spazi di impunità praticamente assoluti rispetto alle questioni interne. In questi mesi abbiamo assistito alle violenze e agli omicidi contro centinaia di curdi, alle bombe nelle piazze, all’assalto delle sedi dei giornali di opposizione, al tentato omicidio del leader dell’HDP Selhattin Demirtas e all’uccisione di Tahir Elci, avvocato schierato dalla parte dei diritti umani e della causa curda. Agli episodi di cui non è possibile accusare direttamente Erdogan, sebbene rientrino chiaramente in quel clima d’odio e caccia al nemico interno che proprio il presidente turco ha instaurato, ci sono poi gli abusi e le violazioni di diritti umani di cui è direttamente responsabile lo stato. Dall’arresto dei giornalisti che hanno pubblicato le prove del sostegno economico e militare della Turchia all’ISIS, alle aggressioni (numerosissime) delle forze di polizia contro i parlamentari di opposizione dell’HDP, fino agli attacchi militari contro la popolazione civile curda da parte dell’esercito. A Cizre, Hakkari, Silvan, Idil, Silopi, Siirt, Diyarbakir-Sur, Gever, Nusaybin continuano gli assedi e il coprifuoco. Le forze speciali turche circondano i quartieri e i villaggi dove la gente ha votato HDP e dove vengono avanzate richieste di democrazia e rispetto per i diritti umani. Isolano questi luoghi, staccano acqua e corrente, impediscono alle persone di uscire a rifornirsi di cibo con la minaccia dei cecchini. In alcuni casi arrivano a bombardare con gli elicotteri luoghi di preghiera ed edifici storici. I morti in queste operazioni si contano a decine, con una netta prevalenza di donne e bambini. Siamo di fronte a veri e propri crimini di guerra, ad attacchi militari contro civili che hanno in tasca il passaporto turco, che appartengono allo stesso paese dei soldati che gli sparano addosso.

Secondo: con questo accordo, nel conflitto scatenato da Erdogan all’interno del paese c’è il pericolo che si apra un nuovo fronte. Dopo i curdi, i rifugiati in fuga da guerre e fame rischiano di diventare il nuovo bersaglio del governo turco. E purtroppo non si tratta di rischi teorici, ma di fatti. In spregio al diritto internazionale e al principio di non refoulement, già da alcuni mesi la Turchia ha chiuso i due valichi di frontiera ufficiali con la Siria, filtrando massicciamente il passaggio dei rifugiati siriani. Questi, in fuga dall’ISIS e dai bombardamenti aerei, si trovano perciò costretti a tentare di superare la frontiera attraverso altri passaggi, spesso impervi e pericolosissimi. Human Rights Watch ha raccolto numerose testimonianze di persone costrette ad arrampicarsi sulle montagne e a mettersi in mano ai trafficanti per riuscire a lasciare la zona di guerra. Queste persone raccontano anche le violenze dell’esercito turco, che nei luoghi di confine non ufficiale utilizza qualsiasi forma di violenza, fino ai colpi di arma da fuoco, per respingere i rifugiati, non facendosi scrupoli nemmeno davanti a donne e bambini. Ci sono tutti gli elementi per credere che dopo l’accordo queste pratiche verranno incentivate e sistematizzate. Del resto, da molto tempo la Turchia persegue il progetto di creare delle zone cuscinetto in Siria, per stipare i rifugiati al di là del confine (in realtà soprattutto per impedire che i curdi ottengano la continuità territoriale tra i diversi cantoni del Rojava). Violenze ai confini orientali del paese, dunque, ma violenze anche lungo quelli occidentali. È di questi giorni la notizia che poche ore dopo la firma dell’accordo con l’Europa, otto operazioni congiunte siano state lanciate dalla polizia turca sulle coste che affacciano sul Mediterraneo. Nei principali luoghi di imbarco per le isole greche, pare siano stati arrestati oltre 1.300 rifugiati in una sola notte, con lo scopo di dimostrare mediaticamente che la Turchia adesso ha intenzione di contrastare con decisione il transito verso l’Europa.

È a questo paese che l’Europa ha deciso di affidare la vita di milioni di persone, decidendo di bypassare completamente qualsiasi attenzione verso il rispetto dei diritti umani e della democrazia. Ma non si tratta solo di chiudere gli occhi o di rimanere fermi o in silenzio. Con questo accordo, l’UE ha scelto di svolgere un funzione attiva rispetto a quanto sta accadendo al di là del fiume Evros, sostenendo economicamente e politicamente il processo di trasformazione dello stato turco in uno stato sempre più autoritario. Ancora una volta l’Unione Europea ha scelto la miopia, ha scelto di provare a fermare un fenomeno storico come le migrazioni internazionali con un dito, creando le condizioni perché nel medio-lungo periodo le persone costrette a cercare asilo aumentino ancora. Questa volta l’ha fatto affidandosi ad Erdogan, un personaggio che con le sue scelte politiche sta spingendo verso il baratro la già disperata situazione medio-orientale e che viene accusato da numerosi soggetti politici e dell’informazione di essere tra i principali sostenitori dell’ISIS e di altri gruppi jihadisti.

Alla faccia della Convenzione di Ginevra e delle vittime del Bataclan.