MONDO

G7: l’Italia nel vortice tra USA e Russia

Il presidente Conte ha cercato di districarsi senza troppo successo, nel pieno di una doppia rottura fra Trump e la Ue e fra Putin e il G7. L’Italia è finita nel vortice tra USA e Russia, con cinesi e iraniani ad assistere sogghignanti allo spettacolo

Nella sua prima apparizione internazionale, il neo-presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, si è proclamato portavoce delle “volontà degli italiani”. Al di là dei convenevoli sul “bilaterale amichevole” descritto da Donald Tusk, in riferimento al suo incontro preliminare con Conte, l’Italia, in un afflato individualista e negoziando soluzioni direttamente con Washington, rischia di indebolire le posizioni UE di fronte agli USA.

Gli stati europei si sono scontrati con Trump su diversi punti, in primis sulla Russia. Trump aveva sostenuto poco prima del summit che quest’ultima avrebbe dovuto essere riammessa al G8, da cui era stato esclusa nel 2014 per via della guerra in Ucraina e dell’annessione della Crimea. Conte, da parte sua, non ha tardato a dirsi d’accordo con l’affermazione del presidente americano, dimostrandosi l’unico tra i leader europei a non mantenere una posizione critica nei confronti della Russia. Peccato che abbia ottenuto una carezza dalla mano leccata appena un attimo prima che Trump scappasse via dal summit tuittando oltraggiosamente che non ne avrebbe firmato il documento finale. Peccato che Putin abbia respinto sdegnosamente l’offerta di entrare nel G7 allargato, irridendo alla sua composizione asfittica e sostenendo che il centro dell’economia e del potere mondiale stava in quel momento nella Shanghai Cooperation Organization, con il non irrilevante corollario della presenza dell’Iran. Insomma, Conte si è trovato nella situazione più disgraziata per le sue avances a Trump e rischia che la Ue gli faccia pagare la mossa falsa.

Subito dopo, infatti, Conte ha preferito tentare un riallineamento con gli altri paesi europei, ricalibrandosi sulla posizione comune dei leader europei che ribadisce le sanzioni e l’inammissibilità della Russia al G8 finché non verranno rispettati gli accordi di Minsk, firmati nel 2014 per porre fine alla guerra in Ucraina.

Al termine della prima giornata di lavori del G7, il presidente del Consiglio ha sottoscritto infatti la posizione comune dell’Unione europea sul rientro della Russia nel consesso delle grandi potenze, con la condizione di apportare sostanziali progressi al problema ucraino. Al contempo, le posizioni dell’Italia rispetto alla linea UE sulla questione ucraina e migratoria, sono elementi utili per definire il quadro del posizionamento italiano rispetto all’Alleanza Atlantica.

In primo luogo, in maniera informale prima, in forma ufficiale poi, l’Italia non ha perso occasione di mostrare il proprio disappunto rispetto al coinvolgimento e ai progressi sulla questione migratoria da parte dell’UE. Tanto sul problema dei migranti, quanto sul caso ucraino, le potenze occidentali non condividono le stesse priorità e idee: i flussi di migranti e rifugiati rivestono un’importanza maggiore per l’Europa dell’Ovest, in quanto territorio di transito geografico e meta di concentrazione delle domande d’asilo. Per quanto riguarda la questione ucraina, l’Italia non ha intenzione di rinnovare le sanzioni contro la Russia, in quanto quest’ultima riveste un’importanza strategica fondamentale, in primo luogo da un punto di vista economico: essa rappresenta uno dei paesi di destinazione più importanti per l’export italiano e il 30% del gas naturale proviene da lì. Inoltre, l’Italia è partner della Russia in alcuni progetti internazionali con le rispettive compagnie energetiche. Diversamente, alcuni paesi dell’Europa dell’Est, come Romania e Polonia, temono l’ingerenza russa, mentre altri, la Germania in prima linea, contendono con la Federazione delle posizioni d’influenza strategica.

Sulla questione nordafricana si infrangono gli interessi congiunti di Italia e Russia. È vero, infatti, che la Libia rappresenta un’opportunità economica vantaggiosa per Roma e per Mosca, essendo un territorio ricco di idrocarburi. Inoltre, la Libia rappresenta un luogo dove commerciare armi e aprire partenariati. Al contempo, la stabilizzazione della regione e la guerra ai flussi migratori non è un punto che interessa la Russia, la quale mira ad espandere la propria sfera d’influenza nel quadro di un braccio di ferro con la potenza americana. Nonostante ciò, l’accoglienza della proposta di Trump da parte del leader italiano di reintegrare la Russia nel novero delle potenze alleate, arriva come una boccata d’aria per il Bel Paese che eviterebbe così di non posizionarsi in linea contraria agli USA e tendere allo stesso tempo una mano verso il Cremlino. A maggior ragione dopo che, in seguito ai negoziati di Washington con l’UE per mantenere le sanzioni alla Russia, l’Italia era stata chiamata a seguire l’allineamento euroamericano. «Avere la Russia isolata non conviene a nessuno», ha sostenuto Conte, auspicando un prossimo G8 restaurato nella formula originaria.

Dall’altra parte è proprio il rapporto con gli USA a segnare un’altra linea di condotta per l’Italia. «Le relazioni con gli Stati Uniti sono tradizionalmente strategiche per l’Italia», dichiara Conte durante la conferenza stampa al termine del G7 canadese, sottolineando come un conflitto con i partner europei per mantenere un buon rapporto con la Casa Bianca sia una preoccupazione da superare.

Da parte di Trump non si sono fatti attendere i complimenti a Conte, affidati a un tweet con cui ha benedetto il nuovo governo, annunciando il prossimo appuntamento alla Casa Bianca con il presidente italiano.

È pur vero che l’Italia mostra una notevole affinità con il caso elettorale americano. Anche Trump nel 2016 è stato definito da più parti come il vero interprete dell’insoddisfazione di una buona fette dell’elettorato statunitense verso la classe dirigente. In qualche modo ha incarnato, con un paio d’anni d’anticipo, quello che, con svincoli retorici delle volte contrastanti, ha portato alla maggioranza congiunta di 5 stelle e Lega.

Al populismo pentastellato, fatto di pulsioni sovraniste, razziali e insieme democratiche, si è unito il grido salviniano, espressione di un sentimento intransigente verso i migranti. In entrambi i casi, i due leader sono riusciti ad inserirsi nella “crisi del populismo” e a denunciare il “tradimento dei sovrani”, attraendo le classi subalterne. Ma questo nuovo governo del cambiamento, pur mirando a strette repressive e all’inasprimento delle diseguaglianze sociali, altera e a volte tradisce obiettivi strategici di vecchia data e antiche relazioni transatlantiche.

Gli Stati Uniti, in particolar modo e a chiare parole dall’avvento del governo Trump, hanno sempre definito la loro politica internazionale sulla base degli interessi americani. Partendo dal presupposto che il rapporto di Trump con l’Europa si imposta prevalentemente su questioni di sicurezza, di cui la NATO è la massima espressione (oltre a essere il simbolo della presenza USA in Europa), il ruolo dell’Italia nello scenario euroamericano determina il valore delle politiche americane. D’altra parte, l’appartenenza alla NATO, rappresenta per l’Italia il mantenimento del controllo rispetto alle pressioni esterne, soprattutto per la gestione dei flussi migratori provenienti dal Nordafrica – non a caso invocato quasi in termini di blocco navale delle nostre coste.

A oggi, l’impegno italiano nelle missioni militari internazionali è consistito nello schierare truppe là dove lo chiedevano gli alleati, prima l’America. Basti pensare che dei 13.340 militari coinvolti, 7.250 sono impegnati a livello nazionale in operazioni di sicurezza interna, con l’obiettivo di offrire ai cittadini la percezione del controllo, invadendo (inutilmente) le strade di divise militari e camionette dell’esercito. Sul piano estero le missioni più costose e inutili sono quelle in Afghanistan e in Iraq. Per non parlare del Libano e del Kosovo. L’ultima grande trovata del governo Gentiloni è stata l’operazione in Niger. Ciò non toglie che nell’approccio sovranista del governo giallo-verde, le mire strategiche legate alle missioni, ai rapporti finanziari e industriali su scala internazionale, slitteranno verso un più alto e costoso impegno dei rapporti bilaterali in favore delle esigenze nazionali.

Poco importa a Putin di tornare tra i “grandi 8”, visto che in contemporanea si è incontrato con la Cina, dando vita all’esatta nemesi del G7. Un vertice lineare, a fronte delle divisioni di Charlevoix, dove Trump ha mostrato la faccia di un America intenzionata a tornare a mantenere rapporti bilaterali vantaggiosi per i propri interessi. Pur di non lasciare la Russia nello stato di capofila, insieme alla Cina, dell’economia vincente, Trump esce per un attimo dal ruolo di garante dei paesi dell’Est Europa e della politica di contenimento della Russia, ponendosi in diretto contrasto con il suo predecessore Barak Obama, tra i primi sostenitori dell’espulsione della Russia dal G8.

A oggi il problema del coordinamento euro-americano, a fronte delle trattative russo-cinesi, riemerge con maggior vigore. A ciò si aggiunge la questione dei migranti che sconta politiche di contrasto, dall’interdizione marittima alle disposizioni antiterrorismo. Il punto è che quando i cosiddetti “grandi della terra” si siedono, a qualsiasi tavolo, si scatenano tempeste di polvere e le forme di governo, anche le più populiste, riesumano il Leviatano.