ITALIA

Fiom: «Garantire diritti oppure ci sarà conflitto»

Parla Luca Trevisan: «In merito allo sciopero generale l’atteggiamento del governo è stato imbarazzante. Vogliamo una diversa politica fiscale e maggiori vincoli sociali per le aziende»

Lo sciopero generale di oggi, indetto da Cgil e Uil, ha indispettito il governo. Eppure le “crepe” nella pax draghiana sono visibili da tempo, almeno da quando con la ripresa post-pandemica sono iniziate anche delocalizzazione e licenziamenti di migliaia di lavoratori e lavoratrici, spesso comunicati solo a mezzo mail o Whatsapp. La mobilitazione odierna, comunque, si gioca soprattutto sulla contrapposizione in merito alla riforma fiscale, che privilegia soprattutto i redditi medio-alti e sembra dunque non tenere in conto le esigenze e i diritti del mondo del lavoro. Abbiamo parlato con Luca Trevisan, della segreteria generale Fiom, per capire meglio come si è arrivati alla decisione dello sciopero, quali sono le motivazioni in dettaglio e che scenari si apriranno da qui in avanti in termini di conflittualità sociale.

Che aspettative ci sono per la giornata di oggi?

Come sindacato dei metalmeccanici siamo impegnati oramai dall’inizio di novembre fino a oggi in una vastissima campagna di assemblee nei luoghi di lavoro. Abbiamo cercato di presentare le motivazioni dello sciopero, abbiamo raccolto testimonianze del disagio che c’è nel paese di fronte all’insufficienza delle risposte governative: sono in atto numerose riorganizzazioni e delocalizzazioni aziendali, senza che sia stato imposto nessun vincolo a tutela dei diritti di lavoratori e lavoratrici; i 600 milioni previsti per la legge di stabilità sono assolutamente inadeguati per ampliare il welfare; la riforma fiscale, come sappiamo, presenta ben pochi vantaggi per le fasce di reddito basse.

Per tutte queste ragioni, e visto anche il buon numero di adesioni alle cinque manifestazioni previste per oggi, ci sembra ci sia un clima di generale sostegno da parte dei lavoratori alle motivazioni dello sciopero e anche i momenti di confronto e di discussione con loro hanno avuto un andamento positivo.

Come commenta invece l’atteggiamento del governo?

L’ho trovato imbarazzante. Il modo in cui si sono mossi e si sono espressi Draghi e i partiti che lo sostengono rende manifesto lo scollamento sempre più ampio fra la politica e le condizioni materiali di chi lavora. I diritti in questo ambito sono da vent’anni sotto attacco: il Jobs Act, la riforma del sistema previdenziale, i tentativi di cancellare i contratti nazionali… Non comprendere le ragioni dello sciopero di oggi dimostra l’incapacità delle forze politiche di leggere ciò che è accaduto in questo ultimo periodo al mondo del lavoro.

Una situazione di precarietà e scarsa tutela, ulteriormente aggravata dalla regressione dovuta alla pandemia. A fronte di una capacità di spesa che non era così elevata da tempo, il governo sta scegliendo di soddisfare degli “interessi di bottega” invece che risarcire lavoratori e lavoratrici dei sacrifici e dello sforzo che hanno compiuto durante i lockdown. Su questo c’è molta consapevolezza e molta rabbia: infermieri, impiegati nella sanità, metalmeccanici, ecc. sanno bene di aver giocato un ruolo decisivo nelle fasi d’emergenza e le loro richieste non vengono ascoltate.

A questo proposito, quanto influisce la pandemia sulla capacità di mobilitazione di lavoratori e lavoratrici?

Realizzare le assemblee e costruire il sostegno attorno allo sciopero di oggi è stato senza dubbio un esercizio complicato. Discutere in presenza era chiaramente l’unico modo per confrontarsi con la base, capirne le esigenze e spiegare le motivazioni della mobilitazione: garantire le condizioni affinché tutto ciò avvenisse nella massima sicurezza non è stato semplice. Tuttavia, se l’emergenza sanitaria ha richiesto un elevato impegno organizzativo, alla fine non ha neanche costituito un ostacolo. Ripeto: c’è molta rabbia e voglia di far sentire la propria voce.

Che scenari si aprono da qui in avanti, anche in termini di allargamento della conflittualità?

Uno sciopero generale convocato dai sindacati confederali di Cgil e Uil, dopo sette anni che non se ne vedeva uno, è un fatto politico che, oltre a far discutere, pone delle questioni molto concrete al governo e alla maggioranza. Non c’è da parte delle forze politiche una volontà reale di contrastare la precarietà, ma soprattutto di limitare lo strapotere delle multinazionali vincolando il paese a un piano industriale che possa garantire una transizione economica rispettosa dei diritti di lavoratori e lavoratrici e sostenibile dal punto di vista ambientale.

Le nostre richieste sono chiare: modificare la legge di stabilità a favore delle fasce più deboli; avviare una riforma previdenziale per abbassare l’età pensionabile; assicurare il diritto di cura alle donne lavoratrici; garantire una pensione di dignità per chi è in difficoltà; avviare una diversa politica fiscale che contrasti l’evasione. La grossa partita che si apre ora è ovviamente quella legata al Pnrr: si tratta di un’elevata quantità di risorse che deve servire a riprogettare il paese. Questo lo si può fare in due modi diversi: tenendo conto delle esigenze di lavoratori e lavoratrici, ma allora una tale intenzione deve trovare riscontro in una serie di riforme e di vincoli sociali che tutelino i diritti. Oppure si può scegliere di non tenerne conto, ma in tal caso il governo e i partiti sappiano che su questo daremo battaglia e ci sarà conflitto.

Immagine di copertina dalla pagina Facebook di Fiom-Cgil