ITALIA
Nel nome del (padre) padrone: riflessioni sul “collegato lavoro”
La Camera dei deputati ha approvato il disegno di legge dal titolo recante “Disposizioni in materia di lavoro”, anche comunemente detto “Collegato Lavoro”, ora in attesa del passaggio in Senato
La Camera dei deputati ha approvato, il 9 ottobre 2024, il disegno di legge di iniziativa governativa N.1264 in titolo recante “Disposizioni in materia di lavoro”, anche comunemente detto “Collegato Lavoro”, ora in attesa del passaggio in Senato.
Tale disegno di legge (da ora in poi DDL), letto nel complesso fa emergere chiaramente l’intenzione governativa di smantellare i piccoli – ma significativi – aggiustamenti introdotti dal c.d. decreto legge dignità del 2018 che, quantomeno ha provato a invertire la tendenza alla precarizzazione del rapporto di lavoro, come regola consolidata.
Dunque, ci troviamo difronte a una “mite” reazione padronale. “Mite” nel modo in cui sono stati presentati i contenuti regressivi presenti nel DDL; contenuti che nella sostanza incidono in maniera “violenta” nelle vite delle lavoratici e i lavoratori, volti ad affermare (se magari qualcuno avesse avuto in mente di metterlo in dubbio) lo sbilanciamento di potere e di prerogative verso la parte datoriale a scapito delle lavoratrici e dei lavoratori. Insomma, il messaggio è chiaro: lavorare oggi è un privilegio, una concessione non dovuta e non scontata da parte dei datori di lavoro perciò, affinché ciò accada è necessario che questi non debbano sopportare il peso dei diritti in capo alle lavoratrici e lavoratori, da intendersi sempre più come merce e sempre meno come persone.
Segnatamente, il disegno di legge si compone di un totale di trentaquattro articoli e rappresenta di fatto, una integrazione complementare al D.L. n. 48/2023, intervenendo su alcuni aspetti della normativa lavoristica, su salute e sicurezza e sulla previdenza e fornendo alcune precisazioni su diverse norme.
Per questioni di praticità e agilità nella lettura, non è possibile in questa sede analizzare tutti gli interventi normativi contenuti nel DDL, mi concentrerò esclusivamente su alcuni istituti presenti che indicano in maniera inequivocabile il “colpo di spugna” con cui questo governo ha cancellato la piccola inversione di tendenza introdotta dal c.d. decreto dignità:
LIBERALIZZAZIONE DEL LAVORO IN SOMMINISTRAZIONE
Il d.l. 81 del 2015 prevedeva che in azienda si potesse usufruire di un massimo del 30% di lavoratori/lavoratrici in somministrazione e che erano esclusi da tale computo quelli che in una particolare condizione soggettiva:
- Lavoratori in mobilità ex art. 8, comma 2, della legge n. 223/1991: si tratta di una categoria, sostanzialmente esaurita, atteso che l’istituto della mobilità previsto dalla legge appena richiamata è stato soppresso dal 1° gennaio 2017;
- Lavoratori disoccupati che fruiscono da almeno sei mesi della NASPI (la disoccupazione agricola non viene presa in considerazione) o di un trattamento integrativo salariale;
- Lavoratori svantaggiati e molto svantaggiati ai quali si riferisce l’art. 2 del Regolamento comunitario n. 651/2014, individuati con il D.M. del Ministro del Lavoro 17 ottobre 2017 che comprende ad esempio i soggetti che non hanno un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, o che hanno superato i cinquanta anni, o che, adulti vivano solo con una o più persone a carico, ecc.
Ebbene, il disegno di legge, una volta approvato, stabilirà che la percentuale relativa ai limiti quantitativi non si applichi:
- Alla casistica individuata per i contratti a tempo determinato, dall’art. 23, comma 2, del D.L.vo n. 81/2015 che comprende le fasi di avvio di nuove attività, per i periodi definiti dalla contrattazione collettiva, per le c.d. “start up innovative” per i quattro anni successivi alla loro costituzione o per il periodo più limitato previsto, per quelle già costituite, dal comma 3 dell’art. 25 del D.L. n. 179/2012, lo svolgimento di attività stagionali (sulla loro definizione il disegno di legge prevede, al successivo art. 11, una interpretazione autentica dell’art. 21, comma 2 del D.L.vo 81/2015, finalizzata a superare alcune decisioni giurisprudenziali), gli specifici spettacoli o gli specifici programmi radiofonici o televisivi, la sostituzione di lavoratori assenti e i contratti che riguardano soggetti “over 50”;
ma soprattutto,
- I contratti di somministrazione a tempo determinato conclusi con lavoratori assunti a tempo indeterminato dalla Agenzia di Lavoro.
Di fatto, sulla base di questa previsione, delle categorie di lavoratori e lavoratrici “esenti” individuate e con l’esclusione dal compiuto di lavoratori assunti a tempo indeterminato dalle Agenzie di lavoro, ben potrebbe configurarsi ipotesi in cui il personale aziendale sia al 100% in somministrazione. Sempre nell’ambito della somministrazione all’art. 10 del Disegno di legge si prevede il superamento della disciplina prevista al comma 2 dell’art. 34 del D.L.vo n. 81/2015. Infatti dalla data di entrata in vigore non sarà più obbligatorio inserire le causali, al superamento dei dodici mesi, per i lavoratori svantaggiati e molto svantaggiati identificati dal D.M. del Ministro del Lavoro 17 ottobre 2017 (indicati nel paragrafo precedente).
In conclusione, nella sostanza il DDL introduce la possibilità di utilizzare senza limiti e vincoli i contratti in somministrazione a tempo determinato e indeterminato. Una modifica sostanziale che, insieme all’estensione dei contratti a termine già introdotta dal Governo nel D.L. n. 48/2023, consente la costruzione di un serbatoio di attivazioni contrattuali su cui scaricare tutte le flessibilità e le discontinuità lavorative.
Infine è opportuno sottolineare come si farà delle Agenzie per il lavoro un vero e proprio strumento di regolazione dell’incrocio tra domanda e offerta di lavoro, nonché di ulteriori strumento di disciplinamento e sfruttamento delle lavoratrici e lavoratori stretti nella morsa tra l’ente somministrante e il datore di lavoro utilizzatore.
ESTENSIONE DELLA DEFINIZIONE DEL C.D. LAVORO STAGIONALE
L’art. 11 del Ddl stabilisce che rientrano nel concetto di attività stagionali:
- non solo quelle espressamente indicate nel DPR 1525/63, ma anche tutte le attività organizzate per rispondere a intensificazioni temporanee della domanda lavorativa, esigenze tecnico-produttive o cicli stagionali dei mercati o dei settori in cui opera l’impresa.
L’articolo introduce l’estensione – in modo inaccettabile – dell’uso dei contratti stagionali e di tutte le deroghe ad essi connesse rispetto alla norma generale dei contratti a termine; un intervento normativo che provvede, con le vaste estensioni delle casistiche di utilizzo, a superare il perimetro stesso della stagionalità. La modifica di fatto mira al superamento della sentenza della Cassazione n. 9243 del 2023, che aveva dichiarato legittima la conversione in contratti a tempo indeterminato, laddove la contrattazione collettiva non avesse tipizzato le attività che si ritengono stagionali, evidenziando come l’attività stagionale debba essere aggiuntiva rispetto a quella normalmente svolta e debba implicare un collegamento con l’attività lavorativa che vi corrisponde: rientrano nel concetto di attività stagionale solo «quelle attività preordinate e organizzate per un limitato periodo stagionale», escludendo quelle realtà aziendali che raggiungono in una determinata stagione picchi di produttività, dovuti a esigenze di mercato.
EQUIPARAZIONE DELL’ASSENZA INGIUSTIFICATA DEL LAVORATORE ALLE DIMISSIONI VOLONTARIE
Con un livello di sfrontatezza fino a qualche tempo fa inimmaginabile, qui il governo realizza il sogno (perverso) di ogni datore di lavoro: la trasformazione delle assenze dal posto di lavoro in dimissioni volontarie.
Dunque, conseguenza di questa previsione normativa, oltre che la risoluzione del rapporto di lavoro, potrebbe essere anche il diniego di accesso alla Naspi da parte dell’Inps, per cui non è previsto il godimento in caso di dimissioni volontarie.
Secondo gli atti parlamentari, con tale norma si attribuisce il potere di riequilibrare in concreto le posizioni dei contraenti in tutti i casi in cui il lavoratore «effettivamente manifesta la propria intenzione di risolvere il rapporto di lavoro, ma non adempie le formalità prescritte dalla legge»; tuttavia, dare una interpretazione “conforme” ad un determinato atteggiamento fattuale, che potrebbe essere dovuto a varie ragioni, risulta essere una forzatura inaccettabile. Assentarsi dal posto di lavoro può dipendere da vari fattori: pensiamo a una migrante con limiti sulla lingua o una donna letteralmente in fuga da una dinamica di violenza, oppure pensiamo a dei banali limiti di conoscenza del CCNL applicato al rapporto di lavoro e in generale alle norme che regolano detto rapporto (cosa sempre più frequente tra le lavoratrici e i lavoratori).
In conclusione, l’intervento proposto si muove in contrasto con quanto definito dalla Contrattazione Collettiva, che ha tipizzato l’assenza ingiustificata quale causale di licenziamento con preavviso, in alcuni casi, o concretizza la giusta causa di recesso in altri con il ricorso alle procedure di cui all’art. 2 comma 2 della Legge 300/1970 a tutela della lavoratrice e del lavoratore (contestazione in forma scritta, tempistica definita, diritto a essere sentiti oralmente, assistenza dell’organizzazione sindacale alla quale si conferisce mandato).
Mi sono limitato a riportare solo le questioni maggiormente emblematiche che a mio avviso danno il senso dell’operazione politica e giuridica messa in atto dal governo, tuttavia, all’interno del disegno di legge, sono tanti gli interventi normativi volti a collocare le lavoratrici e i lavoratori in una inscalfibile condizione di subalternità. Al di là dei risvolti concreti che tale provvedimento normativo potrà avere, come per altri provvedimenti varati dal governo, è l’operazione ideologica sottesa che desta inquietudine e preoccupazione. Il messaggio è chiaro: chi lavora è un privilegiato, il lavoro – inteso come dispositivo di sfruttamento – va difeso sempre e comunque e le persone che non si piegano a questa logica devono essere punite.
L’immagine di copertina da Pexels
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