ITALIA

Finale di partita

Nel mondo reale era uscito di scena da anni e le sue resurrezioni erano sempre più imbarazzanti, vedi autocandidatura alla Presidenza della Repubblica. Ma nel ruolo di fantasma infestante era e forse rimane imbattibile

Il defunto Berlusconi è un personaggio del passato, politicamente agonizzante dal 2011, quando fu costretto a cedere il potere dalle proteste di piazza e dalla pressione della speculazione internazionale in tempi di crisi e di austerità, definitivamente estinto nell’autunno dell’anno scorso quando la destra vince le elezioni ma non è più la sua destra, quando Forza Italia diventa irrilevante nella composizione della maggioranza e la leadership è passata in altre mani, non quelle del trombone e sgraziato imitatore Salvini,  ma quelle di Meloni – lucida, estremista, divisiva e iper-atlantica. 

La catastrofe si compie non con la vittoria della sinistra o l’avvento di un soccorso eurotecnocratico, Dini, Monti, Draghi, ma con il trionfo di una destra non piaciona e non compromissoria, soprattutto non diretta da lui. Quella fu la vera morte politica , anche se il corpo ha continuato a sussultare e offrire sembianze di vita fra un ricovero e l’altro, fra messaggi televisivi sempre più penosi e malriposte ambizioni presidenziali. Alla fine avrà il suo funerale di stato e il lutto nazionale, ma il potere scappato sotto la pioggia nel novembre 2011 non lo rivedrà più. E – suprema beffa – sarà rimpianto dai suoi denigratori moralistici di sinistra, che non sanno come gestire la protervia della sua successora, avendo sempre (invano) combattuto il Cav con le armi del disprezzo civico e dell’insidia giudiziaria e non dell’opposizione politica e sociale. 

Fra le tante cose, il regime di guerra oggi imperante, ha reso Berlusconi un patetico relitto della fase rampante e carezzevole del neoliberismo

Oggi che entrambe le sue componenti di destra e di sinistra hanno indossato l’elmetto intonando Slava Ukraïni! Il defunto era invece un negoziatore accanito, tendente a bluffare e che, in mancanza di carte, aveva due volte dovuto rassegnarsi a mollare i suoi compagni di merende, prima Gheddafi e poi Putin. 

Due fenomeni opposti – il discredito antropologico del sultanato che aveva cavalcato nell’immaginario maschile italiano e la durezza della guerra vicino casa a lungo esorcizzata con spregiudicate giravolte diplomatiche ai margini dell’impero Usa in declino – hanno del pari concorso a logorarlo nell’immagine e nel peso politico. Che il suo residuo pacchetto di voti finisca – senza fretta – in mano a una underdog ultra-ideologica è il peggior fallimento di un protagonista pragmatico di poche idee e senza eredi.

Anche se ha invaso per venti anni la scena italiana e forgiato o meglio disassemblato il carattere nazionale per venti anni, fomentandone i tratti peggiori, Berlusconi era un sopravvissuto dell’edonismo e dei media analogici degli anni ’80 e raccoglieva il favore e gli odi di quella generazione, che ancora usava votare. Poco dice la sua figura ai millennial, qualche brutto ricordo ce l’hanno i meno giovani post-boomer che se lo ricordano quando sistemava le fioriere con i limoni di plastica intorno alla zona rossa di Genova nel 2001 mentre Fini gestiva la piazza dal bunker di Bolzaneto, Carlo Giuliani era ammazzato da un carabiniere e tanti altri erano storpiati e torturati. Ce lo ricordiamo bene e non lo rimpiangiamo neppure per l’operato dei suoi ministri nella scuola, nell’università, sul fronte del welfare e del lavoro – ma i suoi avversari di centro-sinistra non erano troppo diversi da lui, così come a Napoli erano stati gentili con i movimenti quanto a Genova le destre pochi mesi dopo. 

Il giudizio finale l’aveva dato l’Onda, poco prima che i mercati ci arrivassero per conto loro e per i loro interessi. La lunga sequela di governi tecnici e la riluttanza del Pd di andare a un confronto elettorale diretto avevano garantito la transizione tra il fallimento della “rivoluzione liberale” berlusconiana e la riorganizzazione del centro-destra sotto la guida prima populista salviniana poi meloniana.

Il modello Berlusconi è fallito in Italia, se non per i suoi effetti di dissoluzione della sinistra (un tempo fortissima), però ha ispirato esperienza analoghe all’estero, meno spensierate e potenzialmente devastanti – Trump per tutte.

Tiriamo comunque un bilancio. Il ventennio consumistico-patriarcale berlusconiano ha prodotto l’Italia impolitica e precaria che adesso Meloni si è presa e peggiorerà in senso identitario e razzista. È stato il veicolo attraverso cui è passato il neoliberismo del millennio, ma gli elogi e il cordoglio unanime della stampa mainstream e dell’establishment tutto (a cominciare da Draghi) ci fa capire che al centro e a sinistra avrebbero preferito un processo più decente, lo smantellamento dello stato sociale senza olgettine e nipotine di Mubarak, senza prescrizioni giudiziarie e collusioni mafiose. Tuttavia era essenziale che qualcuno si sporcasse le mani, un professionista e non un comico come Renzi. Berlusconi lo fece e adesso non serve più, ma la blanda riconoscenza per i servizi forniti è legittima. Un oligarca corrotto e sprecone doveva precedere gli affamati atlantisti arraffatutto, che a loro volta saranno sostituibili se la logica delle cose lo richiederà. Ma non nei prossimi mesi. Intanto funerali di stato in Duomo e niente camera ardente, che qualche testa calda può sempre sbucar fuori. 

Ne discuteremo con l’Armadillo? Non credo, abbiamo problemi più pressanti. Comunque ci vorrà del tempo prima che l’immaginario italiano si disintossichi e nel frattempo c’è il pericolo che i propositi istituzionali svogliatamente espressi dal Grande Fratello vengano realizzati dai suoi eredi postfascisti o come li vogliamo chiamare. I danni veri del berlusconismo devono ancora venire, mentre il leader eponimo dilegua nel kitsch del “santo subito”.

Lutto e santificazione, peraltro, sono funzionali non a fissare il ruolo storico di Berlusconi – che tutti hanno interesse a lasciar sprofondare nell’oblìo – ma a legittimare il potere dei successori e a rafforzare il peso di Meloni nell’equilibrio della destra post-berlusconiana.

La costruzione del monumento equestre al (poco amato) defunto celebra l’identità del Grande Italiano, alla cui ombra grufolano i Donzelli, Fazzolari, Giubilei e soprattutto la Grande Underdog che ce l’ha fatta e gestisce i valori patriarcali come solo una donna tosta e binaria sa fare. 

Povero Silvio, che aveva tutti i difetti del mondo e pure di più, tuttavia era così spavaldo e sicuro di sé che in apparenza non aveva bisogno di essere né nazionalista identitario né apertamente omofobo. E questo valga anche come elogio funebre. 

Foto di Kintarojoe via Flickr