MONDO

Emergenza Covid-19 in Cile: bugie e repressione da parte del governo

Ieri in Cile ci sono state proteste perché gli aiuti promessi dal governo non arrivano e la popolazione inizia ad avere “hambre”. Nel frattempo, lo stato continua a mentire sui numeri dei contagi e dei morti di Covid-19.

Hambre: con quest’unica parola si è acceso la sera del 18 maggio l´edificio Telefonica di Santiago, lo stesso che a ottobre dello scorso anno si illuminava con DignidadHambre, fame: perché è la sensazione che provano moltissimi cileni in questi mesi in cui la pandemia mondiale ha colpito anche il paese sudamericano, che da sempre affronta direttamente il problema di un divario economico profondamente marcato tra le varie fasce della popolazione.Ancora una volta il popolo cileno deve fare i conti con la realtà e con la poca credibilità di un governo che continua a mentire, anche per quanto riguarda le cifre dei casi e dei decessi generati dalla Covid-19. In Cile non si fanno i tamponi su tutti i possibili casi che effettuano richiesta e proprio per questo motivo gran parte della popolazione sostiene che i numeri ufficiali non corrispondono alle cifre reali.
A conferma di ciò, Francisco Castillo, portavoce di una rete nazionale che riunisce varie imprese funerarie, ai microfoni del programma radiofonico “El Matinal de Los Que Sobran”, ha affermato che in varie occasioni nei referti medici dei defunti si legge «possibile caso Covid», senza che sia stata raccolta nessuna prova. Un’espressione, peraltro, che ha poco senso sia dal punto di vista strettamente medico che da qualsiasi altro punto di vista.

 

Nell’ultima settimana i casi di Covid-19 sono aumentati in maniera sproporzionata, passando da una media di 2.500 casi di contagio giornalieri a 3.520 negli ultimi giorni, secondo i dati dello stesso governo, dove i pazienti con necessità di ventilazione meccanica sono passati da 608 a 728.

 

La maggior parte di questi sono nella regione Metropolitana di Santiago, l’unica insieme ad alcuni paesi della regione di Antofagasta al nord, dove vige la quarantena totale, decretata solo lo scorso venerdí 15 maggio. Nel resto del paese, invece, non è stata presa nessuna misura di prevenzione se non il coprifuoco dalle 22.00 alle 5.00 del mattino, dovuto allo stato di catastrofe della durata di 90 giorni decretato il 20 marzo e che rimette i militari in strada. Questo conferma ancora una volta come al governo di Sebastián Piñera interessa di più la produzione delle grandi industrie che la salute dei propri cittadini.
Nonostante ciò, gli ospedali hanno raggiunto già il 93% della disponibilità, mentre i lavoratori della salute protestano per la mancanza di medicinali, mascherine e alcol in gel e per un carico orario eccessivo dovuto alla mancanza di personale.

 

 

La situazione è grave. Alle cattive decisioni nel campo della salute, bisogna sommare le decisioni mirate invece a proteggere il modello economico vigente, a discapito della vita di milioni di cileni e cilene. Si è cercato di riaprire i grandi centri commerciali, mentre si evitava anche di imporre la quarantena per far sì che la popolazione continuasse a lavorare. Hanno sostenuto continuamente il discorso del ‘‘ritorno alla normalità’’, indirizzato soprattutto agli studenti, per cercare di riaprire le scuole. Queste intenzioni hanno retto non più di due giorni e si è dovuto fare marcia indietro.

 

La domanda da porsi è: chi pagherà il costo di questa crisi? La maggior parte delle misure economiche del governo mirano al credito e non alla spesa pubblica.

 

Così, mentre le banche potranno concedere crediti alle microimprese con interessi bassi, lo stato brillerà per la sua assenza e ancora una volta non aiuterà i settori che ne hanno più bisogno. Una sola cosa è chiara: lo stato dovrà indebitarsi per uscire da questa crisi. L´ideale sarebbe garantire gli stipendi e proteggere il lavoro, tra le altre cose, ma sfortunatamente le politiche del governo di Sebastián Piñera vanno verso un´altra direzione.
Su richiesta della CEPAL (Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi), per affrontare la crisi, molti governi della regione hanno iniziato ad adottare delle misure economiche di stampo protezionista, ma il caso cileno è diverso, dal momento che le strutture neoliberali su cui si fonda non glielo permettono. Mentre ad esempio in Perú durante la quarantena le aziende devono garantire gli stipendi dei lavoratori per legge, in Cile il governo ha sancito che le aziende possono sospendere temporaneamente i lavoratori, concedendogli una disoccupazione che non è nemmeno finanziata dallo stato, ma che viene fuori dai contributi degli stessi lavoratori. A questo proposito, mentre si votava per il decreto di aiuti economici ai settori più vulnerabili, la deputata María José Hoffmann, del partito di destra Unión Demócrata Independiente (UDI) ha affermato: «Non voglio che le persone dipendano dallo stato», confermando quel timore storico con il quale la destra governa il paese da decenni.

 

Anche la strategia di comunicazione del governo ha degli elementi di perversione: se da un lato il Presidente si mostra apparentemente preoccupato per le sorti del proprio popolo, dall’altro la promessa fatta ad aprile di un sussidio di 317 dollari a persona per 4,5 milioni di cittadini non è ancora stata mantenuta.

 

E se da un lato cercano di lavare l´immagine deteriorata da mesi e mesi di protesta dei politici cileni, dall’altro le persone hanno ricominciato a manifestare. Ogni giorno che passa si raccolgono sempre più cileni e cilene alle proteste per strada, come nel caso degli abitanti de El Bosque, nella periferia a sud di Santiago, che sono stati i protagonisti di una rivolta massiccia contro la fame lo scorso lunedí 18 maggio, alla quale il governo ha risposto con 21 arresti e vari feriti.
C´è da sottolineare che in Cile le organizzazioni politiche di quartiere hanno sempre risposto alla povertà con l´auto-organizzazione. In questo periodo infatti, molti cittadini si stanno organizzando con le ollas comunes, dei pasti comunitari autogestiti per fare fronte alla fame soprattutto nelle zone più vulnerabili. Se lo stato è assente, la solidarietà dei cileni ancora una volta risponde.

 

Sebbene la Covid-19 abbia colpito numerosissime nazioni, il caso del Cile ha ulteriormente confermato che il modello neoliberale crea delle differenze sociali che il governo non ha intenzione di risolvere.

 

Davanti a una crisi della sanità con le sue conseguenze economiche mondiali, il governo di Sebastián Piñera risponde ancora una volta con violenza e repressione nei confronti di un popolo che ha fame e che non può permettersi di ammalarsi per le decisioni nefaste nel campo della salute pubblica. La fiamma che si era accesa il 18 ottobre dell’anno scorso non si è mai spenta, perché le cilene e i cileni continuano a organizzarsi, sebbene il referendum previsto per lo scorso 26 aprile sulla riscrittura della costituzione sia stato rimandato al 25 ottobre. Anche se non ha ottenuto risposte reali alle domande sociali, il popolo è consapevole che l´organizzazione è l´unica strada per ottenere delle risposte.

Foto di copertina da wikimedia.commons