TERRITORI

Elettrodotto in Abruzzo: la lunga storia di una imposizione con la scusa dell’energia pulita

Prende sempre più corpo la protesta contro l’elettrodotto Villanova-Gissi che è solo una parte del progetto Terna che dovrebbe continuare fino a Foggia e portare fin lì l’energia in arrivo dal Montenegro. Il tutto anche attraverso un cavo sottomarino che dovrà “sbarcare” sulla costa pescarese e fino alla centrale di Villanova di Cepagatti.

La protesta continua anche oggi in viale Bovio sotto la sede della Regione Abruzzo dove è previsto un incontro tra istituzioni locali e Terna. Gli ambientalisti che si sono coagulati forse un po’ in ritardo chiedono ora che l’opera venga sospesa anche alla luce delle nuove incredibili incongruenze saltate fuori dalle carte tenute segrete per anni. Gli ambientalisti chiedono anche che i sindaci che hanno già firmato accordi con Terna li annullino in autotutela perché «non vi saranno benefici effettivi per le popolazioni attraversate dall’opera dopo aver svenduto i terreni».

«OPERA STRATEGICA»

La verità è che in provincia di Chieti la popolazione locale da anni sta cercando di opporsi al colosso dell’elettricità Terna e ad AbruzzoEnergia, società di proprietà di A2A (multiutility di Milano e Brescia che gestisce tra gli altri l’inceneritore di Acerra). L’elettrodotto che attraversa l’Abruzzo è un’infrastruttura tecnologica considerata (fino al 2007) strategica per il trasporto dell’energia, ma da molti osteggiata perché «costosa e dall’impatto irreversibile sui territori». La pericolosità di quest’opera sarebbe data dai campi elettromagnetici che vengono considerati perfino dall’AIRC gravemente rischiosi per la salute umana. Inoltre la presenza di questa grande opera porterebbe ad un notevole deprezzamento dei terreni e delle case. Nell’ultimo mese il rapporto tra Terna e cittadini è precipitato perché hanno avuto inizio gli espropri. Ora che i presidi di centinaia di persone impediscono ai tecnici della società di entrare nei terreni sembra essersi aperto un tavolo presso la Regione che coinvolge i comitati dei cittadini. D’Alfonso in prima battuta è sembrato spingere gli ambientalisti a posizioni più concilianti ma ora in presenza della documentazione saltata fuori ieri con gravissimi sospetti di illegittimità anche la Regione dovrà prendere atto che qualcosa non ha funzionato e rivedere la procedura.

IL FRONTE MONTENEGRINO: IL RUOLO DI A2A

Prima nel 2007 Prodi e Bersani, poi nel 2010 Berlusconi e Scajola cominciano gli accordi di cooperazione commerciale con il primo ministro del Montenegro Milo Djukanovic. Il Primo ministro Djukanovic è famoso per essere stato eletto subito dopo l’indipendenza ed essere rimasto al potere per più di vent’anni, è conosciuto in Italia per essere stato inquisito dalle procure di Bari e Napoli per contrabbando internazionale di sigarette e uscito “pulito” dall’inchiesta solo grazie all’immunità parlamentare. Soprattutto nell’era Berlusconi sono in tanti dal Belpaese a varcare l’Adriatico e a mettersi in prima fila per partecipare alle trattative con il governo del Montenegro. Tra questi: A2A, Enel, Terna, Banca Intesa, Ferrovie dello Stato, Edison, Valtur, Todini. Gli accordi più interessanti sono quelli sull’energia. Il Montenegro sta procedendo a una massiccia privatizzazione delle sue aziende energetiche e la multiutility A2A coglie l’occasione prendendo il 43% della società pubblica montenegrina EPCG (Elektropriveda) con un investimento di 500 milioni di euro. Nell’acquisizione di EPCG saranno determinanti per a A2A i fondi di investimento (5%) in mano a Beselenin Barovic anche lui coinvolto nell’inchiesta sul contrabbando internazionale. In Montenegro, oltre ad A2A, che realizza quattro centrali idroelettriche, c’è possibilità anche per altri di spartirsi la torta. Terna si aggiudica la costruzione dell’elettrodotto sottomarino Pescara-Tivat, Enel un impianto a carbone e Duferco un termovalorizzatore.

GLI APPETITI DELLE IMPRESE ITALIANE

È chiaro il progetto a cui le imprese italiane lavorano: costruire impianti per la produzione di energia “pulita”, trasportarla in Italia attraverso il cavo sottomarino, e distribuirla sul territorio nazionale costruendo nuovi elettrodotti. Già da subito nascono problemi per A2A, infatti il governo montenegrino abbassa le tariffe energetiche per i propri cittadini e EPCG è costretta a vendere al ribasso l’energia nello stato ex jugoslavo. Inoltre EPCG si riempie di debiti a causa dei mancati pagamenti dell’azienda privata KAP. A causa del debito di EPCG, A2A crolla in borsa e il suo titolo vale dieci volte meno che prima di acquisire la quota dell’azienda montenegrina.

ACO, IL FRATELLO

Ma c’è di peggio. A2a per acquisire EPCG immette 70 milioni di euro nelle casse di Prva Banka un istituto di credito a rischio default di proprietà di Aco Djukanovic fratello del primo ministro, che grazie a questa operazione riesce a salvarsi. Il motivo per il quale A2A salva una banca in crisi di proprietà della famiglia Djukanovic con i soldi delle bollette dei cittadini per acquisire le quote di EPCG non è mai stato spiegato dai vertici della multiutility.

SERBIA E BOSNIA ERZEGOVINA: GLI INTERESSI DI TERNA E MACCAFERRI

L’elettrodotto sottomarino di Terna, non trasporterà solo l’energia del Montenegro ma anche quella della Serbia e della Bosnia Erzegovina. In Serbia Scajola nel 2009 prende l’impegno, a nome del governo italiano, di acquistare per 15 anni energia verde e di costruire tredici centrali idroelettriche. Il prezzo concordato a cui il governo italiano acquista l’energia è di 150 euro a megawattora, più del triplo rispetto al prezzo di mercato serbo. Più del doppio di quello italiano. Inoltre il 7 giugno del 2011 l’Italia conclude un accordo con la Republika Srpska (una delle due entità politiche che in base agli accordi di Dayton compongono la Bosnia Erzegovina) per la costruzione di tre dighe sul medio corso del fiume Drina. Un investimento di 830 milioni di euro. Il progetto prende il nome di “Srednja Drina”. Viene coinvolta nell’affare anche la Serbia, che il 25 ottobre del 2011, attraverso la più grande compagnia elettrica nazionale (EPS) firma un accordo per la costituzione di una join venture con la Seci Energia del gruppo Maccaferri, finalizzato alla costruzione di dieci centrali idroelettriche sul fiume Ibar (Seci Energia controllerà il 51% della società).

LE IRREGOLARITA’

L’energia prodotta dai fiumi Ibar e Drina verrà mandata verso il Montenegro e poi trasferita in Italia attraverso il cavo Terna da Tivat a Pescara, la cui costruzione è preventivata per il 2015, con un costo di 860 milioni di euro. Nel suo rapporto del 2012 la rete CEE Bankwatch, riscontra nel progetto delle irregolarità, in quanto l’accordo tra Serbia e Italia sarebbe stato fatto senza gara d’appalto, in più Seci Energia non ha nessun tipo di esperienza nella costruzione di centrali idroelettriche. Tra le realtà ambientaliste della regione più attive c’è il “TEA”. L’associazione denuncia che le dighe possono avere notevoli risvolti sulla biodiversità e sulla vita del fiume Drina, già pesantemente sconvolto dall’azione umana. Le dighe infatti, come dicono anche i pescatori, potrebbero avere effetti devastanti sulla fauna ittica e su l’economia del territorio. Sull’opera del cavo sottomarino in Abruzzo e nello specifico a Pescara viene aperta una inchiesta di cui si sono perse le tracce e che senza troppa verve cerca di analizzare piccole incongruenze emerse da alcune denunce sui lavori da realizzare tra Pescara e Villanova. L’inchiesta, aperta troppo tardi e con lo sguardo troppo basso sul terreno, perde di vista lo scenario più ampio che abbraccia e oltrepassa l’Adriatico e raccoglie solo un pugno di mosche.

CRISI ED ENERGIA

Terna nel 2012 dichiarava che, con la liberalizzazione del mercato energetico per mantenere il rapporto tra produzione e fabbisogno, bisognava investire massicciamente sulle infrastrutture e diversificare le fonti dell’approvvigionamento, aumentando l’importazione di energia. L’importazione di energia, che fino al 2000 serviva a coprire il fabbisogno nazionale, ora invece serve ad accumulare una riserva energetica che è passata tra il 2009 e il 2012 dal 9% al 45% . Cosa dobbiamo farci con tutta questa energia di riserva? Secondo i manager di Terna c’è bisogno di potenza disponibile per garantire la stabilità del sistema, e per garantire un ipotetico fabbisogno futuro. Investire soldi che appartengono a tutti noi sperando in una ripresa del mercato.

MOVIMENTI, CONOSCENZA E COSCIENZA PER INDIRIZZARE LA LOTTA

Le dighe, la privatizzazione del territorio, gli elettrodotti, l’occupazione dei terreni,dai Balcani all’Abruzzo c’è uno stesso progetto di sfruttamento delle risorse. «Anche i soggetti che compiono gli scempi sono gli stessi», commenta il coordinamento di Zona 22, «governi, Terna, A2A e tutti coloro che permettono il riprodursi di certe dinamiche. Alla base di questo processo c’è la corruzione di intere classi dirigenti statali, ci sono investimenti enormi, ci sono imprese italiane che si accaparrano risorse di altri paesi e mettono in moto un’occupazione finanziaria dei territori, nei quali tutto diviene merce da vendere sul mercato, la salute, l’acqua o le valli. Non è sufficiente guardare il conflitto dei contadini abruzzesi contro l’elettrodotto sganciandolo dal ruolo complessivo che l’energia sta rivestendo nel mercato globale e nei nuovi asseti di potere continentali». Un esempio lo offrirebbe la più grande utility del mondo, la cinese State grid, che entra nel mercato italiano dell’energia rilevando il 29,9% di Terna e il 30% di Snam. Sarà rappresentata nel consiglio di amministrazione di due grandi società di gestione di infrastrutture energetiche italiane che di fatto decidono i prezzi di servizi essenziali come gas ed elettricità.

LA LOTTA IN ABRUZZO

«Nella difesa del territorio che i comitati e i cittadini abruzzesi stanno facendo», spiega Zona 22, «c’è l’essenza più pura della decisione politica, la libertà di scegliere fuori da qualsiasi forma di condizionamento o di dipendenza dal denaro. Nelle loro lotte gli uomini e le donne che difendono quei terreni ci indicano un modello di sviluppo alternativo, fatto di gestione e conservazione del territorio, un valore che sui mercati vale pochissimo ma per il futuro di una comunità conta molto di più di qualsiasi altro bene. Uomini e donne di generazioni diverse che si convocano sui campi interessati dagli espropri, per difendere quelle terre e cacciare i tecnici di Terna che vengono a comprare la loro dignità, la loro storia, la loro vita». E’ questo ciò che accade nella periferia di questo paese lontano dai riflettori delle metropoli, è il tentativo di ricostruire una comunità che resiste a uno sviluppo insostenibile. «Da una parte c’è chi ha i soldi e tenta di comprare», dice ancora il coordinamento, «dall’altra chi ha meno ma sceglie di non vendere, di là c’è Terna di qua le comunità del territorio. Nella periferia rurale abruzzese si è capito contro chi lottare e da che parte stare. E di questi tempi di sicuro non è poco».

Tratto da PrimaDaNoi.it