MONDO

Educazione popolare e autonomia nell’era della governance kirchnerista

Un viaggio nel mondo delle scuole popolari in Argentina nate nel pieno della crisi e cresciute negli ultimi anni in maniera significativa conquistando dopo anni di lotta importanti riconoscimenti da parte delle istituzioni statali

Il nuovo corso dell’educazione popolare argentina nasce con i primi “bachilleratos populares” – che traduco in italiano con “scuole popolari” – progetti di formazione per un cambiamento sociale radicale organizzati in un movimento pedagogico. I “bachilleratos populares” sono sorti nell’area metropolitana e nella capitale di Buenos Aires a partire dal 2003 all’interno delle ERT[1] – fabbriche occupate ed autogestite – o nelle sedi dei movimenti sociali e territoriali dei quartieri popolari. Queste scuole autogestite dagli educatori popolari rivolte a “giovani e adulti” – maggiori di sedici anni – rappresentano una delle esperienze più innovative sorte dalle mobilitazioni contro la crisi del neoliberismo in Argentina, e costituiscono una delle principali vie di fuga rispetto alla politica di normalizzazione tentata – e in parte riuscita – dalla governance del modello K.

Le riforme del decennio menemista[2] hanno pesantemente trasformato il sistema educativo argentino, determinando quello che Adriana Puiggròs ha chiamato “quiebre educativo”[3]. La Ley Federal de Educaciòn del 1994 ha prodotto, invocando l’autonomia scolastica, una frammentazione amministrativa senza precedenti, la riduzione drastica degli investimenti statali, la precarizzazione selvaggia dell’insegnamento, approfondendo le diseguaglianze e potenziando i processi di razzializzazione[4] e gerarchizzazione in ambito educativo. L’emergenza ha riguardato milioni di giovani e meno giovani letteralmente espulsi dal sistema educativo: la condizione di “riesgo educativo” ovvero la condizione di povertà e di esclusione sociale determinata dalle trasformazioni del sistema di istruzione, non coinvolge solo migranti e settori subalterni, ma anche una parte più consistente della classe media impoverita anche nell’area della capitale federale.

In risposta all’impoverimento determinato dal saccheggio neoliberista, a partire dal 1998 e in particolar modo attorno all’insurrezione popolare nella crisi del 2001, sono esplose in Argentina mobilitazioni di massa e forme di resistenza al neoliberismo che hanno radicalmente trasformato la società e la politica.

Questo processo non si è per nulla concluso, ma, seppur in maniera sempre differente, si è propagato nel decennio kirchnerista e riemerge con particolare forza in questi ultimi anni: mi dedico in questo articolo ad approfondire le linee di continuità nell’ambito educativo-popolare.

Il movimento pedagogico dei bachilleratos populares nasce dall’incontro tra le fabbriche recuperate, i movimenti dei disoccupati e gli educatori popolari, organizzati in forma di cooperativa nella CEIP. Questa esperienza raggruppa docenti, ricercatori e studenti che nelle facoltà di Lettere e Scienze Sociali della UBA hanno intrapreso sin dal 1999 un percorso di riflessione politica, accademica e militante attorno all’attualità della pedagogia come pratica “per la liberazione e l’emancipazione” di Paulo Freire e della tradizione latinoamericana dell’educazione popolare. Come reinventare in ambito metropolitano quella esperienza? Come occupare con le proprie iniziative quello spazio educativo desertificato dalle riforme neoliberiste? Come rafforzare le lotte dei settori popolari a partire dal processo educativo? Come connettere esperienze di lavoro cooperativo nato dalle lotte operaie e percorsi educativi? Attraverso quali pratiche si può efficacemente contrastare l’egemonia del neoliberismo educativo?

A partire da questi interrogativi nasce nel 2003 la prima scuola popolare della capitale federale, situata presso la fabbrica metallurgica IMPA, occupata ed autogestita sin dal 1998. Le scuole popolari e le attività culturali e sociali nelle ERT, nate dall’esigenza di rafforzare i vincoli di solidarietà con il quartiere e la comunità, hanno avuto un ruolo determinante nella legittimazione di queste esperienze dando un contributo significativo alla difesa dai tentativi di sgombero, divenendo poi parte fondamentale del processo di recupero e trasformazione delle fabbriche autogestite.

Le scuole popolari cominciano a diffondersi nella capitale e nella Gran Buenos Aires fino a diventare, al momento attuale, circa ottanta[5]. Il processo di espansione di queste esperienze è andato di pari passo con le mobilitazioni e la lotta per il riconoscimento ufficiale: le scuole popolari hanno rivendicato ed ottenuto, tra il 2007 e il 2011, il riconoscimento del titolo di studio secondario, l’erogazione delle borse di studio per gli studenti e infine il salario per i docenti. L’ottenimento del riconoscimento ufficiale di queste scuole, seppur parziale – permangono infatti ancora significativi limiti rispetto all’integrità del riconoscimento e profonde differenze tra il riconoscimento in capitale federale e in provincia di Buenos Aires – sta avvenendo all’interno di un processo di negoziazione determinato e rideterminato continuamente dai rapporti di forza tra lo stato e le organizzazioni del campo popolare. La tensione tra autonomia e istituzionalizzazione attraversa profondamente il movimento pedagogico, determinando differenti prese di posizione in relazione ai tavoli di trattativa con lo stato e al modello K in generale: la costruzione di nuove istituzioni passa in questo caso attraverso il rapporto con una particolare forma di governance che deve necessariamente fare i conti con la rottura politica rappresentata dal 2001 e dall’interruzione della continuità neoliberista.

Con l’obiettivo dichiarato di trasformare radicalmente il modello educativo costruendo la “scuola pubblica popolare”, il movimento pedagogico si situa in quel terreno spurio, scivoloso e complesso del “contra el estado pero através del estado”.

In continua tensione tra autonomia e istituzionalizzazione, le scuole popolari devono preservare dal rischio della burocratizzazione e del controllo statale l’autonomia delle forme di organizzazione delle scuole autogestite e il modello educativo che sperimentano rilanciando al tempo stesso il proprio progetto in avanti: lottare quindi per l’egemonia all’interno del sistema educativo nel suo complesso vuol dire rifiutare di essere costretti a svolgere una funzione assistenzialista, intervenendo in maniera marginale solo all’interno di quegli ambiti sociali in cui lo stato non garantisce il suo intervento. In questo senso individuare il proprio obiettivo nella costruzione di una “scuola pubblica popolare” vuol dire mettere in tensione complessivamente il concetto di pubblico e di statale rispetto alla dimensione educativa.

La relazione tra esperienze autogestite e stato si inserisce all’interno di un quadro complesso che definisco governance post-neoliberale kirchnerista[6]: in questo caso il prefisso post è utile a definire una fase di transizione il cui sviluppo non è ancora definito, serve quindi più per rilevare i tratti di un non più, rispetto al modello classico di relazioni capitale-lavoro e di rappresentanza politica, che per definire i tratti sfuggenti della complessità delle relazioni sociali e politiche in Argentina dopo il 2001.

E’ interessante analizzare la relazione con lo stato guardando alle scuole popolari come espressioni di un potere istituente che trasforma il campo di ciò che è istituito, confrontandosi quindi con esso. Riprendendo l’analisi di Hupert possiamo dire che con il “regimen politico kirchnerista”[7] ogni movimento sociale trova nello Stato un suo interlocutore, con cui negoziare: occorre guardare allo Stato argentino post 2001 non come un classico Stato nazione, ma come uno Stato post-nazionale, che non ha più quindi il monopolio della produzione della soggettività e della rappresentazione politica, ma che diventa invece “concentrador de flujos y contactos reticulares”[8]: questa ottica particolare ci permette di leggere la specificità nella relazione tra scuole popolari e istituzioni dello Stato nel momento in cui queste esigono – e ottengono – riconoscimenti e finanziamenti statali rifiutando però qualunque intromissione rispetto all’autonomia del progetto politico.

Le scuole devono essere autogestite, politicizzate, espressioni degli interessi partigiani dei movimenti sociali e delle classi popolari, e al tempo stesso lo stato deve garantire finanziamenti e riconoscere i nostri progetti senza interferire, affermano gli educatori popolari.

Si apre così uno scontro radicale attorno al modello educativo e alle sue funzioni, alla concezione del pubblico e alla decisione attorno al curriculum scolastico – sia formale che occulto – che chiama in causa fino in fondo la complessità del modello politico e sociale argentino.

Riprendendo il pensiero di Freire potremmo infatti dire che non vi è nulla di più politico dell’educazione e che solo nella lotta si costruisce la possibilità di un’ educazione per l’emancipazione sociale. La pratica pedagogica popolare mette al centro l’autoformazione, l’inchiesta militante, l’autoriflessione collettiva, smaschera il presunto neutralismo dei saperi propugnato dall’istruzione statale rivendicando una scuola di parte contro l’addestramento alla precarietà, contro la scuola che disciplina e l’egemonia dell’educazione “bancaria”.

Praticare un modello alternativo vuol dire in questo caso costruire immediatamente forme nuove di insegnamento e apprendimento, relazioni e legami sociali basati sulla solidarietà e la cooperazione contro l’ideologia della competizione e della meritocrazia. L’obiettivo di queste scuole è far sì che i subalterni possano costruire attraverso il processo di alfabetizzazione ed educazione la possibilità di dire la propria parola, di descrivere e trasformare il mondo, tenendo assieme in questo modo apprendimento e lotta, percorso di formazione e continuità/innovazione del conflitto sociale.

Il processo educativo scolare è inteso come un percorso legato profondamente alle esigenze di liberazione ed emancipazione delle classi subalterne: è questa una delle ragioni della rapida diffusione di queste esperienze, che non si può quindi spiegare solamente in relazione al vuoto lasciato dalle riforme neoliberiste rispetto al quale comunque il kirchnerismo è riuscito ad intervenire solo parzialmente.

Queste scuole costituiscono in molti casi l’unica possibilità per i giovani dei quartieri popolari di inserirsi in uno spazio collettivo: in questo senso queste esperienze si propongono di contrastare in questo modo i processi di esclusione, di individualizzazione e di impoverimento che coinvolgono tuttora ampi settori popolari in Argentina. I giovani studenti, precari, spesso migranti, trovano la possibilità di inserirsi in una dinamica collettiva aperta ed accogliente, in cui valorizzare le loro capacità di apprendimento e affermare che esiste la possibilità di una crescita educativa e umana anche per chi è stato espulso dal sistema educativo, attraverso il riconoscimento del valore del sapere subalterno, delle competenze e delle esperienze di vita di chi viene dai quartieri popolari o dalle villas.

Esperienze che mettono in pratica la rottura della fittizia separazione tra luogo dell’apprendimento e luogo del lavoro, anche solo a partire dagli stessi luoghi in cui sono situate, le fabbriche autogestite, luoghi di lavoro che vivono un processo di conflitto permanente. Così scrive Giuliana Visco in “Ahora es cuando”[9]: “l’adesione dei giovani a questo modello deve leggersi come forma di integrazione in uno spazio socio-culturale che si rivela anche spazio di soggettivazione, sia in riferimento al proprio essere studenti […] sia al tipo di dialogo che si instaura con l’esperienza dei lavoratori”.

Si tratta di un processo di soggettivazione politica che nasce dalla sperimentazione radicalmente delle pratiche pedagogiche a partire dalla quotidianità: i saperi “della lotta e per la lotta”[10], i saperi popolari e subalterni e quelli accademici convivono in un processo meticcio all’interno di queste scuole.

La critica delle discipline, la centralità della dimensione politica dell’educazione e la connessione tra pratiche di lotta e cooperazione formano così parte integrante del processo di appropriazione e riconfigurazione dei saperi che viene sperimentato dall’educazione popolare. Nella vita quotidiana delle scuole autogestite possiamo ritrovare una sperimentazione educativa che tenta di infrangere quello che Rancière chiama l’ordine della spiegazione[11], a partire dalla reinvenzione dell’educazione come pratica di liberazione e di trasformazione nell’incontro tra esperienze di lotta territoriali ed esigenze dei settori popolari nel contesto di precarietà ed emarginazione specifico della metropoli bonarense.

Quali trasformazioni apporterà è ancora presto per dirlo, di certo alcune migliaia di giovani studenti, espulsi o trovatisi ai margini del sistema educativo, stanno sperimentando in questi anni un nuovo modello formativo estremamente innovativo ed interessante.

La scuola come esperienza di educazione popolare viene quindi intesa come un vero e proprio movimento sociale: in conclusione ritengo che l’elemento di maggiore interesse di queste esperienze per i movimenti sociali e studenteschi nel pieno della crisi europea sia proprio la capacità di sperimentare nuove istituzioni – in questo caso iscritte in pieno nella tensione tra autonomia e relazione con lo stato – in cui educatori ed educandi sono parte di un processo di liberazione e di crescita comune: la funzione della scuola diventa quella di dare vita a nuovi processi di soggettivazione avendo “come aspirazione […] la conformazione di soggetti politici” [12]impegnati e compromessi con le lotte sociali, per rafforzare la lotta per l’egemonia di un modello alternativo al capitalismo.

Note:

[1] La dicitura ERT – Empresas recuperadas por sus trabajadores – è utilizzata nell’ambito delle scienze sociali per definire l’esperienza di occupazione e autogestione delle fabbriche in crisi in Argentina.

[2] Il governo neoliberista di Carlos Menem dura dal 1989 al 1999.

[3] In italiano “fallimento [del sistema] educativo”.

[4] Pablo Gentili in “Movimientos sociales y educacion” CLACSO 2011 definisce “razzismo educativo” quel processo di esclusione scolastica lungo la linea del colore

[5] Mi riferisco ai rilevamenti sulle scuole popolari a cura del centro di ricerca OSERA dell’Istituto Gino Germani, Facoltà di Scienze sociali della UBA.

[6] Cfr. le riflessioni e le analisi di Miguel Mellino, Cesar Altamira (pubblicati su uninomade.org) e il libro di Pablo Hupert El estado posnacional, 2012.

[7] P. Hupert, El estado posnacional, ISBN, Buenos Aires, 2012

[8] “Concentratore di flussi e contatti reticolari” P. Hupert, El estado posnacional, 2012.

[9] G.Visco, Ahora es cuando, Aracne, Roma, 2011.

[10] “Saberes de y para la lucha” vengono chiamati quei saperi che sorgono dalle lotte e quelli che rafforzano i processi di emancipazione.

[11] Mi riferisco all’opera di Rancière “Il Maestro ignorante”.

[12] Cfr. R. Elisalde, Proceso historico: antecedentes e influencias, in M. Ampudia, R. Elisalde (compiladores), Movimientos sociales y educaciòn, Buenos Libros, Buenos Aires, 2008.