MONDO

Ecuador: «Aquí se respira lucha»

Costituzioni e movimenti sociali in America Latina: riflessioni verso il dibattito del prossimo 28 maggio alle ore 17 @Esc Atelier

Negli ultimi anni l’America Latina ha vissuto profonde trasformazioni politiche ed economiche, soprattutto a seguito della parziale rottura con i dettami neoliberisti del Fondo Monetario Internazionale, la quale ha radicalmente mutato il ruolo della regione sulla scena internazionale. Due sono i temi più interessanti attorno ai quali ci soffermiamo in vista dell’incontro-dibattito con Mauro Cerbino, Docente della FLACSO – sede Ecuador- a Esc Atelier, martedì 28 maggio ore 17: la capacità costituente dimostrata dai movimenti sociali nei processi di riforma e le sperimentazioni legate alle nuove Carte Costituzionali.

Dal Venezuela di Hugo Chávez è ripartito il progetto bolivariano per un’unione politica ed economica dei paesi latinoamericani, rideclinato in funzione delle sfide che il contesto contemporaneo impone. I nuovi governi della Bolivia e dell’Ecuador, e in parte dell’Argentina e del Paraguay (prima del golpe bianco e della vittoria del centrodestra pochi mesi fa) hanno, infatti, aderito al processo di integrazione continentale promosso da Chávez all’insegna del cosiddetto “Socialismo del XXI secolo”, che si propone di risollevare le condizioni socioeconomiche disastrose della maggioranza dei popoli sudamericani, attraverso politiche marcatamente anti-liberiste. Così, tanto sul piano della politica estera quanto su quello della politica nazionale, il continente che è stato a lungo privilegiato come laboratorio per l’applicazione dei dettami del neoliberismo è diventato il territorio della resistenza e della costruzione di alternative percorribili, non senza incorrere però in contraddizioni o compromessi che in più di un’occasione hanno ridimensionato la portata della rottura con il modello dominante dello sviluppo.

In questo processo di trasformazione, sfociato nell’approvazione delle note “Costituzioni di Terza generazione” che hanno introiettato sul piano giuridico e politico il riconoscimento sociale di diritti fondamentali prima inediti, un ruolo importante è stato giocato dalla radicalità dei movimenti sociali che hanno saputo far vacillare le élites locali e intimorire le grandi potenze mondiali: basti pensare, a titolo d’esempio, alle grandi rivolte popolari in Argentina, in Ecuador e in Bolivia nei primi anni Duemila, alla moltiplicazione delle lotte contro le privatizzazioni e il degrado ambientale, alla resistenza contro le ingerenze delle multinazionali, ai laboratori di “comunicazione comunitaria” in Venezuela. Queste esperienze hanno costituito un terreno fertile per la messa in rete di diversi attori sociali, come il movimento indigeno, quello femminista e quello ambientalista: ciascuno con la propria vertenza ha tematizzato il medesimo profondo disagio rispetto ai paradigmi dominanti e alle logiche di dominio, provando a costruire alternative concrete.

Se questo è lo scenario, viene dunque da domandarsi anzitutto quali siano le relazioni tra lo spazio dei movimenti e il campo politico-istituzionale nell’America Latina di oggi. Ripercorrendo le tappe che hanno condotto all’insediamento dei nuovi governi progressisti, infatti, emerge nitidamente la capacità “costituente” dei movimenti ma, al tempo stesso, le nuove forme di governance esercitate dal “potere costituito” lasciano spazio a conflitti sociali e contraddizioni politiche significativamente rinnovate.

È importante allora interrogarsi su come si possa mantenere “permanente e continuo” tale processo costituente, e guardare alle diverse esperienze oltreoceano nelle loro differenze e nella complessità del quadro socio-economico e politico complessivo. Non si può non tenere conto, in effetti, delle differenze esistenti tra la governance post-neoliberale del modello K in Argentina, le Costituzioni, i governi e i conflitti che stanno trasformando Ecuador, Bolivia e Venezuela, lo sviluppo del colosso Brasiliano, e le dinamiche di integrazione politico-economica attuate entro i progetti Mercosur e ALBA. Anche i fenomeni che, in maniera spesso approssimativa, vengono rubricati sotto il nome di “populismo” – che, nella sua ambivalenza, già dice molto delle contraddizioni che caratterizzano la realtà regionale – rappresentano un elemento da tenere in debita considerazione: la “rottura populista” nei paesi latinoamericani, infatti, ha dicotomizzato lo spazio sociale costruendo “relazioni di equivalenza” tra domande sociali insoddisfatte, tessendo le maglie di un’identità popolare comune. Tuttavia, la tensione che inevitabilmente è rimasta tra la partecipazione popolare e le derive leaderistiche – favorite dal presidenzialismo tipico dei sistemi politici sudamericani – spesso sfocia in una delimitazione della potenza degli antagonismi sociali o quantomeno nella restrizione dell’autonomia dei movimenti.

Queste contraddizioni, chiaramente, si riflettono anche nel rapporto tutt’altro che giuridico tra Costituzione e norme d’attuazione. Molte delle “scommesse” costituzionali lanciate dai Presidenti progressisti hanno perso quanto ad audacia al momento della loro traduzione legislativa, e l’effettività dei processi partecipativi di elaborazione della normativa di attuazione si è arenata in più occasioni sull’interesse generale dello Stato il quale assorbe, così, un “comune” che stenta ad affrancarsi dal “pubblico”. Lo stesso può dirsi in merito al rapporto tra i diversi attori collettivi coinvolti nel processo di riforma costituzionale. Infatti, il tentativo di istituire soggettività statali “ibride”, dunque plurali (es. lo “Stato plurinazionale” ecuatoriano e boliviano) a partire dal riconoscimento giuridico-formale delle diverse nazionalità indigene che abitano molti dei paesi sudamericani, risulta spesso inadeguato ad affrontare una sfida che è anzitutto culturale e politica; ma soprattutto fallisce lì dove sorgono conflitti “reali”, per le risorse tra Stato e comunità indigene.

Non potendo riassumere in poche righe la complessità e la specificità delle questioni che emergono dalla nuova fase politica latinoamericana, vogliamo con queste riflessioni limitarci a tratteggiare lo scenario complessivo e concentrare l’attenzione su un caso specifico, quale quello equatoriano che, in questo contesto, può diventare un’occasione di studio utile a dare conto dei diversi interrogativi che abbiamo messo in evidenza. La Revolución Ciudadana di Correa ci aiuta, ad esempio, a ripercorrere le tappe del processo di trasformazione che abbiamo descritto, anche in considerazione della dichiarazione d’illegittimità del debito con il Fondo Monetario Internazionale che l’Ecuador ha poi rinegoziato e pagato solo nella parte dovuta (2007). Ma soprattutto ci consente di approfondire quale sia il rapporto tra potere costituente dei movimenti e potere costituito dei Governi, e di cogliere la capacità innovativa, in termini di effettività, della riforma costituzionale approvata nel 2008. In questo senso, il caso molto discusso della nuova Ley de Comunicación può diventare la lente d’ingrandimento attraverso la quale leggere tra le righe di una situazione politica intricata in cui, nello scontro tra media pubblici e privati, si nascondono le sfide reali della democrazia partecipativa.

Il laboratorio sudamericano, a cui spesso si guarda alternativamente con bigotta diffidenza o con esotica euforia, è a nostro avviso a tutti gli effetti un riferimento estremamente utile per immaginare e sviluppare ipotesi politiche e processi di cambiamento auspicabili, ma solo contemperando le specificità storico-politiche e le incongruenze effettivamente esistenti.