cult

CULT

Cinquant’anni fa il 1968, e non era che l’inizio

È nelle librerie un testo che ripercorre i momenti più importanti di quell’anno. Lo fa attraversando il mondo e testimoniando l’estensione e la forza di quella scossa necessaria e memorabile. L’autore è Paolo Brogi, già giornalista de “L’Europeo” e de “Il corriere della sera”, nonché protagonista di alcuni degli eventi narrati. Il titolo è “’68 C’est n’est qu’un début. Storie di un mondo in rivolta”

Mano a mano che un evento storico si allontana nel tempo il ricordo si fa meno nitido.

Se poi si tratta di un passaggio epocale, alla memoria si aggiungono i giudizi e le analisi che ne alterano sempre il valore. L’evento diventa strumento per sostenere tesi, a favore dell’uno, a favore dell’altro. E la distanza tra ciò che è accaduto e ciò che viene trasmesso sembra farsi infinita. Sarebbe opportuno, sempre, provare a cercare nelle parole di chi ha vissuto i fatti le uniche tracce necessarie a ricomporli. Con la consapevolezza che, così facendo, non emergerà nessuna verità assoluta, nessun taglio omogeneo, ma l’eterogeneità delle forze e delle volontà che lo hanno determinato. A quel punto, l’evento tornerà a parlarci.

Accade qualcosa del genere con la lettura del libro di Brogi che racconta quello che è successo durante il “fatto” politico, sociale e culturale più importante e complesso della seconda metà del secolo passato. Per introdurre le sue quarantuno cronache l’autore usa, non a caso, le parole che una studentessa rivolge a una protagonista dell’epoca, per invitarla a parlare: «Non è vero che voi del ’68 siete diventati tutti terroristi. Vediamo i nonni di qualcuna di noi, non ci pare proprio. Tu che cosa puoi dirci?». Scrivo “non a caso” perché proprio le narrazioni orali, come tracce imprescindibili del ruolo dei soggetti nella storia, sono state uno degli strumenti più utili per individuare i percorsi di quella generazione. E di oralità, testimonianze dirette e memorie personali il libro di Brogi è pieno.

 

«Entrano i fascisti a Lettere», spiega Fabio Pellarin […] «il movimento studentesco della Sapienza era riunito in assemblea nell’Aula Prima, per il convegno nazionale indetto nella giornata di lotta di quel 16 marzo. Erano le 11.30 e la sala era piena di studenti. I mazzieri entrarono con le bandiere tricolori, poi le avvolsero intorno alle aste e cominciarono a picchiare […]». Sulle scalinate di Lettere c’è il primo scontro […] I fascisti intanto rinculano e tornano dentro Legge. Prima di rinchiudersi nella facoltà si esibiscono sull’alto della scalinata, brandendo i loro bastoni. Tra loro si vedono Giorgio Almirante e Giulio Caradonna: il segretario dell’MSI era lì a sostenere i picchiatori […] Da dentro i fascisti tirano biglie di acciaio […] Dall’alto piovono sedie, banchi, panche […] Scalzone sta avanzando con una sedia che ha raccolto sulla gradinata. «In quel momento sento come una tremenda legnata, mi sento proprio completamente rotto, ma senza dolore, e cado a terra». Gli è piombata addosso una grossa panca, colpendolo obliquamente. […] Alle 12.50 la polizia entra dentro l’università […] Dentro Legge stazionano ancora i mazzieri. La polizia finalmente […] identifica 151 fascisti presenti in aula […] I denunciati provengono da diverse parti d’Italia, neanche uno è studente. «Paese sera» riporta nel dettaglio una lunga lista.

 

Sono passati cinquant’anni dall’anno della rivolta e sono in corso mostre, si preparano dibattiti, si scrivono inchieste, ma forse il modo più opportuno per capire quanto accaduto sarebbe parlarne, in lunghi, ricchi incontri organizzati in ogni dove. E non per il gusto di allenare la retorica e rilanciare i comizi, ma per comprendere la continuità tra quei fatti e l’oggi, nel bene e nel male. Una continuità per esempio sintetizzata dalle Tesi della Sapienza scritte nell’Università di Pisa nel 1967 – l’apertura delle danze, per così dire – e dalla loro definizione degli studenti come “forza lavoro in via di formazione” (sic!). In questi incontri, le letture ad alta voce dei testi che compongono questo libro darebbero il ritmo agli interventi, in una immaginifica sequenza di accadimenti.

 

 

È successo tutto nel 1968! Per intenderci: a Tokyo, a gennaio, gli studenti costringono la portaerei americana Enterprise, diretta in Vietnam, ad ancorarsi a largo delle coste giapponesi. Terminata quella protesta, gli stessi studenti torneranno a sostenere la lotta dei contadini di Narita, cominciata con la “rivolta dei cocomeri” nel 1967. Il regista Shinsuke Ogawa documenterà gli scontri tra i lavoratori, che difendevano le terre, e la polizia che doveva garantirne l’espropriazione, per la costruzione di un aeroporto. A febbraio vengono occupate decine di facoltà e si moltiplicano i cortei contro la guerra in Vietnam in ogni capitale d’Europa. In Italia marzo si apre con Valle Giulia, a Roma, quando gli studenti non scappano davanti le cariche della polizia, ma accettano lo scontro. Poi il 26, sempre a Roma, gli occupanti del Mamiani conquistano il diritto all’assemblea: un evento di portata nazionale, seguito dallo sciopero alla Fiat di Torino, il 30 marzo, quando gli operai del Lingotto generano la reazione a catena che porterà l’agitazione alla Lancia, poi alla Zoppas di Treviso e alla Zanussi di Pordenone. Se pure “il 68”, scrive l’autore, «non è ancora l’anno degli operai». Il 4 aprile viene assassinato Martin Luther King, evento che porterà al rinvio della cerimonia degli Oscar. Il maggio, si sa, fu francese e anche il festival di Cannes sarà chiuso anticipatamente a causa dei tumulti. Alla fine di quel mese, nella loro comune di via Bodoni a Milano, gli Equipe 84 ospitano Jimi Hendrix. Il 9 giugno il maresciallo Tito, in Jugoslavia, interviene in tv per appoggiare quanto richiesto dagli studenti che protestano a favore della democratizzazione del paese, per l’abolizione dei privilegi, contro la disoccupazione. Deciderà poi di sgomberare definitivamente le università occupate, nel mese di luglio. Sempre a luglio, i terremotati del Belìce che marciano su Palermo in segno di protesta vengono repressi a manganellate. Ad agosto i carri armati sovietici entrano Praga. Gli operai della Marzotto, in Valdagno, provincia di Vicenza, lavorano con il marcatempi che cronometra il loro rendimento. A ottobre, quelli di Pisa, insieme agli studenti si scontreranno con la polizia. Nello stesso mese, a Città del Messico, in piazza delle Tre Culture vengono massacrati centinaia di ragazzi. Il due dicembre ad Avola, in Sicilia, la polizia sparerà sui braccianti in sciopero uccidendone due.

 

Brogi racconta tutto questo in 329 pagine, con una scrittura precisa e leggera e restituisce a quell’anno il peso che merita. Il Millenovecentosessantotto non fu il divertimento di una generazione, né una grossa illusione: erano in gioco i rapporti con i poteri, i diritti dei lavoratori e degli studenti, la possibilità di costruire una società più equa. Le teorie s’accompagnavano alla pratica: alcune fallendo tremendamente, altre organizzando una riflessione sul reale che sarà la base di politiche future. Dunque se il concetto di “quadro degli eventi” ha senso, questo testo è il miglior libro che si possa leggere per capire cos’è stato e perché il ‘68 non poteva che essere soltanto un inizio.