ROMA

Case popolari: i movimenti per l’abitare riaprono la partita con la Regione Lazio

Dopo il presidio di ieri mattina davanti all’Ater, l’agenzia regionale che gestisce l’edilizia residenziale del patrimonio pubblico, e il successivo incontro con i vertici dell’ente, i movimenti per il diritto all’abitare intascano l’apertura della Regione Lazio alla convocazione di un tavolo interistituzionale per far fronte all’emergenza abitativa

Soltanto a Roma sono cinquantasettemila le famiglie che si trovano in emergenza abitativa, come riconosciuto dalla stessa Ater, acronimo di Azienda territoriale per l’edilizia residenziale, cioè l’agenzia della Regione Lazio che gestisce il patrimonio immobiliare pubblico ad uso residenziale; proprio in questi giorni sono proseguiti gli sgomberi delle stesse case popolari di proprietà della Regione da parte della polizia municipale di Roma Capitale, e i distacchi delle utenze effettuati da Acea, la municipalizzata mista pubblico-privata che eroga l’energia elettrica ai romani. Così stamattina era stato indetto un presidio sotto la sede dell’Ater dai vari comitati romani per il diritto all’abitare, e da Usia Usb, per dare sostegno a quelle persone che rischiano di essere cacciate dalle proprie abitazioni in seguito all’accelerazione del piano di vendita delle case Ater, così come previsto dal decreto del Governo Renzi del 2014 che porta la firma dell’ex ministro delle infrastrutture, Maurizio Lupi.

Un programma governativo di alienazione del patrimonio pubblico già destinato da tempo ad edilizia popolare, a cui la stessa Regione Lazio aveva dato seguito il 25 giugno scorso, approvando con una delibera apposita la vendita di immobili nel centro storico, e, in zone di elevato pregio, nelle zone di Testaccio, Trastevere, Esquilino, ma anche in quartieri meno centrali. Ciò in virtù di alcune caratteristiche e requisiti delle abitazioni, che la delibera definisce, beffardamente, così: «requisiti di centralità in termini di presenza funzionale e di accessibilità ad attrezzature e servizi pubblici e privati di ogni ordine e grado, di servizi di trasporti urbani ed extraurbani, di collegamenti viari, di attrezzature scolastiche, sanitarie, sportive, commerciali e terziarie». Dunque, per «impedire la vendita del patrimonio pubblico, per chiedere la sanatoria per chi abita in quelle case avendone tutti i requisiti previsti anche se senza titolo, per scongiurare che il centro storico perda gli ultimi abitanti», i movimenti per il diritto all’abitare si erano dati appuntamento ieri mattina sul Lungotevere Tor Di Nona sotto l’Ater, dando vita a un presidio numeroso, e anche molto rappresentativo. C’erano gli inquilini dell’Ater, appunto, delle case di Via Bembo dove proprio ieri mattina avevano staccato acqua e luce, gli abitanti di diverse occupazioni romane e delle case popolari di proprietà del Comune che al termine della mattinata di protesta hanno ottenuto il riallaccio delle utenze. Da quello che dice Margherita Grazioli dei Blocchi Precari Metropolitani uscendo dall’incontro che una delegazione dei manifestanti ha avuto con i vertici di Ater, sembra che le pressioni dei movimenti per l’abitare abbiano stimolato, almeno a parole, un interesse istituzionale, a tutti i livelli.

Spiega Grazioli: «Abbiamo rappresentato quelle che per noi sono le questioni da cui partire. Non si possono continuare a vendere le case popolari. Bisogna fermare i distacchi e gli sgomberi. È necessario pertanto mettersi davanti a un tavolo e discutere per trovare una soluzione abitativa ai bisogni di 57000 famiglie che si trovano in emergenza abitativa». E poi continua: «Sono dati confermati dallo stesso ente, dal quale hanno manifestato la disponibilità della Regione alla convocazione immediata di un incontro per discuterne e trovare una soluzione che non può essere soltanto i 700 appartamenti che dall’Ater hanno promesso di mettere a disposizione». Angelo Fascetti, di Asia Usb, ha insistito sulla necessità di mettere in campo un grande progetto, con relativi investimenti, ma ha anche chiesto alle istituzioni di prendere posizione contro gli articoli 3 e 5 del decreto Renzi/Lupi, quest’ultima, in particolare, norma dal sapore incostituzionale, la quale stabilisce: «chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge».

Ora: «Vogliamo davvero che sia messo in moto da parte delle istituzioni un meccanismo di discontinuità. È ora di mettere sul tavolo proposte concrete, non chiacchiere. I soldi ci sono, non sono spariti. Bisogna soltanto metterli a disposizione per quella che è la vera emergenza, quella abitativa», dice Andrea Alzetta, di Action, in passato anche consigliere comunale d’opposizione, a Roma, durante gli anni della giunta di Gianni Alemanno.

Quello che è certo è che dopo la giornata di protesta di oggi, i movimenti per l’abitare hanno riaperto la partita, la trattativa sulla vendita delle case popolari, con la Regione che sembra aver teso la mano ai bisognosi di casa. Sta all’Ente, ora, smentire con i fatti le indiscrezioni sul fatto che circa un terzo del patrimonio Ater, a breve, sarà interamente messo in vendita, cioè 18 mila alloggi. Così come le politiche di nuova urbanizzazione le quali prevedono che nelle zone dove alcune condizioni garantiscono qualità dell’abitare debbano essere espulse le famiglie povere, per essere sostituite da abitanti in grado di sostenere i valori immobiliari di mercato. Tutto ciò per poter risanare le casse di Ater, un ente pubblico, già Istituto autonomo case popolari, Iacp, che le case se le è giocate per davvero.