ITALIA

Migliaia in corteo a Piacenza. Le lotte operaie non si processano

Oltre tremila persone si sono riversate nelle strade di Piacenza per chiedere l’immediata scarcerazione dei sei sindacalisti sottoposti agli arresti domiciliari il 19 luglio

Il procedimento giudiziario avviato nei confronti dei sindacati di base SI Cobas e USB è solo l’ultimo attacco nei confronti delle organizzazioni di classe che hanno portato i diritti a Piacenza – polo nevralgico della logistica per grandi aziende e multinazionali.

Partiamo dai fatti di martedì 19 luglio. L’operazione coordinata dalla procura di Piacenza ha portato all’arresto di Aldo Milani – coordinatore nazionale SI Cobas –, Mohamed Aarafat, Carlo Pallavicini e Bruno Scagnelli del SI Cobas; e di Roberto Montanari ed Issa Abed Mahmoud El Moursi dell’USB. Si aggiungono alla lista degli indiziati Elderdah Fisal, sottoposto ad obbligo di firma, e Riadh Zaghdane, con divieto di dimora nella provincia di Piacenza, dell’USB.

L’impianto accusatorio, curato dalla procuratrice Grazia Pradella, è raccolto in un fascicolo di oltre 350 pagine dove ai sindacalisti vengono imputati i reati di associazione a delinquere, resistenza e violenza a pubblico ufficiale, interruzione di pubblico servizio, blocco stradale e violenza privata. Le indagini che hanno portato alla costruzione di tale impianto accusatorio si fondano su intercettazioni telefoniche, accertamenti bancari ed altri materiali raccolti dal 2014 al 2022 dalla questura di Piacenza durante le vertenze aperte dal sindacato sugli stabilimenti di GLS, Amazon, FedEx, Nippon Express, SDA, Leroy Merlin, ecc..

Dall’analisi dei documenti emerge la volontà della procura di criminalizzare le attività sindacali di SI Cobas e USB. Le attività di sindacalizzazione e sindacali vengono interpretate come attività di manipolazione dei lavoratori in uno schema di supposta guerra tra bande; la contrattazione di secondo livello è interpretata come estorsione nei confronti della parte padronale.

Il verbale aperto dalla procura di Piacenza è nella realtà dei fatti un teorema volto a criminalizzare l’attività dei sindacati conflittuali e dei lavoratori in lotta: qui i reati contestati sono quelli di sindacato, sciopero e conflitto.

I due sindacati non sono nuovi a procedimenti giudiziari di questo tipo nei confronti dei propri sindacalisti: il 12 luglio Marta Collot – portavoce nazionale di Potere al Popolo – e altri due militanti, sono stati condannati in primo grado a 4 mesi per le manifestazioni avvenute dopo l’omicidio di Abd Elsalam avvenuto nel 2016 a Piacenza, le accuse di associazione a delinquere e la minaccia delle misure di sorveglianza speciale nei confronti dei SI Cobas Napoli e del Movimento Disoccupati 7 Novembre e in ultimo gli avvisi di garanzia per violenza privata recapitati a due sindacalisti dell’USB Bologna per un picchetto avvenuto questo aprile alla Pelletways.

Inoltre, Pallavicini ed Aarafat non sono nuovi a misure di questo tipo. Nel marzo dello scorso anno, nel pieno della vertenza SI Cobas contro la chiusura dello stabilimento FedEx-TNT di Piacenza, Pallavicini ed Aarafat sono stati sottoposti agli arresti domiciliari con le accuse di resistenza aggravata per i picchetti davanti alla FedEx TNT. Nell’ambito della stessa vertenza – che ha coinvolto anche i magazzini della Zampieri Holding, in quanto appaltante degli ordini FedEx della filiale di Piacenza – anche Eddy Sorge, del SI Cobas Napoli, è stato sottoposto a foglio di via dalla provincia per aver partecipato a un picchetto alla Zampieri di San Giuliano Milanese al termine di un incontro del coordinamento nazionale SI Cobas tenutosi a Milano.

La scelta di colpire con un’inchiesta pretestuosa Piacenza non è casuale. Qui, in un distretto industriale e logistico ad alta concentrazione di capitali, facente massiccio uso di lavoro a basso valore aggiunto, i diritti sono stati portati dal conflitto di lavoratori e lavoratrici e le manette richieste dalla controparte padronale.

Di fatti, la cronologia degli eventi restituisce la complicità del padronato con la procura nell’impianto accusatorio. Il 5 dicembre 2018, nel bel mezzo di una stagione pregna di scioperi nel distretto piacentino, GLS, TNT, Fedit, SDA e Bartolini chiedono un incontro in prefettura per discutere delle problematiche suscitate dai continui scioperi, sollecitando il Prefetto ad intervenire per mettere fine alle interruzioni della produzione messe in atto da lavoratori e lavoratrici.

Questa dinamica di concordia padronale non è nuova né a Piacenza né nei movimenti: il caso degli attivisti di Fridays for Future Milano, sottoposti a perquisizione domiciliare in seguito ad un’azione contro Gazprom e sotto sollecitazione fatta dall’azienda stessa è esemplificativo. La criminalizzazione delle lotte è il punto su cui stanno marciando uniti Stato e padroni per mettere a tacere ogni vertenza, rivendicazione ed esigenza sociale proveniente dal basso.

I lavoratori hanno risposto immediatamente agli arresti con scioperi selvaggi in giornata e cortei spontanei verso la Prefettura di Piacenza, mentre le due sigle sindacali colpite hanno dato vita ad un’immediata mobilitazione nazionale: 24 ore di sciopero generale della logistica dalle ore 21 di martedì 19 convocato dall’USB; blocco degli interporti dalla mezzanotte di mercoledì 20 convocato dal SI Cobas.

Gli eventi di mobilitazione si sono aggiunti all’ondata di scioperi che stanno attraversando il settore della logistica – come nei casi della vertenza Kamila portata avanti dall’ADL Cobas Parma e dalla vertenza sui lavoratori portuali dell’USB Livorno – e l’estensione a macchia d’olio di scioperi spontanei per le condizioni d’estremo caldo sul posto di lavoro – carrozzerie Mirafiori Torino, alla Modine di Pocenia (UD) e alla DANA di Graziano di Rivoli dove il 21 luglio un operaio è morto in seguito a un malore a causa dell’estremo caldo nello stabilimento.

Il lavoro eversivo del SI Cobas e USB è stato questo: lottare in modo più diretto contro la propria controparte per acquisire quei diritti che per lungo tempo sono stati loro negati, di invertire la rotta dello sfruttamento assoluto nell’ottica di restituire la dovuta dignità a lavoratori e lavoratrici e affinchè questi non siano più sfruttati di altri perché donne o migranti.

La mobilitazione si è condensata nelle strade di Piacenza nella giornata di sabato 23, data in cui i sindacati SI Cobas e USB hanno convocato il corteo per la scarcerazione immediata ed il decadimento di tutte le accuse per i sindacalisti coinvolti nell’indagine. Ad arrivare al concentramento a piazzale Marconi, si inizia già a respirare l’aria di una giornata di lotta pregna di rabbia. Nonostante l’aria torrida, più di tremila persone sono accorse per dimostrare la propria solidarietà e ribadire che non saranno gli arresti o i ricatti padronali a fermare le lotte di lavoratori e lavoratrici. Nelle stesse ora si sono susseguiti scioperi in solidarietà ad Amburgo, Brema, Zurigo e altre città. Come sottolineato in piazza, la lotta attuata nel piacentino è un modello di sindacato conflittuale seguito anche all’estero.

Centinaia di persone sono accorse da tutt’Italia: da Napoli a Torino, dal Nord-Est fino al Collettivo di Fabbrica GKN. Alla partenza si vedono centinaia di lavoratori e lavoratrici con indosso maglie su cui sono stampati volti e nomi dei sindacalisti SI Cobas arrestati e di fianco la scritta “libero!”, nel mezzo del corteo si trovano poi quattro grandi tazebao con su stampate le stesse grafiche ed esortazioni alla scarcerazione, e da testa a coda si susseguono i cori in solidarietà dei sindacalisti.

Il corteo si apre con lo striscione “Le lotte operaie non si processano. La vera associazione a delinquere sono Stato e padroni” percorrendo una Piacenza caldissima, scandendo i propri slogan in difesa del sindacato e delle sue conquiste in un distretto dove non era attuato il CCNL ma dove lo sfruttamento era la normalità. L’intervento del sindacato ha portato questi diritti ed ha combattuto sul piano della contrattazione collettiva di secondo livello per vedere riconosciute migliori condizioni contrattuali, lavorative e lavorative a schiere di lavoratrici e lavoratori sindacalizzatisi nelle lotte. Dal microfono la lettura dell’inchiesta è chiara: «vogliono cancellare con un colpo di spugna, con l’aiuto della democrazia un decennio di lotte che ha cambiato irrevocabilmente la storia delle lotte di questo paese partendo da questo territorio».

Non sono solo le multinazionali operanti nel distretto ad essere attaccate, molte sono le lavoratrici ed i lavoratori che hanno visti negati i propri diritti in un sistema lavorativo fatto di scatole cinesi, dove cooperative e committenti sono nodi centrali dello sfruttamento. L’inchiesta della procura, insieme al vaglio della modifica dell’art. 1677 del Codice Civile – sulla responsabilità in solido del committente sui mancati pagamenti e adeguamenti salariali delle ditte fornitrici e delle cooperative –, mira a cancellare le conquiste ottenute dal movimento dei lavoratori: «hanno fatto leggi per renderci più precari, sfruttati, ci hanno tolto sempre più diritti. Questo paese, questo è l’unico paese in cui negli ultimi trent’anni abbiamo perso salario anziché guadagnarlo, e allora qual è il ruolo di un sindacato se non lottare per riprenderci quello che ci hanno tolto? E anche di più! Noi vogliamo ancora di più!».

Dalla piazza risuona forte l’istanza di prepararci all’autunno caldo, preparare lo sciopero generale e generalizzato nei prossimi mesi. Prepararsi è convergere, uscire dalle nicchie delle sigle sindacali e mettere a valore lotte ed esperienze di autogestione dentro e fuori i posti di lavoro.

Eppure, prima dell’autunno c’è un’estate rovente da attraversare. Carovita e la non remota eventualità di uno dei Governi più a destra della storia repubblicana sono alle porte ad aspettarci. Dal movimento sindacale si accumula il calore di quest’estate dall’ex-GKN di Campi Bisenzio a Piacenza lavoratori e lavoratrici preparano la cassetta degli attrezzi per le mobilitazioni autunnali; dalla Val Susa a Niscemi i movimenti ecologisti ci riportano l’urgenza della messa a sistema delle lotte.

Foto di copertina e nell’articolo a cura dell’autore