MONDO

Bus separati per palestinesi e israeliani, progetto sospeso

Annunciato e sospeso nel giro di poche ore il progetto della Difesa. A Gerusalemme la polizia ha ucciso un palestinese accusato di voler investire due poliziotti. Testimoni smentiscono

AGGIORNAMENTO ore 11.30 – NETANYAHU SOSPENDE IL PIANO DI SEPARAZIONE DEI BUS

Il premier israeliano Netanyahu ha bocciato e sospeso, dopo poche ore dal lancio, il piano del suo ministro della Difesa che separava gli autobus utilizzabili da palestinesi e israeliani. “Inaccetabile”, il commento del primo ministro.

——————————————————————————————————

di Chiara Cruciati

Stamattina un palestinese di 41 anni, Omran Omar Abu Dheim, residente nel quartiere di Jabal al Mukabbir a Gerusalemme Est, è stato ucciso dalle pallottole sparate dalla polizia israeliana sul Monte degli Olivi, nella zona di al-Tur.

Secondo testimoni presenti sul posto, i poliziotti avrebbero aperto il fuoco ad un auto grigia, una Land Cruiser, e colpito il conducente. La polizia israeliana avrebbe impedito l’arrivo dei soccorsi, lasciando l’uomo a terra. È morto dissanguato poco dopo.

Il primo commento arriva dal portavoce della polizia, Micky Rosenfeld, secondo il quale Abu Dheim è stato colpito perché avrebbe tentato di investire con la sua auto due poliziotti di frontiera. Una versione che i testimoni contestano: “Stava cercando di fare un’inversione a u”, riportano a Ma’an News. “I funzionari della polizia di frontiera hanno agito come dovevano, neutralizzato il terrorista impedendogli di far male a persone innocenti”, è stato invece il commento del capo della polizia di Gerusalemme, Moshe Edri.

Gerusalemme resta così l’epicentro delle tensioni latenti che Israele ha tentato di soffocare per anni, ma esplose inevitabilmente nel 2014. Che oggi si sia trattato di un incidente, come affermano i testimoni, o di un atto volontario, come dice la polizia, dietro resta una situazione ormai invivibile per la popolazione palestinese di Gerusalemme Est, prigioniera della propria città, esclusa dai diritti base riconosciuti alla popolazione israeliana, costantemente discriminata nell’accesso ai servizi base.

Da anni organizzazioni per i diritti umani e residenti palestinesi denunciano la chiara politica israeliana volta a “giudaizzare” la città, cancellandone la presenza araba e la sua storia. Separando il cuore palestinese dal resto del corpo: con la costruzione del muro Gerusalemme è stata privata del contatto diretto con la sua società, il suo mercato, le sue relazioni sociali e culturali, ovvero la Cisgiordania.

È stato diviso il territorio, ed è stata divisa la sua gente. I pochi palestinesi residenti in Cisgiordania, i “privilegiati” a cui Israele ha concesso un permesso per attraversare ogni giorno il muro di separazione per lavorare in territorio israeliano, saranno costretti da oggi a subire l’ennesima forma di discriminazione e apartheid: secondo un nuovo piano presentato e approvato dal ministro della Difesa Yaalon, ai lavoratori palestinesi della Cisgiordania sarà da oggi vietato salire negli autobus utilizzati da cittadini israeliani per spostarsi da Israele, dove lavorano, in Cisgiordania dove vivono.

“Secondo un progetto pilota di tre mesi, i palestinesi che lavorano in Israele a partire da mercoledì, dovranno tornare a casa passando per lo stesso checkpoint da cui sono entrati e senza usare autobus utilizzati da residenti israeliani”, ha detto un funzionario governativo alla France Presse. L’ok sarebbe arrivato dallo stesso ministro della Difesa: “Permetterà di controllare meglio i palestinesi e ridurre i rischi alla sicurezza”, ha detto Yaalon alla radio pubblica israeliana.

Così viene definitivamente accolta una richiesta mossa da anni dal movimento dei coloni israeliani in Cisgiordania, da tempo impegnati a fare pressioni sul governo di Tel Aviv perché divida gli autobus che corrono da Israele in Cisgiordania. Nelle ultime settimane si era intensificata soprattutto la campagna del Comitato dei Coloni della Samaria. La prova che il nuovo governo di ultradestra, guidato dai coloni attraverso il partito Casa Ebraica, comincia a ottenere i primi risultati concreti?

Di concreto c’è l’ulteriore umiliazione di migliaia di lavoratori, impiegati soprattutto nel settore delle costruzioni, costretti ogni mattina all’alba ad attraversare un checkpoint per lavorare. Costretti a fare file di ore prima di passare i controlli israeliani. Oggi gli si dice che non potranno nemmeno prendere l’autobus che preferiscono per tornare a casa.

Si stanno già muovendo le organizzazioni per i diritti umani che hanno promesso una petizione alla Corte Suprema. Il nuovo piano renderà ancora più complessi gli spostamenti dei lavoratori palestinesi, in alcuni casi allungando di due ore il tragitto per tornare a casa, come spiega bene un articolo di Haaretz pubblicato stamattina. Con un esempio: i lavoratori che la mattina attraversano il checkpoint di Eyal, a nord, erano soliti tornare a casa con il bus della compagnia Afik che transitava sulla strada numero 5, in direzione della colonia di Ariel. Ora non potranno più prendere un solo autobus che li porti direttamente a destinazione, ma saranno costretti a ripassare per lo stesso checkpoint di ingresso, Eyal, e da lì cambiare mezzo di trasporto.

Dietro, come spesso accade, resta la giustificazione della sicurezza da decenni utilizzata per dividere, separare, annettere terre. La chiamano sicurezza, ma – dicono le organizzazioni per i diritti umani – è apartheid.

*tratto da NenaNews