DIRITTI

Bologna, scontri all’università: la celere entra in biblioteca e picchia gli studenti

Ieri la celere è entrata nell’università di Bologna picchiando i ragazzi che stavano studiando in biblioteca. Scontri nei corridoi dell’ateneo, e cariche violente al corteo di solidarietà partito in piazza Verdi

Quello che è successo nell’università di Bologna ieri pomeriggio è un fatto gravissimo. Un gesto di stupida arroganza che spoglia la polizia e il rettore di Unibo di ogni scusa, di ogni giustificazione. Studentesse e studenti dell’ateneo sono stati picchiati e sequestrati dai reparti di celere in una biblioteca dell’università da poco riaperta al pubblico.

Una studentessa ci ha raccontato come sono andate le cose.

La biblioteca dell’università di Bologna al civico 36 di Via Zamboni è da sempre uno spazio dove circolano molte persone, molte studentesse e molti studenti. È un luogo centrale, a due passi da piazza Verdi. È un luogo dove si fa socialità. È un luogo di studio. Con stupore chi frequenta il 36 si accorge che la biblioteca non riapre dopo le vacanze di Natale. “Lavori in corso” si legge su un cartello appeso davanti la porta. Una ventina di giorni fa arriva la sorpresa: i tornelli. Anzi, più nello specifico due porte a vetri che si aprono solo quando una delle due è chiusa. Come in banca. Ma la differenza è che possono entrare solo le persone provviste di badge. La motivazione è che bisogna tutelare la sicurezza dei lavoratori della biblioteca, perché l’orario di apertura verrà prolungato. “Lo spazio è potere”, scriveva Foucault. Con questa imposizione (mai comunicata in anticipo!) il rettorato ha deciso che quello spazio andava limitato, controllato. Che non poteva essere un posto dove essere felici.

Per fortuna chi lo attraversa tutti i giorni non si è scoraggiato. Da subito sono state raccolte 600 firme, immediatamente depositate presso la prorettrice dell’ateneo. Niente. Parole vaghe, tavoli in cui non si diceva nulla. Prese in giro.

Si è riunita un’assemblea, che nella mattinata di ieri ha deciso quale sarebbe stata la soluzione: smontare i tornelli. Riappropriazione, senza giri di parole. Democrazia. Ieri le porte del 36 erano chiuse. La sessione incombe. Si ha bisogno di studiare. Di nuovo, un’assemblea partecipatissima decide il da farsi: le porte vanno aperte. Noi dobbiamo studiare. In pochissimo l’aula si riempie di corpi, di libri, di idee e di sorrisi. Un bel momento. Nel frattempo si pensa subito a come autogestire la biblioteca, si fanno i turni, si chiede un tavolo con il rettore Ubertini. Dall’università nessuna risposta. Invece dalla questura arrivano le botte. Reparti di polizia e carabinieri in tenuta antisommossa entrano nell’aula. Senza preavviso. Senza avvertimenti, senza neanche intimare le persone ad uscire. Entrano, e picchiano. Molti, moltissimi studenti e studentesse che stavano tranquillamente ripetendo si ritrovano in uno scenario da dittatura cilena: sono chiusi nell’aula, l’uscita principale è sbarrata, la polizia li sta menando e non posso fare niente.

Fortuna vuole che c’era un’uscita d’emergenza e rapidamente escono le studentesse e gli studenti. Ci si prova a riunire, a contarsi. Ma ripartono le cariche. Si corre. Si prova a compattare un corteo. Finalmente ci si riunisce in piazza Verdi. L’intento è quello di fare un’assemblea che discuta di quello che è accaduto. No. Altre cariche. Violentissime. È caccia all’uomo per le vie del centro di Bologna.

Oggi alle 12 è stata convocata un’assemblea. Purtroppo anche per raccontarsi le violenze fisiche e psicologiche subite da chi stava studiando.

A caldo, alcune cose sono evidenti. Il rettorato di Unibo non voleva che il 36 rimanesse uno spazio dove conoscersi, fare amicizia, socializzare. Per questo ha messo i tornelli. Per questo ha chiamato la polizia per sgomberare i locali. Per questo ha permesso che si ferissero e si intimorissero gli studenti. Per fortuna lo hanno scoperto subito. Per fortuna hanno “resistito un minuto più di loro”. Per fortuna non abbiamo voglia di vivere una vita in solitudine, non vogliamo essere fragili pupazzi nelle vostre viscide mani.

Quello che è successo a Bologna è successo in tutte le facoltà d’Italia. Non lo scorderemo.

Ubertini, dimissioni subito.