EUROPA

Bloody Sunday, corteo commemorativo a Derry

Nell’anniversario della strage compiuta dall’esercito britannico contro civili irlandesi, a Derry si è svolto un partecipato corteo internazionalista guidato dai familiari delle vittime

Il 30 gennaio 1972 il I° Battaglione Paracadutisti dell’Esercito Inglese aprì il fuoco sulla Marcia dei Diritti Civili a Derry, in Irlanda del Nord. Ventisei manifestanti disarmati furono colpiti dalle pallottole, la maggior parte alle spalle.

Tredici corpi rimasero sulla strada, mentre la quattordicesima vittima morì quattro mesi dopo a causa delle ferite. È il Bloody Sunday, la domenica di sangue ovvero uno dei momenti più cruenti e significativi del conflitto per la liberazione dell’Irlanda dall’occupazione inglese e lo spartiacque che cambiò tutta la strategia della lotta armata dell’IRA (Esercito Repubblicano Irlandese) che da quel giorno vide intere generazioni arruolarsi tra le sue fila.

Da quel giorno la Corona Britannica avrebbe avuto a che fare con un vero esercito popolare capace di promuovere azione di guerriglia mantenendo alto e centrale il lavoro del suo braccio politico e sociale, lo Sinn Fein.

Lo Sinn Fein sarà proprio lo strumento attraverso il quale si raggiungeranno gli accordi di pace del Venerdì Santo nel 1998 e che progressivamente porteranno nel 2005 Gerry Adams, leader indipendetista, a proclamare il cessate il fuoco definitivo.

Molte cose sono cambiate in cinquant’anni, anche a Derry. Ma ancora il Bloody Sunday rimane una ferita enorme sopratutto perchè i responsabili della strage non sono mai stati condannati; i parenti delle vittime, che hanno coordinato gli eventi promossi per questa ricorrenza, parlano attraverso il comunicato di lancio e dicono:

«I poteri forti non vogliono che l’insabbiamento di Bloody Sunday venga portato alla luce, perché la verità su Bloody Sunday definisce storicamente le responsabilità della strage. Lo Stato non ha il diritto di determinare fino a che punto debba spingersi la ricerca della verità. Nessuno ha il diritto di dire: “Finora e non oltre”.L’attuale governo conservatore sotto Boris Johnson vuole tracciare una linea rispetto al passato e la sua proposta di introdurre una prescrizione su tutte le morti legate ai conflitti qui non è altro che un’amnistia sottilmente mascherata per le azioni dei suoi militari».

“There is no British justice” infatti è uno dei due slogan che accompagneranno le tantissime iniziative in programma insieme all’altro slogan “One world, One struggle”, quest’ultimo fedele alla solidarietà internazionalista che è sempre stato uno dei tratti distintivi del movimento repubblicano irlandese. A testimoniarlo non ci sono solo i murales dedicati a Cuba o al Sudafrica, ma le centinaia di bandiere palestinesi che sventolano in tutta Derry sopratutto nel Bogside, il quartiere proletario convintamente indipendentista famoso proprio per i suoi murales.

Cinquant’anni sono anche tempo di bilanci politici e infatti il programma prevede tantissimi momenti di riflessione, tra i primi quello tra Jeremy Corbin (leader Labour) ed Eamonn McCann uno degli organizzatori della Marcia del ’72 oppure come la Derry’s Radical Book Fair.

Decine di iniziative che fanno da corollario al momento più importante e atteso, la Family Walk of Rembrance ovvero la marcia dei famigliari: un grande corteo che in silenzio e senza striscioni o bandiere attraversa il Bogside dal cimitero fino alle strade in cui avvenne la strage.

In testa le famiglie delle quattordici vittime, le autorità cattoliche e istituzionali e a seguire centinaia di attivisti silenziosi.

Le foto delle vittime aprono il corteo portate dalle famiglie, anche da bambine e bambini.

Si percepisce come questa storia sia ancora viva su queste strade.

Un sole insolito riesce a penetrare le nuvole dell’inverno nordirlandese illuminando la marcia e le lapidi costruendo un arcobaleno enorme nel cielo. Parlano i familiari, i rappresentati della comunità cattolica così come il portavoce della comunità musulmana che ricorda come la lotta è una dall’Irlanda alla Palestina, per la libertà dei popoli e per la pace.

Noi, arrivati da Roma poche ore prima, attraversiamo queste strade con lo sguardo di chi ha guardato sempre con vicinanza e interesse alle lotte di liberazione europee intrecciando spesso relazioni, confronti e progetti di supporto.

È la storia di progetti come “Sport sotto l’assedio” che hanno portato centinaia di attivisti tra Irlanda e Palestina utilizzando la pratica sportiva come arma solidale per unire popoli e lotte.

Il Bloody Sunday, Bobby Sands e gli hunger strikers sono parte anche della nostra storia e del nostro immaginario. Appartengono, oggi più che mai, ai popoli europei in lotta.

Tanto è cambiato e tanto sta cambiando nell’Irlanda del Nord e anche velocemente: dopo la Marcia abbiamo avuto la possibilità di incontrare alcuni rappresentanti dello Sinn Fein tra cui Christofer Jackson (consigliere comunale di Derry) che ci spiega come la Brexit pone nuove sfide e prospettive per l’unificazione dell’Irlanda; nessun abitante dell’Irlanda del Nord oggi è contento della Brexit che finora ha prodotto solo un peggioramento delle condizioni economiche dell’intera area insieme a una grossa incertezza sul futuro.

Un arma a doppio taglio questa della Brexit per l’Inghilterra, che mentre manda un segnale all’Europa rischia di non gestirne le conseguenze interne. Questo pone le basi per spingere ancora di più verso il Referendum del 2025 dove il movimento irlandese repubblicano vuole il consenso popolare alla riunificazione.

Tutte le immagini di Luca Blasi