OPINIONI

Il bando della vergogna per portare le Ong nei campi libici

Aid-11273 è il nome del bando emesso dal governo italiano per le Ong che vogliono partecipare alla gestione di tre campi libici. Un’operazione di facciata, con cui coprire un affare sporco che parla di nuove forme di schiavismo, violenze, detenzioni arbitrarie e ricatti nei confronti dei migranti intrappolati al di là del Mediterraneo.

Sul sito dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo sviluppo è stato pubblicato un bando di primissima emergenza per la Libia rivolto alle Ong. Si tratta di bandi speciali pensati inizialmente per catastrofi naturali e per progetti di pochi mesi. Anche in questo caso, ma in un modo un po’ diverso, si parla di una catastrofe. Nello specifico, il titolo del bando è Iniziativa di primissima emergenza a favore della popolazione dei centri migranti e rifugiati di Tarek al Sika, Tarek al Matar e Tajoura in Libia. Sono stati stanziati 2 milioni di euro subito ed è previsto a breve un altro bando per, sembra, altri 4 milioni di euro. I fondi di cooperazione destinati a gestire i dispositivi di controllo dei migranti in Libia sono presi dal bilancio dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo sviluppo e si aggiungono a quelli del misterioso fondo Africa del Ministero degli Esteri e del Trust Fund europeo per l’Africa. Gli ultimi due fondi citati sono stati creati ad hoc per gestire la cooperazione in ambito securitario e di controllo frontiere con i paesi dell’Africa sub-sahariana. Il fondo europeo è al momento oggetto di diverse critiche e ne è stato chiesto a più riprese uno stretto controllo da parte del Parlamento UE.

La tendenza è quella di sottrarre fondi allo sviluppo e di assegnarli alla sicurezza o a emergenze strettamente legate alla sicurezza, come quella di cui si occupa il bando. 

Bando che ha tratti interessanti, come quando sottolinea che: “Una parte della popolazione migrante mista in Libia risiede nei centri migranti e rifugiati sparsi su tutto il territorio libico. Le stime più accurate parlano di 34-35 centri migranti e rifugiati nel paese di cui tra sei e otto inattivi. I 29 centri attivi sono formalmente sotto il controllo della Direzione per il Combattimento dell’Immigrazione Illegale (DCIM) che è suddivisa in organizzazioni parallele a est e ovest del paese. In pratica, la DCIM di Tripoli sembra avere solo un controllo nominale su molti dei centri. Alcuni sono gestiti da milizie locali e la capacità di effettiva sorveglianza della DCIM in molti casi è limitata”.

L’analisi del lessico usato aiuta a capire quanto sia acrobatico l’esercizio a cui sono state invitate le Ong. Intanto i migranti non risiedono nei campi, ma sono detenuti all’interno di un sistema che notoriamente li ricatta, estorcendo loro denaro per farli uscire dai campi. Il bando, poi, è paradossale quando parla di 34 o 35 (cosa vuol dire? Ci sono dei campi fantasma nel paese dove si chiede di andare a lavorare? ) di cui solo 29 sono sotto il controllo dell’Autorità di Tripoli. Un’autorità che notoriamente non esercita alcun potere sovrano nel paese. Il bando, in ogni caso, chiarisce che le autorità hanno un controllo nominale solo di questi campi, che invece è risaputo essere gestiti da milizie locali. È vero che recentemente le milizie di Tripoli sono state inglobate nel governo locale, ma in ogni caso ci troviamo di fronte a uno scenario pieno di contraddizioni e in cui mancano le garanzie basilari che la gestione sia minimamente rispettosa dei diritti umani.

A scanso di equivoci il bando chiarisce, comunque, che non sarà richiesta la presenza di personale italiano in Libia. Quindi ricapitolando: ci sono molti campi di cui alcuni fantasma. Non sono controllati, non è permesso che ci sia personale italiano perché non c’è sicurezza, ma eccovi 2 milioni per andare a lavorare in 3 di questi centri di detenzione. Potrebbero essere anche dei centri selezionati per dare un’immagine positiva e di risposta all’emergenza. Uno specchietto per le allodole per rispondere ai mal di pancia dell’opinione pubblica internazionale sugli accordi con la Libia. E per dare una mano di vernice decente a un’operazione sporca. È noto che moltissimi migranti sono rinchiusi in una miriade di centri, molto più ampia dei 34 o 35 dichiarati nel bando. E sono tutti prigionieri in attesa di riscatto.

L’intervento pensato in questo modo è solo di facciata. Non risponde all’emergenza che rimane squisitamente politica. Ci sono migliaia di persone intrappolate nel paese. La comunità internazionale mercanteggia con i loro aguzzini.

Il primo passo è stato pagare le milizie perché fermassero il traffico. Ora li si aiuta a gestire le prigioni lager. Domani si chiuderanno due o tre occhi sul mercato di schiavi che realizzeranno comunque sulla pelle dei migranti. Li rivenderanno alle famiglie, o partiranno per altre rotte. In ogni caso, sono soldi non persone. Non più persone.

Del resto è il bando stesso a farci capire che i centri in cui si chiede di intervenire, che comunque rimangono i migliori disponibili, hanno bisogno di tutto. Sono luoghi in cui si dovrebbero costruire servizi igienici, distribuire cibo, portare medicine. Ovvero,nei centri che sarebbero sotto l’autorità del Governo di Tripoli mancano tutti i servizi essenziali. Quindi, siccome questa autorità non garantisce nulla, le Ong devono andare a fare le pulizie delle politiche dei governi UE.

In questo contesto, le Ong italiane avrebbero dovuto costruire, come già avvenne in passato, una coalizione contro tale scempio. Invece, troppi sono i distinguo e i falsi imperativi umanitari. 

Queste sono le occasioni in cui delle scelte etiche sono obbligatorie e non sono ammesse ambiguità. Altrimenti si è complici.

L’autore ha scritto questo articolo sotto pseudonimo. Ha una lunga lunga esperienza professionale nel mondo della cooperazione internazionale.