ITALIA

«L’Italia è collusa con la Libia per impedire il salvataggio di vite umane»

Intervista a Virginia Mielgo Gonzalez, Coordinatrice di Progetto di MSF a bordo della nave Geo Barents, in fermo amministrativo a Marina di Carrara dopo una complessa operazione di salvataggio nel Mediterraneo Centrale.
Ancora una volta la Guardia costiera libica finanziata dall’Unione Europea interviene per impedire il salvataggio in mare.

Ci puoi raccontare, in sintesi, cosa è accaduto durante l’ultima vostra operazione di salvataggio?

In primo luogo, venerdì 15 marzo, il nostro team ha assistito a un respingimento compiuto da parte della Guardia Costiera libica finanziata dall’Unione Europea. Il fatto è avvenuto in acque internazionali, chiaramente al di fuori dell’area di responsabilità della Guardia Costiera libica, all’interno dell’area SAR maltese.

Il respingimento è avvenuto nonostante la disponibilità di MSF di offrire assistenza e portare le persone in un porto sicuro: tutto ci fa credere che le autorità maltesi e Frontex si siano coordinate con una motovedetta della Guardia Costiera libica – donata dall’Italia – per intercettare e riportare forzatamente più di 100 persone in Libia.

Poi, il giorno successivo, un’altra nave pattuglia della Guardia Costiera libica, anch’essa donata dal governo italiano, ha ostacolato aggressivamente per oltre due ore un’operazione di salvataggio in corso condotta dal team di MSF, mettendo a rischio la vita di oltre 50 persone in difficoltà su una barca di legno, in acque internazionali. Nel frattempo, un’altra barca in vetroresina in difficoltà, con 75 persone a bordo, era alla deriva a circa 50 miglia nautiche di distanza, imbarcando acqua. Nonostante le autorità libiche siano state allertate della situazione intorno a mezzogiorno e abbiano ripetutamente affermato che una nave pattuglia era in arrivo, sono trascorse 10 ore senza che la Guardia costiera libica lanciasse alcuna operazione di salvataggio. Quando siamo arrivati ​​sul posto la situazione era critica. La barca stava già imbarcando molta acqua e stava per affondare. La gente era terrorizzata. Poi la barca si è capovolta e circa 45 persone sono cadute in acqua. Per fortuna avevamo già distribuito i giubbotti di salvataggio a tutti e avevamo evacuato i bambini, alcuni di età inferiore ai tre anni. Era solo questione di minuti e la situazione avrebbe preso una piega tragica.

Qual è stato l’atteggiamento della cosiddetta guardia costiera libica nel momento in cui è intervenuta durante il vostro rescue?

Diamo anzitutto il contesto: dal 2017, l’Unione Europea (UE) e l’Italia hanno speso almeno 59 milioni di euro per rifornire e addestrare la Guardia costiera libica per fermare gli arrivi in ​Europa. Invece di investire in capacità proattive di ricerca e salvataggio o di coordinarsi con le navi di salvataggio delle ONG per portare le persone in un luogo sicuro, l’UE ha deliberatamente scelto di facilitare il ritorno forzato delle persone in Libia, dove subiscono violenza fisica e sessuale, lavoro forzato e estorsione.

Lo sfruttamento e la violenza su vasta scala vissuti dalle persone migranti in Libia sono stati ampiamente documentati e secondo le Nazioni Unite potrebbero costituire un «crimine contro l’umanità». In una recente sentenza, la Corte di Cassazione italiana ha confermato che la Libia non è un Paese sicuro e che riportare lì le persone costituisce un reato.

In questo caso concreto, la Guardia costiera libica si è comportata in modo aggressivo, ostacolando un’operazione di salvataggio in corso in acque internazionali, mettendo in pericolo la vita di oltre 50 persone, tra cui molte donne e bambini. Le squadre di soccorso di MSF avevano già trasferito circa 100 persone sulla Geo Barents (la nave madre di MSF) quando la Guardia costiera libica ha tentato di fermare i soccorsi e ha tentato di salire a bordo con la forza su una delle nostre imbarcazioni di salvataggio, minacciando direttamente le persone sopravvissute e il personale di MSF di arresto e trasferimento forzato in Libia.

Immagine di Stefan Pejovic/MSF

Avete dovuto compiere un lungo viaggio dai luoghi del salvataggio fino al POS [Place of Safety] assegnato. Quanti giorni è durato? Qual è stata la reazione degli ospiti del soccorso durante questo ulteriore viaggio?

Ci sono voluti tre giorni e mezzo per raggiungere Marina di Carrara dal luogo dei soccorsi. O per essere più precisi, circa 1100 chilometri – che è la distanza tra Genova e Messina. A bordo della Geo Barents, le persone sopravvissute si stavano lentamente riprendendo da un grave shock e da ipotermia, nello specifico quelle cadute in acqua durante l’ultimo salvataggio in cui la barca si è capovolta. È stata un’esperienza terrificante e alcune di loro ci hanno detto che pensavano che sarebbe stato l’ultimo giorno della loro vita. Molti mostravano pure le conseguenze fisiche e psicologiche delle varie forme di violenza e maltrattamenti subiti in Libia e durante il viaggio. Dopo i tre salvataggi effettuati sabato 16 marzo, a bordo c’erano 249 persone. Il 45% di tutti i sopravvissuti erano donne e bambini, compresi 10 bambini sotto i tre anni.

Trattenere deliberatamente le navi delle ONG lontane dall’area di ricerca e soccorso – attraverso la pratica dei porti distanti implementata dalle autorità italiane dall’inizio del 2023 – causa ritardi ingiustificati per le persone soccorse che hanno bisogno di accedere a servizi di protezione e assistenza medica vitale a terra.

Ora la Geo Barents è in stato di fermo a Marina di Carrara. Con quali accuse da parte delle autorità che lo hanno decretato?

Nei confronti della Geo Barents è stato emesso un ordine di detenzione della durata di 20 giorni da parte delle autorità italiane con l’accusa di non aver rispettato le istruzioni impartite dalla Guardia costiera libica e di aver messo in pericolo la vita dei sopravvissuti durante un’operazione di salvataggio nel Mar Mediterraneo centrale il 16 marzo – accuse che MSF respinge fermamente. Abbiamo presentato ricorso al tribunale civile di Massa contro questa detenzione ingiusta e in definitiva pure pericolosa, in quanto a un’altra nave di salvataggio di una ONG viene impedito di salvare vite umane in mare. Denunciamo le sanzioni nei confronti della nostra nave e la collusione sistematica dell’Italia con la Guardia costiera libica al fine di impedire a tutti i costi alle persone di cercare sicurezza e protezione in Europa.

Immagine di Stefan Pejovic/MSF

Appena un mese fa la Corte di Cassazione ha stabilito che consegnare migranti ai guardacoste libici é un reato. Perché allora il governo continua ad ostacolare in questo modo il vostro operato e vi chiede di fare il contrario?

La Corte di Cassazione, infatti, ha confermato in una recente sentenza che è un reato rimpatriare persone in Libia e che la Libia non può essere considerata un luogo sicuro [PoS Place of Safety]. Tuttavia, le autorità italiane richiedono costantemente alle navi delle ONG di coordinare i salvataggi con la Guardia costiera libica, ben conoscendo il rischio di respingimenti.

Questa detenzione è l’ultimo esempio dell’ipocrisia dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri, che stanno facendo tutto ciò che è in loro potere per punire coloro che sono coinvolti nelle attività di ricerca e salvataggio, mentre sono essi stessi complici dei violenti respingimenti di migliaia di persone verso la Libia ogni anno.

Con il fermo della Geo Barents arriviamo alla ventesima volta in cui una nave di ricerca e salvataggio umanitario viene fermata dall’entrata in vigore del decreto legge 1/2023, noto anche come decreto Piantedosi, all’inizio del 2023, che intenzionalmente prende di mira e ostacola le operazioni di ricerca e salvataggio in mare, attività delle organizzazioni non governative (ONG).

MSF chiede alle autorità italiane di smettere immediatamente di ostacolare le attività di l’assistenza e il salvataggio in mare delle ONG e invita l’UE e i suoi Stati membri a interrompere ogni sostegno materiale e finanziario nei confronti della Guardia costiera libica e di autorità riconosciute per le loro violazioni di diritti umani.

Foto di copertina di Stefan Pejovic /Medici Senza Frontiere