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Ayotzinapa, la verità si avvicina

In Messico si intrecciano i risultati del lavoro della Commissione d’Inchiesta e le azioni della magistratura: la verità sul caso che rivelò la drammatica situazione vissuta nel paese sta venendo a galla

A otto anni dai fatti di Ayotzinapa, sembra che finalmente sul caso si stia arrivando ad una prima verità. In sequenza stretta in questi giorni da un lato la Procura ha emesso 83 ordini di cattura, dall’altro lato la Commissione Governativa per la Verità e l’accesso alla Giustizia è giunta alle sue conclusioni.

Alejandro Encinas, sottosegretario per i Diritti Umani del governo, ha ammesso in una conferenza stampa che fu un crimine di stato, anticipando i contenuti dell’ultimo report. 

Il rapporto redatto dalla Commissione non lascia spazio ad ambiguità. Lo stato messicano nelle sue più alte sfere è responsabile dell’accaduto e dell’impedimento di un percorso giuridico che potesse dare giustizia alle vittime e ai loro familiari.

Quasi in contemporanea sono partiti per ordine della Procura 83 ordini di cattura in tutto il paese che includono politici, militari e criminali comuni. Il fatto più eclatante è l’arresto di Murillo Karam, Procuratore Generale della Repubblica al tempo del massacro, per aver impedito che l’indagine proseguisse e indicasse la catena di comando colpevole.

Va ricordato che il Procuratore Generale della Repubblica in Messico ha un ruolo molto importante, – è una carica politica, scelta dal potere esecutivo – con poteri ben più ampi di quelli di un procuratore di un tribunale italiano. La notizia del suo arresto sta facendo il giro del mondo.

Il crimine di Ayotzinapa si consumò nella notte tra il 26 e il 27 settembre 2014. Il bus che era stato preso dagli studenti per una manifestazione ad Iguala, in Guerrero, venne attaccato da polizia e da uomini non identificati appena fuori dal paese.

In sei vennero uccisi sul posto, 43 portati via e i loro corpi non sono stati più trovati.  Il tutto accadde a poche decine di metri dal quartier generale dell’esercito di stanza ad Iguala, a segnalare anche geograficamente la collusione tra il crimine e l’esercito messicano.

Nei giorni successivi vennero arrestati il sindaco di Iguala e sua moglie, quest’ultima che era a capo di un importante clan di  narcotrafficanti locali, ma i familiari delle vittime hanno sempre rifiutato una versione dei fatti che si limitasse alle responsabilità della criminalità organizzata.

Ayotzinapa era una scuola rurale dello stato del Guerrero, ossia una scuola dove si insegna all’interno di un contesto contadino e con forte attenzione alle tematiche agricole, sociali e politiche. Spesso le scuole rurali diventavano lo spazio per attivismo molto radicale, critico e conflittuale nei confronti di un sistema costruito per escludere e marginalizzare chi vive in comunità rurali, ancor più se indigeni.

Ayotzinapa è stato l’atto estremo di una strategia precisa voluta dal governo Calderon prima, e Pena Nieto successivamente. Tra il 2007 e il 2018 infatti sotto la copertura della guerra al narcotraffico il Messico è stato sconvolto da una ondata di violenza senza precedenti.

Il paese è stato militarizzato con un dispiegamento capillare di unità dell’esercito spesso colluse con gruppi criminosi.

Molti movimenti sociali sono stati oggetto di azione repressiva e  i numeri che parlano di desaparecidos, esecuzioni extragiudiziarie, assassini di giornalisti e di attivisti politici sono impressionanti. Si parla di più di 90 mila persone scomparse in quei dieci anni.

La strage di Ayotzinapa – che recentemente è diventata perfino una serie tv su Netflix –  fu qualcosa di così eclatante che riuscì a coprire il muro di silenzio sopra le politiche criminose di un narcostato. I media internazionali accesero le luci, la società civile messicana costruì una mobilitazione molto forte e fu l’inizio di quel ya basta che portò poi alla elezione di Andres Manuel Lopez Obrador, diventato presidente nel 2018 con una maggioranza schiacciante in un paese che semplicemente non ce la faceva più a subire tanta violenza.

Proprio AMLO aveva tra i suoi impegni di campagna elettorale l’istituzione una Commissione di inchiesta sull’accaduto. Non è la prima volta che si istituiscono commissioni di questo tipo in Messico.

Nel 2004 venne creata perfino una Procura speciale, la Femospp per chiarire i fatti della guerra sucia il periodo storico in cui la repressione contro i movimenti sociali si adoperò senza tregua e con i mezzi più violenti.

La guerra sucia durò dal 1968 – famoso per la strage di Tlatelolco a pochi giorni dall’inizio delle Olimpiadi – e la fine degli anni ‘70. Tuttavia la Femospp non riuscì a portare a pieno compimento la propria missione, erano passati troppi anni, i governi Fox e Calderòn intralciarono il suo lavoro e tutto rimase impunito.

Ora, invece anche grazie al fondamentale supporto della GIEI, un gruppo di esperti internazionali  istituito dalla Commissione Interamericana per i Diritti Umani, che ha collaborato con la Commissione governativa, una verità storica sembra essere raggiunta e un primo passo per la giustizia si è compiuto.

Vidulfo Rosales, avvocato dello stato di Guerrero, instancabile difensore dei familiari fin dal 2014 ha dichiarato che c’è ancora molto da fare prima di pensare che questo caso sia stato risolto, e ha chiesto che il lavoro della Procura non si fermi.

Ha inoltre sottolineato che il report ancora una volta non collega i fatti all’azione dell’esercito, ma solo ad altre entità governative. Proprio l’esercito è spesso considerato da analisti l’attore che si può muovere con la maggiore impunità nel paese.

Rimane l’amarezza che tutto questo accada con al potere un governo che ha sicuramente l’interesse di mettere sotto accusa i vertici dell’esecutivo precedente al suo (tra cui, appunto, Murillo Karam) ma che in troppi aspetti ricalca nelle sue politiche quelle di chi lo ha preceduto.

L’estrattivismo non si è fermato, così come i megaprogetti logistici come il Tren Maya o un nuovo canale nell’Istmo di Tehuantepec. Questi progetti si traducono in violenza contro le popolazioni indigene, sottrazione di risorse, espulsione delle comunità dalle proprie terre e paramilitarismo: proprio alcuni dei temi contro cui hanno sempre lottato gli studenti di Ayotzinapa.

Immagine di copertina da Creative Commons