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Arriva a Tijuana la Carovana Migrante che tanto spaventava Trump

È arrivata a Tijuana la Carovana Migrante, un gruppo di centroamericani, quasi tutti onduregni, partito dalla città messicana di Tapachula (Chiapas) il 25 marzo scorso, con l’obiettivo di attraversare il Messico e chiedere asilo negli Stati Uniti.

Dalla partenza della carovana, il presidente statunitense Donald Trump ha subito espresso il suo disappunto, affidando ai numerosi Twitter la sua opinione in proposito. L’effetto che ha ottenuto, però, è stato quello di dare ancora maggiore risonanza mediatica della Carovana che nel suo cammino, oltre a difficoltà e tensioni, ha incontrato anche la solidarietà dei luoghi che ha attraversato.

Nel contenzioso tra le autorità migratorie di Stati Uniti e Messico, queste ultime sono state accusate da Trump di avere frontiere troppo deboli e di aver concesso permessi temporanei di transito, con i quali i migranti hanno 20 giorni per uscire dal paese o 30 per avanzare una richiesta formale di asilo o migrazione legale in Messico.

La “pericolosissima” carovana arrivata a bussare alle porte degli States quindi, inizialmente composta da circa 1500 persone, di cui un quarto bambini, è ridotta a poche centinaia di persone, per la maggior parte donne, fuggite dalla violenza e dalla povertà dei loro Paesi di origine.

Nonostante la legge statunitense preveda che per chiedere asilo basti presentarsi alle autorità al confine, le restrizioni dell’amministrazione Trump hanno sottratto a molti la speranza di poter provare a costruirsi una vita negli USA e il Customs and Border Protection statunitense ha fatto presente che non accoglierà le centinaia di richiedenti asilo arrivati al confine, che dovranno quindi aspettare che si liberino posti nei centri di detenzione.

Trump ha infatti chiesto agli stati di frontiera di inviare le rispettive guardie nazionali a difendere militarmente il territorio degli Stati Uniti, viste le difficoltà a ottenere i finanziamenti dal Congresso per la costruzione del muro che dovrebbe rendere ancora più impenetrabili gli Usa.

 

Viaggiare in carovana è una pratica abbastanza comune e permette alle famiglie di costruire una protezione collettiva nel pericoloso viaggio attraverso il Messico da sud a nord; ma stavolta, la carovana si è convertita in un simbolo di rivalsa e provocazione contro le politiche di chiusura di Donald Trump.

La situazione assomiglia a ciò che accadde due anni fa con un numeroso gruppo di Haitiani, i quali nel 2016 stanziarono a Tijuana per chiedere asilo e arrivarono in pochi mesi alle 8000 unità.

Tijuana è la frontiera terrestre più transitata nel mondo e i suoi abitanti lo sanno bene. Nel giro di poche ore, si sono mobilitate numerose associazioni in solidarietà alla carovana per garantire cibo, tende, coperte, sostegno legale e medico alle centinaia di persone accampate alle porte della città, ma anche momenti di socialità e intrattenimento per i bambini. Anche da San Diego, la città californiana con cui confina Tijuana, si sono mobilitati volontari, attivisti e donazioni dei cittadini a sostegno della Carovana.

Le decine di famiglie, cui ora non resta che aspettare, evidenziano la crisi della gestione del flusso migratorio alla frontiera Messico – Stati Uniti, aggravata sempre più dai colpi di testa del presidente statunitense. Tra la proposta di rinforzare il Muro, o quella di cancellare il DACA (Deferred Action for Childhood Arrivals, il piano dell’amministrazione Obama che assegna uno status di immigrazione temporanea a determinate categorie di persone entrate illegalmente negli Stati Uniti, come i minori), i propositi di Trump si scontrano con il desiderio di migliaia di persone che ancora affrontano viaggi pericolosissimi per raggiungere gli Stati Uniti e a ben poco un muro varrà per fermarli.