ROMA

Anagrafe e diseguaglianze sociali. Una fotografia di Roma in emergenza

Le procedure applicate negli uffici anagrafici sono tutt’altro che neutre. L’anagrafe è la porta di accesso per l’esercizio di un rilevante insieme di diritti. L’iscrizione al sistema sanitario nazionale e l’accessibilità del welfare, ad esempio, sono nei fatti vincolati all’iscrizione nei registri anagrafici. Esce il report realizzato da associazioni attive sul territorio romano

In molti uffici dell’anagrafe di Roma sono attuate prassi anche marcatamente difformi dalla normativa, che impediscono l’effettivo esercizio dei diritti. È il quadro che emerge dalla lettura del report L’anagrafe respingente. Una fotografia di Roma in emergenza, curato da quindici organizzazioni non governative attive a Roma.

 

Una faccenda privata?

In prima battuta, il report si interroga sulla dimensione pubblica della gestione dell’anagrafe. Il conseguimento dell’iscrizione anagrafica è spesso percepito come una faccenda privata tra colui che si presenta negli uffici anagrafici per conseguire l’iscrizione e la pubblica amministrazione. Viceversa, da ogni prospettiva il funzionamento dell’anagrafe è un tema di pubblico interesse. La mancata iscrizione anagrafica, infatti, determina una frattura tra la popolazione di fatto e quella di diritto.

 

A prescindere da quale sia la propria condizione soggettiva, è indispensabile interrogarsi sul funzionamento dell’anagrafe e sulle traiettorie attraverso le quali si configura l’esclusione.

 

Alla luce delle prassi applicate in molti uffici, il registro anagrafico del comune di Roma non fotografa l’insieme degli abitanti della città ma soltanto chi, superando il serrato filtraggio informale attuato in molti Municipi, riesce a conseguire l’iscrizione.

L’anagrafe, dunque, è un potente dispositivo di differenziazione e, nell’ambito della sua gestione, sono applicate prassi illegittime. Più nel dettaglio, secondo quali linee si sviluppa questa differenziazione? Quali sono le specifiche illegittimità?

 

Confine interno

Il report L’anagrafe respingente. Una fotografia di Roma in emergenza mette a fuoco alcuni specifici temi: ad esempio, la richiesta della documentazione che certifichi il titolo di godimento dell’immobile dove si risiede (come ad esempio il contratto di locazione), gli effetti diretti e indiretti dell’art. 5 del cd. Decreto Lupi del 2014 (esclusione dalla residenza per gli occupanti), le procedure attuate per l’iscrizione anagrafica per le persone senza fissa dimora, la condizione dei cittadini extraeuropei, la verbalizzazione della mancata registrazione dell’iscrizione anagrafica, le prassi di cancellazione dell’iscrizione anagrafica, l’iscrizione anagrafica delle persone ospitate nei centri di accoglienza.

Per ognuno di questi ambiti si riscontrano prassi non conformi alla legge. Ad esempio, in molti degli uffici anagrafici non sono registrate le dichiarazioni di residenza non accompagnate, in allegato, dalla copia del contratto di locazione (o di altra documentazione tra le poche considerate idonee). È una prassi illegittima: da nessuna prospettiva – neanche dopo l’entrata in vigore del cd. decreto Lupi del 2014 – la normativa stabilisce che non sia registrabile la dichiarazione di residenza alla quale non è allegato il titolo di godimento dell’immobile.

 

Un numero considerevole di potenziali residenti è, alla luce di queste prassi, nei fatti escluso dall’anagrafe. Con queste prassi gli uffici d’anagrafe sembrano perseguire obiettivi non di loro competenza: la verifica della regolarità fiscale, la salvaguardia della proprietà privata, il controllo dell’ordine pubblico, ecc.

 

Anche nell’ambito di applicazione dell’articolo 5 del cd. Decreto Lupi del 2014, in molti uffici sono applicate prassi illegittime. Com’è noto, l’art. 5 ha stabilito che «chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli effetti di legge».

 

(foto di altotemi da Flickr)

 

Dal punto di vista giuridico, non tutte le occupazioni sono considerabili «abusive» e «senza titolo»: il carattere cosiddetto «abusivo» dell’occupazione dipende dalle specifiche circostanze in cui si verifica. Viceversa, molti uffici utilizzano l’art. 5 in maniera generalizzata e non consentono l’iscrizione anagrafica a chiunque non possa presentare un titolo di godimento dell’immobile.

Si tratta di una prassi che esaspera la portata escludente e diseguale della normativa introdotta nel 2014, peggiora le condizioni di chi vive nelle occupazioni e contribuisce al confinamento materiale e simbolico delle e degli occupanti. L’illegittima applicazione generalizzata dell’art. 5 del cd. Decreto Lupi, per altro, è un ulteriore indicatore di quanto la cancellazione della norma sia un’urgenza non rinviabile.

 

Anagrafe e classe sociale

Quali caratteristiche in comune hanno le persone escluse dall’anagrafe? Nella maggior parte dei casi, l’esclusione dall’anagrafe riguarda chi, a vario titolo, è considerato indesiderabile. Le precarie condizioni economiche e sociali, lo status da indecorosi, il presunto pericolo per l’ordine pubblico e l’origine straniera aumentano le probabilità di essere esclusi dall’anagrafe.

Da questa prospettiva, i registri anagrafici non si limitano a prendere atto delle diseguaglianze sociali ma le esasperano. Si è esclusi dall’anagrafe in quanto l’abitazione in cui si vive non è ritenuta idonea per il conseguimento dell’iscrizione. La mancata iscrizione anagrafica, a sua volta, impedisce nella maggior parte dei casi l’accesso allo (scarno) welfare: questa circostanza contribuisce a peggiorare la condizione di partenza. È un circolo vizioso che è necessario interrompere.

Il report L’anagrafe respingente. Una fotografia di Roma in emergenza, in ultimo, indica, in dieci punti, in quale direzione è necessario che l’amministrazione comunale di Roma intervenga per «tutelare le persone e promuovere i diritti». Ad esempio, è indispensabile, di pari passo con le mobilitazioni per la sua cancellazione, «restringere l’ambito di applicazione dell’art. 5 del decreto legge 47/2014 e favorire la deroga».

 

L’iscrizione anagrafica in deroga al divieto è possibile in ragione del comma 1 quater dell’art. 5, secondo il quale «Il sindaco, in presenza di persone minorenni o meritevoli di tutela, può dare disposizioni in deroga a quanto previsto ai commi 1 e 1-bis a tutela delle condizioni igienico-sanitarie». Questa prospettiva non è utopica: ad esempio il sindaco di Palermo ha autorizzato l’iscrizione anagrafica in ragione di questa previsione.

 

In relazione ai possibili destinatari della deroga, accanto ai nuclei familiari con minori, la legge fa riferimento alle persone meritevoli di tutela. Dal punto di vista della meritevolezza, è indispensabile non limitarsi ai nuclei familiari con minori: nel report è indicato che «l’applicazione diffusa di questa deroga è un’occasione per affermare che chi vive nel comune di Roma ed è escluso dalla registrazione anagrafica in ragione della propria condizione socioeconomica è, di per sé, meritevole di tutela».

La configurazione di discontinuità nell’ambito della gestione dell’anagrafe può contribuire a invertire la tendenza consolidata. Le intense mobilitazioni sviluppate, a partire dal 2014, contro gli effetti del cd. decreto Lupi sono la puntuale rappresentazione di quanto le politiche della residenza siano un tema di primaria importanza. In questa specifica congiuntura politica e sociale, l’effettivo cambio di paradigma nella gestione dell’anagrafe – e, più in generale, l’espansione della sfera dei diritti – sono urgenze non più rinviabili.

 

Immagine di copertina di Antonello Sotgia