ITALIA

Ammalarsi di Covid-19, ammalarsi di lavoro. La salute minacciata dalle leggi dell’economia

Dal personale sanitario a rischio senza protezioni adeguate agli operai delle grandi fabbriche: il dramma della salute vissuto quotidianamente da lavoratori e lavoratrici.

«Avevamo proclamato lo sciopero di un’ora, ma di fatto ci è stato scippato; non ci è stato permesso di farlo perché è intervenuta la commissione di garanzia, in quanto il nostro è considerato un servizio essenziale. Così ci siamo astenuti dal lavoro, simbolicamente, soltanto per un minuto», racconta Giovanni Bellomo, delegato sindacale Usb di Ama, l’azienda municipalizzata che gestisce la raccolta dei rifiuti nella Capitale che nei giorni scorsi aveva comunicato, attraverso il suo amministratore Stefano Zaghis: «Siamo fortemente impegnati per assicurare la massima sicurezza ai nostri dipendenti che ogni giorno garantiscono un servizio essenziale, di pubblica utilità». E tuttavia la paura che serpeggia in queste ore tra i lavoratori è tanta, come hanno denunciato più volte i sindacati. Perché finora sono già almeno quattro i casi accertati di operai che si sono ammalati: un capo cantiere impiegato nello stabilimento di Rocca Cencia è ricoverato, intubato, all’ospedale Spallanzani, e un altro lavoratore della stessa struttura di Ama si trova tuttora al Policlinico Gemelli, risultato positivo al coronavirus e con una diagnosi da polmonite batterica. Non solo. Gli allarmi e le informazioni sui possibili contagi corrono frenetiche nelle chat dei dipendenti, dalle quali risultano diversi casi di lavoratori della sede di via Palmiro Togliatti messi in isolamento dopo i contagi di alcuni famigliari.

Si diceva: la paura tra gli operai della municipalizzata romana è tanta anche dopo il caso della morte avvenuta il 18 marzo di Luigi Ferrara, positivo al Covid-19 e dipendente di Asia, l’azienda di igiene urbana del comune di Napoli. «Se non c’è garanzia della sicurezza non ci può essere garanzia del servizio», dice ancora Giovanni Bellomo: «Purtroppo il nostro è considerato, sì, un servizio essenziale, ma di seconda fascia, nel senso che non ci dicono che siamo eroi, ma dobbiamo comunque lavorare». E poi denuncia: «Non si stanno applicando, anzi sono state nascoste, da un ente bilaterale che gestisce la sicurezza nel nostro settore, le stesse indicazioni che ha dato l’Istituto Superiore della Sanità, il quale ha disposto che nelle abitazioni dove abitano i contagiati i rifiuti devono subire procedure specifiche e differenziate». In pratica dovrebbero essere trattati e raccolti alla stregua di rifiuti ospedalieri. «Dunque, potenzialmente, ci troviamo a raccogliere rifiuti infetti. E questo è soltanto il sintomo di una mala gestione che riguarda diverse municipalizzate del settore, di un sistema economico che in questi giorni ci costringe a combattere per la sanificazione dei mezzi, per la fornitura dei guanti monouso, per le mascherine», conclude Bellomo. La gestione considerata allo sbando e in spregio della salute e della sicurezza dei lavoratori da parte di una altra municipalizzata romana, Atac, che gestisce un altro servizio essenziale, dei trasporti pubblici, l’ha riferita Leone Lazzara, autista dei bus urbani della Capitale e sindacalista della stessa Usb. «Sono le ore 18.50 e in questo momento sto lavorando, ma ho osservato anche io, simbolicamente, il minuto di sciopero proclamato per chi è impegnato nei servizi pubblici essenziali», dice Lazzara mostrando in volto una mascherina verde: «L’ho pagata di tasca mia 2 euro e cinquanta in un supermercato. Era l’ultima che avevano. È la prima volta che la indosso». Dopo questo preambolo, Lazzara racconta: «la situazione in Atac è identica a quella delle altre municipalizzate. Siamo autisti, tranvieri che guidano mezzi che non sono stati sanificati correttamente. Quello su cui viaggio in questo momento, per esempio, oggi è stato lavato con la candeggina. Capite bene, inoltre, che su questi mezzi non possono essere rispettate le distanze di sicurezza. Qui sopra ci possono salire un numero imprecisato di persone». Continua Lazzara: «Sono mezzi pubblici che noi lavoratori consideriamo vere e proprie bombe ecologiche, dove capite bene che è estremamente facile il contagio. A questo pericolo si aggiungono, poi, le decisioni insensate assunte da parte della dirigenza, come il voler continuare a garantire le linee che servono soltanto a fare chilometri, come quelle che vanno ai cimiteri, che però in questo momento sono chiusi al pubblico, rimanendo aperti solo per accogliervi le bare all’interno». Nel frattempo, conclude Lazzara: «le mascherine non sono ancora arrivate, ma la cassa integrazione, invece, quella anche per noi è già arrivata». È la paura di ammalarsi, dunque, e di contagiare gli altri, non di meno, che serpeggia anche tra i lavoratori dei servizi di trasporto, in tutta Italia, soprattutto dopo la morte di un dipendente dell’Anm, l’azienda del trasporto pubblico di Napoli. A Roma, dove all’interno della stessa Atac un autista in servizio nella rimessa di Grottarossa, positivo all’infezione, si è messo in quarantena e la moglie, contagiata, è ricoverata a Rieti, intubata.

È la paura sia di infettarsi che di contagiare gli altri lavoratori. È quella che probabilmente ha spinto l’infermiera dell’ospedale San Gerardo di Monza, Daniela Trezzi, di 34 anni, a togliersi la vita qualche giorno fa. A lei è stato dedicato. dal sindacato Usb che l’ha proclamato, lo sciopero generale del 25 marzo. Sono le storie dei lavoratori servizi pubblici essenziali e ci sono anche le vicende dei lavoratori esclusi dal DPCM dello scorso 22 marzo, che continuano a rischiare di ammalarsi, a causa del Covid-19 o del sistema economico. Chissà. Sono storie, queste, tutte, di estrema precarietà lavorativa, le quali sono state raccontate sulla rete durante il Forum promosso da Usb. Federica Bravi, Federico Fornasari e Giovanni Pagano, i sindacalisti che lo hanno animato, hanno riferito che «attualmente sono soltanto sette milioni i lavoratori interessati dal blocco delle attività non essenziali previsto dal DPCM, mentre in Italia gli occupati in totale sono poco più di 23 milioni».

Tra di loro ci sono gli operai dell’Ilva di Taranto, ai quali anche ieri è stato impedito di scioperare. Infatti, Arcelor Mittal, attraverso il sistema delle “comandate allargate” ha richiesto un uso ulteriore di manodopera per garantire la produzione del siderurgico precettando così la maggior parte dei lavoratori. Sono quelli che la loro salute la rischiano più di tutti. Ammassati a respirare fumi e polveri criminali, ogni giorno. Anche il loro destino è appeso in queste ore, come prevede il decreto Conte, alla volontà del prefetto locale. Mentre si scrive, il prefetto di Taranto, Demetrio Martino, ha emesso il suo verdetto. Nelle sei pagine del provvedimento firmato nella tarda serata di ieri lo stesso funzionario tarantino ha autorizzato «la prosecuzione dell’attività, ma non ai fini commerciali, per la salvaguardia degli impianti, fino al 3 aprile, con l’impiego giornaliero massimo suddiviso in turni di 3500 lavoratori e di 2000 dipendenti delle imprese dell’indotto che operano all’interno dell’ex Ilva». È il sacrificio che si deve alle leggi dell’economia globalizzata. A scapito dei penultimi, gli operai della grande fabbrica tarantina.

E poi ci sono gli ultimi: gli stranieri per i quali non esiste nessuna tutela né dignità. Con una dura lettera indirizzata al Governo e al Parlamento le organizzazioni che compongono il Tavolo Asilo hanno chiesto ieri alle istituzioni di tutelare gli operatori sociali: «le lavoratrici i lavoratori che continuano, nel rispetto delle regole di comportamento generali, a farsi carico dell’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati, svolgendo inoltre il fondamentale compito di informare le persone riguardo alle continue disposizioni ministeriali». Le associazioni hanno chiesto di intervenire subito per garantire l’approvvigionamento dei dispositivi di protezione individuale, mascherine, guanti, gel disinfettanti, sia per i volontari e gli operatori, sia per tutti i richiedenti asilo, titolari di protezione internazionale o umanitaria che si trovano all’interno del sistema di accoglienza o che vivono presso insediamenti informali o alloggi di fortuna. Perché la mancanza della salute è una minaccia per tutti e mai come in queste ore, come il denaro, non ha colore né odore.