ITALIA

Altro che Inghilterra, sugli ultrà Salvini guarda al modello serbo

Dopo i recenti episodi di violenza il presidente del Coni Malagò ha detto che «contro la violenza la violenza serve un piano alla Thatcher: regole chiare e pene durissime». Il ministro dell’interno, invece, sembra cercare altrove i suoi riferimenti

L’incontro farsa del ministro dell’interno con gli SLO “Supporter Liaison Officer” non stupisce affatto. L’uomo dal pugno di ferro con poveri, migranti e marginali, colui che non si fa alcuno scrupolo a lasciare 49 persone, tra cui donne e bambini, in mare per settimane, tende la mano alle tifoserie organizzate, in quanto utile bacino di voti.
Purtroppo non stupisce neanche che alcuni gruppi ultrà non prendano le distanze da tale incontro e lascino che intermediari in loro rappresentanza si siedano al tavolo con il ministro dell’interno o che peggio si facciano fotografare sorridenti mentre gli stringono la mano.

D’altronde molti gruppi ultrà di serie A sono lobby imprenditoriali che difendono la loro attività, pronti a scendere a patti con tutti, disposti a farsi cani da guardia all’interno della tifoseria per mantenere una pace utile al loro business.
Per alcuni essere ultrà per alcuni è un lavoro e garantisce soldi e impieghi all’interno delle società di calcio. Il tutto facendo leva su una base di giovani incazzati, provenienti spesso dalle periferie e dai ceti più bassi, che in buona fede e in cerca di aggregazione vengono usati a volte come carne da macello e altre volte come numeri per portare voti, soldi e manodopera a qualche altra organizzazione, più o meno legale.

In questi anni la repressione all’interno degli stadi si è fatta sempre più dura, ma non si è abbattuta uniformemente su tutti i tifosi. Piuttosto autorità e club hanno selezionato chi poteva far comodo, eliminando chi non voleva scendere a patti, perché era lì per passione e non per soldi. Anche all’interno degli stessi gruppi ultrà le autorità hanno spesso colpito con il mirino, eliminando gli elementi meno disponibili e più sovversivi, spianando la strada verso il comando a personaggi poco raccomandabili ma più controllabili.

Oggi vediamo i risultati della politica portata avanti in questi anni: criminalità organizzata a capo di molte tifoserie, gente che con il calcio non c’entra nulla ma che muove soldi e voti ed è ben nota ai presidenti dei club e alle forze dell’ordine. Con Salvini la trasformazione degli ultrà da ribelli a utili servi di grossi interessi prende un nuovo slancio. Probabilmente possiamo chiamarla la “fase 2” della famosa e infame legge Maroni, compagno di partito del ministro dell’interno.

Quella legge – con l’inserimento di DASPO, della tessera del tifoso, dei biglietti nominali e del blocco delle trasferte – è stata la mannaia che ha letteralmente sezionato il movimento ultrà, dividendolo in buoni e cattivi, tra gli ricattabili da proteggere e gli altri da eliminare sistematicamente. In qualche modo in questi anni si è verificata all’interno delle tifoserie una sorta di pulizia etnica, un concetto tanto caro alla Lega Nord.

Non è una sorpresa che i gruppi ultrà più ben disposti al dialogo siano quelli dei big club di serie A. Ovvero le curve in cui girano valanghe di soldi e in cui da anni si infiltrano sia le mafie, per fare affari, che l’estrema destra, a caccia di proseliti. Entrambe con successo.

La novità sta nel fatto che sulle gradinate in cui club, ultrà, fascisti e criminalità organizzata si incontravano ora si aggiunge un nuovo sorprendente attore: il governo.

A uno sguardo esperto, però, il matrimonio tra Salvini e gli ultrà di estrema destra si è ufficializzato già mesi fa con il Matteo Nazionale che si metteva in bella mostra allo stadio vestito del marchio Pivert, marca d’abbigliamento legata a doppio nodo alla destra estrema italiana.

Da adesso, comunque, si può ipotizzare uno scenario ben più cupo di ciò che si potesse immaginare. Non il tanto conclamato “modello inglese” bensì quello serbo: hooligan espressione diretta di partiti ultra nazionalisti, braccio armato di polizia e stato.

L’autore è attivista del Csoa Gabrio e tifoso granata