ITALIA

Napoli campione, lo scudetto torna a Sud

Tra le vie del capoluogo partenopeo il giorno della festa attesa per oltre 30 anni. Nel segno del D10s che non c’è più e guardando a un Mezzogiorno che, nonostante la straordinaria affermazione, continua a rimanere indietro. Nel calcio come in politica ed economia

All’uscita della stazione di Napoli bar e pasticcerie danno il solito benvenuto. Sfogliatelle classiche calde, sfogliatelle fusion salate, fiocchi di neve, babà, pizze fritte, frittatine di qualsiasi tipo e chi più ne ha più ne metta, con la ricotta a rompere continuamente le frontiere tra dolce e salato. Il grado di civiltà di una città si misura osservando le vetrine dei suoi bar. In Italia, checché ne dicano le classifiche patinate, nessuno può tenere testa a Palermo, Catania e al capoluogo partenopeo.

Oltre alla solita overdose di zuccheri e carboidrati, però, stavolta colpisce l’esplosione di colori e addobbi che hanno trasformato Napoli in una grande curva, in un grande teatro. «Dopo 33 anni la nostra città riscrive la storia. Partecipa anche tu nelle tue possibilità ad abbellire il quartiere con una bandiera esposta fuori al tuo bancone», dice il volantino incollato su una porta di via Savarese. Firmato: «I ragazzi di piazza mercato». Le decorazioni, qui, sono una pratica collettiva.

Palazzo addobbato vicino piazza Mercato

Tra le vie del porto e del centro storico, nei vicoli dei Quartieri spagnoli migliaia di nastri bianchi e azzurri corrono su e giù da un palazzo all’altro. Sopra le strade ci sono scudetti enormi con in mezzo il numero 3 o le figurine di giocatori e allenatore tirate fuori dall’album Panini, ingrandite e appese. Un manichino a grandezza naturale raffigura il portiere Alex Meret e oscilla tra due finestre, sopra la testa di chi cammina, con il pallone in mano. Un grande striscione dice semplicemente: «Napoli». Un altro: «Il Cavone ringrazia il Napoli campione». Un altro ancora: «O’ssaje come fa o’ core quand.. ha vinciut». Manca un punto in sei partite, la scaramanzia ha già perso.

Una artista di strada con la maglia del Napoli

Tantissimi indossano la maglia. Passanti, turisti, migranti. Tutti gli artisti di strada, che suonino uno strumento o facciano rimbalzare un pallone. Quasi ogni barista o cameriere. Poi ci sono le bandiere. A quadri bianchi e azzurri. Con la squadra. Il simbolo di un gruppo. Una frase d’amore. Oppure un pezzo di città. Sventolano ovunque: ai balconi, alle finestre, dalle macchine, dietro le spalle di chi si muove a piedi o in motorino, come un lungo strascico al vento. Riempiono negozi e bancarelle. Agli angoli delle strade si agitano sincroniche, in massa.

Molte, ovviamente, hanno la Sua immagine. Giovane. Sorridente o arrabbiato. Esce dal Vesuvio o dall’ex San Paolo. Corre dopo un goal. Tratteggiato nei contorni semplici di un volto accanto a un numero, il 10, o a una parola, Dios. Maradona è dipinto sui muri, sulla pelle, incollato nelle case o nei negozi. Nello slargo a lui dedicato occupa tre piani del muro di un palazzo, con la maglia azzurra e lo sponsor Mars. È stampato sopra bandiere con i colori di Barcellona, Boca o Argentina. Ha il sigaro in bocca e il cappello con la stella rossa in testa. È trasfigurato in una specie di insegna colorata nei panni di San Gennaro. Sorride appena da dentro l’altare, con due ali ai lati della foto. La gente passa dal luogo di culto pagano per rendergli omaggio o cantare una canzone. In napoletano o spagnolo.

Largo Diego Armando Maradona, ai Quartieri spagnoli

Quel volto di ragazzo pensieroso che guarda verso l’alto o ringhia dopo aver messo la palla in rete è dappertutto. Fosse vivo, c’è da scommetterci, non si sarebbe perso questa festa che è sua più di chiunque altro. Se n’è andato due anni e mezzo fa. Da allora l’Argentina ha vinto il mondiale e il Napoli sta per ottenere lo scudetto. Il terzo. Gli altri due li ha portati a casa lui, nel 1986/7 e nel 1989/90.

Maradona è anche uno shampoo e una lacca per capelli. Il testimonial di un negozio. La decorazione di calzini e calamite. La garanzia di un prodotto. Lui che ha lottato per i diritti della sua immagine solo quando venivano usurpati dai ricchi, lasciando agli altri la possibilità di godersi una fetta di quel sogno. Che ha sempre fatturato tantissimi soldi. Come il resto del pallone. E infatti lo stesso scudetto diventa réclame pubblicitaria.

Pandora invita a personalizzare «il tuo charm per la vittoria del Napoli». Martone ha appeso un enorme lenzuolo azzurro davanti al suo palazzo rosso: «Napoli tre cose tiene ‘e belle. O’ Vesuvio, o’ pallone e i vestiti di Martone». Due ragazze portano in spalla una grande foto rettangolare che pubblicizza la birra «Ricomincio da tre», sotto la foto della squadra la scritta: «L’unica birra della città di Napoli».

Lo scudetto si fa réclame pubblicitaria

Mentre si avvicina il calcio d’inizio nelle strade si moltiplicano i suoni delle trombe, le esplosioni dei petardi, le luci delle torce e i colori dei fumogeni. Davanti al centro sociale Ska le bandiere rosse con la falce e martello sventolano accanto a quelle azzurre del Napoli. Due grandi teli azzurri scendono dal terzo al primo piano, un altro ancora più giù, tra le persone sedute ai tavolini in trepidante attesa.

A largo Banchi Nuovi gli attivisti di Zero81 hanno gonfiato un maxi schermo dove si proietta la partita. Si vede poco e la connessione salta. Quando succede si fa un coro per il «pezzotto». Nel resto della gara si canta: «Chi non salta juventino è», «Un giorno all’improvviso mi innamorai di te…», «Napoli torna campione…». E poi, con più trasporto, quello che sa di ricordi di infanzia o racconti dei genitori: «Oh mamma mamma mamma / Oh mamma mamma mamma / Sai perché mi batte il Corazon / Ho visto Maradona / Ho visto Maradona / E mammà, innamorato son». Oppure il più ironico di tutto: «Vesuvio erutta / Tutta Napoli è distrutta / Vesuvio erutta». Lo sfottò delle altre curve che gli stessi tifosi azzurri ripetono in modo strafottente.

Quando al 13’ segna l’Udinese, con Lovric, in pochi si preoccupano. C’è fiducia, la festa sarebbe soltanto rimandata. La Lazio è troppo lontana. Solo chi è venuto da fuori teme di assistere alla seconda occasione mancata per i festeggiamenti. A chi vive in città cambia poco. «Noi siamo sempre qua», dice una ragazza. Il goal di Osimhen viene urlato prima di essere visto. Il maxischermo è assediato e la maggior parte ne scorgono solo un pezzo. Anche la televisione del bar è circondata. Così alcuni ragazzi seguono la partita sul cellulare e lì lo streaming è meno in ritardo: fanno partire il grido di gioia. Largo Banchi Nuovi diventa una bolgia. Le torce lo colorano a giorno. Sul portone della Chiesa dei Santi Cosma e Damiano continuano a esplodere i bomboni. I fumogeni azzurri tolgono visibilità e fiato. Partono i cori: «Siamo noi, siamo noi, i campioni dell’Italia…».

Largo Banchi Nuovi a fine partita

Al triplice fischio la scena si ripete. Ma più forte. Qualcuno si commuove. Altri si abbracciano. Si dà fondo alle riserve pirotecniche. Le stradine sono piene di gente. Sembra un grande carnevale popolare, tutto azzurro. I tanti rivoli diventano un fiume in piena nel corteo che porta verso piazza Plebiscito: via Toledo è un tappeto di gente, davanti al Teatro San Carlo è difficile passare. Le bandiere sventolano ovunque. Ragazze e ragazzi si arrampicano sulle statue. Il rosso delle torce puntella la città. I fuochi d’artificio continuano a rischiararne il cielo.

Si divertono tutti. O quasi. Appoggiati alle transenne o seduti nelle macchine poliziotti, carabinieri e finanzieri controllano l’orologio per attendere il cambio turno. Non hanno molto da fare. In questa parte della città la folla è festante, ma a suo modo tranquilla. A un certo punto su via Toledo un gruppo di uomini con i caschi in testa circonda qualcosa. In divisa o in borghese fermano una vecchia macchina che sfila tra la gente. Irriconoscibile. Al suo posto è rimasto solo il sedile del guidatore. La carrozzeria tagliata per ospitare i tifosi, in piedi. «Garantisco io», dice un ragazzo pronunciando nome, cognome e quartiere di provenienza: «Secondigliano». Al posto della targa c’è scritto semplicemente Napoli. Difficile identificarla. La polizia toglie le chiavi e porta in disparte il guidatore. Probabilmente identificano lui. «Ma ci stavamo solo divertendo, è la nostra festa», dice quello. Non li convince.

La macchina dei tifosi fermata dalla polizia

Intanto i festeggiamenti sono esplosi anche in altre città, seguendo la diaspora napoletana che copre tutto il globo terracqueo. Alla gioia di alcuni corrisponde l’invidia di altri. Ad Avellino sono aggredite le auto azzurre, a Mondragone, in provincia di Caserta, viene esposto uno striscione anti-semita che dovrebbe sfottere gli azzurri e invece offende solo chi lo ha fatto. A Roma, in zona piazza Bologna, un tifoso che festeggia lo scudetto è preso a bastonate. A Varese supporter partenopei sono aggrediti davanti ai bambini. Quasi come durante i mondiali, per i festeggiamenti del Marocco.

Napoli è la squadra più odiata dai gruppi ultras organizzati e suscita emozioni alterne tra i normali appassionati di calcio. Spesso disprezzata al centro-nord, muove un sentimento ambiguo in quelli del sud. Alcuni non la sopportano come a volte avviene per il fratello più grande o l’amico più bravo, tutti gli altri provano una simpatia forte come i simboli: solo il Napoli ha portato lo scudetto a sud di Roma. Le prime due volte lo ha fatto grazie a un capitano che in campo ha sfidato le regole della fisica e fuori quelle dei potenti del pallone.

Quella azzurra è una vittoria straordinaria ma da sola non basta a parlare di riscatto del Mezzogiorno, come in tanti stanno facendo. A meno di interpretare questo concetto soltanto come questione di eccellenze, o eccezioni. Solo i tre tricolori napoletani su un totale di 119 sono stati vinti a sud (quello cagliaritano è di più difficile collocazione). E le differenze non stanno negli archivi: la mappa delle squadre che militano quest’anno in Serie A le mostra tutte assiepate al centro-nord. Due sono nella capitale. Al meridione ne restano tre: oltre al Napoli, la Salernitana e il Lecce, staccato da tutti nella periferia sud-est dello Stivale. Segno che le disuguaglianze economiche, di cui il calcio è uno dei riflessi, restano là a dividere il paese. Pronte a moltiplicarsi con le politiche di questo governo, a partire dall’autonomia differenziata.

Il video di Costanza Fraia Ketoff per il manifesto