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ITALIA

Napoli e la turistificazione: una città sottratta agli abitanti

Resta Abitante contesta l’amministrazione comunale durante le giornate Unesco: lo scorso 29 novembre, mentre a Palazzo Reale si teneva la giornata conclusiva di un blindatissimo forum Unesco con delegazioni provenienti da 194 paesi, siamo sces3 in piazza per ribadire che il patrimonio di questa città è fatto di persone e tessuto sociale prima che delle pietre d’architettura, per ricordare che il centro storico non si tutela con la cosiddetta “rigenerazione urbana” e la “valorizzazione” del patrimonio culturale, ma solo attraverso la tutela dell3 abitant3.

A Napoli, le case non sono più fatte per abitarci. La turistificazione del centro storico ha soppiantato il diritto all’abitare, trasformando la casa nel primo strumento di estrazione di valore dalla città. Abitant3 espuls3 e palazzi svuotati per far posto a 10mila case vacanza.

A Napoli, la (dis)economia turistica ha prodotto lavoro nero, precario e senza tutele, ha sostituito attività artigianali e economie di prossimità con locali da food&wine e salumerie gourmet, ha reso la città inaccessibile all3 su3 abitant3, privatizzando spazio pubblico, beni culturali e beni comuni come le spiagge e il mare. A Napoli, l’amministrazione comunale demanda ogni responsabilità sulla regolamentazione degli affitti brevi al governo centrale e, nei fatti, non intende proporre alcuna normativa urbanistica che possa agire a livello locale, legittimando, anzi, l’espulsione dell3 abitant3 dal centro storico.

Mercoledì 29 novembre, mentre a Palazzo Reale si teneva la giornata conclusiva di un blindatissimo forum Unesco con delegazioni provenienti da 194 paesi, siamo sces3 in piazza per ribadire che il patrimonio di questa città è fatto di persone e tessuto sociale prima che delle pietre d’architettura, per ricordare che il centro storico non si tutela con la cosiddetta “rigenerazione urbana” e la “valorizzazione” del patrimonio culturale, ma solo attraverso la tutela dell3 abitant3. Con rete SET Napoli, Campagna per il Diritto all’Abitare di Napoli, Rete dei Beni Comuni e degli Spazi Sociali, Mare Libero e Gratuito Napoli, Italia Nostra, Mi Riconosci? Campania, Potere al Popolo Napoli e tant3 altr3, abbiamo organizzato questa mobilitazione per chiedere nuovamente che il Comune intervenga immediatamente per porre una limitazione chiara e efficace al moltiplicarsi di case vacanza, quasi tutte concentrate nell’area Unesco; per chiedere alloggi pubblici e politiche attive a tutela del diritto all’abitare di tutt3, student3, lavoratric3, soggettività e collettività più discriminate; per rivendicare il diritto all’uso pubblico e gratuito di beni culturali, spiagge e spazio pubblico e denunciarne le gravissime forme di privatizzazione in atto; per sfatare il mito del turismo come motore economico urbano, perché in realtà distribuisce solo lavoro nero e precario nei settori culturali e turistici; per difendere attività e infrastrutture di prossimità all’abitare.

La campagna Resta Abitante, mettendo in rete abitant3, collettivi e associazioni, è iniziata circa un anno fa per far fronte alla crescente difficoltà di accesso alla casa. Dopo i primi mesi di raccolta di testimonianze e di ragionamento collettivo e dopo una prima assemblea pubblica nella Galleria Principe, il 7 giugno scorso abbiamo organizzato una manifestazione cittadina che è stata molto partecipata. L’amministrazione comunale si è detta sin da subito interessata ad affrontare il tema e ad aprire un tavolo di discussione. Tuttavia, alle belle parole del primo incontro non sono mai seguiti dei fatti, né tanto meno una regolamentazione degli affitti brevi scritta in modo partecipato come ci era stato promesso. Durante i mesi successivi, abbiamo continuato a costruire solidarietà tra abitant3 in difficoltà e organizzato la Festa dell’Abitare al Parco Sociale Ventaglieri, un momento di condivisione di tante storie e esperienze legate all’abitare a Napoli. Solo recentemente, giunta la notizia che avremmo organizzato delle proteste pubbliche durante le giornate Unesco, questa volta sotto i riflettori dei media nazionali, abbiamo ottenuto ben due incontri consecutivi con l3 rappresentant3 del consiglio comunale.

È qui che abbiamo potuto constatare, con grande sconforto e preoccupazione, che purtroppo non c’è nessuna intenzione da parte di questa amministrazione di porre un freno alla cacciata dell3 abitant3 dalla città per mano dell’industria turistica. Continuiamo a leggere sui giornali in questi giorni di grandi promesse e buoni propositi.

La Conferenza Unesco si è chiusa con il lancio del documento programmatico “Lo spirito di Napoli”. “Per una più efficace tutela del patrimonio”, il documento propone ai paesi membri di agire, tra le altre cose, “contro il turismo di massa che potrebbe far perdere l’identità dei territori”. A questo proposito, a conclusione delle giornate, il sindaco Gaetano Manfredi ha anche ammesso al Corriere che effettivamente esiste un’emergenza gentrificazione a Napoli ma che l’amministrazione napoletana ritiene “sia più opportuno che sul tema della residenzialità sia varata una norma nazionale di tutela”. Anche la vice-sindaca Laura Lieto ha riconosciuto a la Repubblica che “la casa ora è un diritto precluso anche a quelli che una volta si potevano permettere un affitto o un mutuo in centro”, e ha promesso: “faremo di tutto per conservare le residenze”. Tuttavia, nella proposta del nuovo Piano Regolatore Generale del Comune non compare nessuna limitazione delle case vacanza.

Solo “grandi” opere di risanamento delle periferie, finalizzate a “trasformare territori abbandonati in residenze”, dove si auspica che tutt3 le abitant3 del centro si trasferiranno, in modo da non intralciare ulteriormente l’industria turistica.

In pratica, la soluzione proposta all’ingolfamento del centro storico è che l’abitare venga sacrificato e che la residenza si sposti in periferia. Poco importa se nei quartieri di Napoli siamo nat3 e cresciut3, poco importa se frequentiamo l’Università o la scuola in centro: ora è tempo di abbandonarlo. Questa è la “città giusta, sostenibile e attrattiva” che ha in mente la Giunta Manfredi, per citare il loro nuovo slogan.

Ma a unə lettricə più attentə non sfuggirà che, con le sue dichiarazioni, l’amministrazione non ha fatto altro che appropriare i nostri discorsi di critica alla città turistica per trasformarli nella cornice narrativa della loro inazione. In breve: non hanno intenzione né di fissare un blocco delle nuove licenze per gli affitti a breve termine a uso turistico nell’area Unesco (come fatto a Firenze), né di porre un limite numerico dei posti letto che è possibile destinare alla ricettività turistica per zone. Tutto ciò che faranno sarà niente di più di quello che prevedono già la legge regionale e la nuova legge nazionale. Ovvero un codice identificativo per ogni struttura che consentirà di fotografare la situazione attuale (che per altro già conosciamo grazie ai dati di Insideairbnb) e di “stanare” chi affitta in locali privi di abitabilità, come i bassi. In pratica, un nulla di fatto raccontato, però, come la nuova politica in difesa dello “spirito di Napoli”.

L’assenza di una normativa comunale che blocchi la bolla speculativa degli affitti a breve termine per uso turistico sta producendo effetti gravissimi e irreversibili sulla città. Nei quartieri del centro storico, l’estrattivismo della rendita, reso possibile da piattaforme come Airbnb, e l’assenza di politiche pubbliche sull’abitare hanno drasticamente ridotto l’offerta abitativa, fatto lievitare le locazioni residenziali e definito un mercato degli affitti estremamente discriminatorio. Questa condizione si aggiunge a un disagio abitativo che riguarda tutta la città, poiché a Napoli non esiste alcuna forma di tutela per chi è sotto sfratto e ha condizioni di fragilità e indigenza gravi. Analizzando i dati degli ultimi mesi, l’attuale crisi abitativa a Napoli risulta evidente.

Dal 2015 a oggi, il numero di case trasformate interamente in case vacanza è cresciuto di più del 600%. Solo nei mesi estivi di quest’anno, ne sono sorte oltre mille in più. A settembre 2023, sono 9.754 gli annunci di Airbnb, che si aggiungono alle 2mila strutture alberghiere e extra-alberghiere già presenti, ed è plausibile pensare che a fine dicembre questo numero avrà abbondantemente superato la soglia dei 10mila.

Mettendo in correlazione la concentrazione di case in affitto breve nell’area del centro storico della città, corrispondente al sito Unesco, e la possibilità di accesso alla casa in affitto in base al reddito medio familiare, abbiamo rilevato un rapporto tra posti letto in locazione turistica e numero di abitant3 che raggiunge o supera il parametro unitario. Ovvero, in alcuni isolati e palazzi del centro storico, riscontriamo che i posti letto in locazione turistica sono già superiori al numero di abitant3 censit3.

Questi numeri sono in crescita esponenziale ogni mese, a un ritmo di quasi dieci appartamenti convertiti ogni giorno in case vacanza. Se consideriamo poi che Napoli è una città di affittuar3, di persone che non possono accedere al mercato immobiliare della vendita, si comprende come gli effetti di questa cacciata dalle case riguardino la maggior parte dell3 abitant3 della città. Infatti, Napoli, ultima città in Europa per disponibilità di case e condizioni abitative, è prima in Italia per numero di case in affitto. Inoltre, laddove una famiglia riesca a trovare casa e superare il casting di selezione per accedervi, è comunque messa nella condizione di non poter pagare l’affitto. Abbiamo, infatti, individuato un’ampia zona del centro storico in cui il costo dell’affitto può arrivare a superare il 60% del reddito familiare. Mentre i prezzi di locazione delle abitazioni al centro storico stanno lievitando fino a raggiungere i costi nei quartieri ricchi della città, i redditi familiari in questa zona sono tra i più bassi in città e in Italia. Lo sportello contro gli sfratti (che si riunisce ogni mercoledì allo Sgarrupato, parco Sociale Ventaglieri) è stato uno dei punti di osservazione diretta di questa crescita dell’emergenza abitativa.

Nello stesso periodo dell’esplosione del turismo a Napoli, infatti, gli sfratti esecutivi in città sono cresciuti del 70% in pochi anni. Addirittura, nel 2022, al termine del blocco per il Covid, la Prefettura ha annunciato oltre 10.000 sfratti, il 600% della media precedente, in gran parte per “morosità incolpevole”. Tuttavia, per tutt3 noi questo fenomeno non è solo fatto di numeri, ma di volti, storie, disperazione, rabbia, resistenza….

Era il 2016 quando i segnali d’impatto della turistificazione sul disagio abitativo cominciarono a diventarci evidenti travalicando l’aspettativa teorica. Durante lo sgombero di una famiglia di precar3 del progetto Bros in rua Catalana scoprimmo che l’intero palazzo, di proprietà della famiglia dell’assessore regionale al lavoro dell’epoca, Severino Nappi, era stato svuotato dell3 su3 abitant3. Su quattro delle porte di ingresso ad appartamenti ormai disabitati campeggiava l’adesivo di un intermediario che ancora non conoscevamo, la ”Napoli Boundless”. L’occupazione per protesta degli uffici di questa società, che oggi rappresenta uno dei principali host della città, fu una reazione immediata ma anche il tentativo di svuotare il mare con un cucchiaio.

Da allora le case vacanza sono cresciute al ritmo del 70% all’anno mentre gli sfratti erano in aumento esponenziale. Il Covid ha completato l’opera: la crisi dei redditi di migliaia di famiglie, per le quali il lavoro nero e precario rappresenta purtroppo una condizione diffusa, ha spinto tant3 a indebitarsi con l’affitto, sfruttando il temporaneo blocco degli sfratti e sperando in una successiva conciliazione. La nuova bolla speculativa degli affitti turistici ha reso però soprattutto i multiproprietari del tutto indisponibili. Più conveniente sfruttare la morosità per sgomberare gli appartamenti e convertirli a questo nuovo utilizzo. Tra essi, le confraternite religiose che complessivamente detengono il primo patrimonio immobiliare privato di Napoli, frutto di “donazioni ad uso sociale” accumulate nei secoli. Il “turismo religioso” (per lo più esentato abusivamente anche dall’IMU) rappresenta una quota significativa delle presenze in città. Ma anche enti pubblici aziendalizzati (come le ASL) e una pletora di multiproprietari storicamente molto numerosa a cui oggi si aggiunge la proprietà finanziarizzata: Napoli è in questo momento la prima città in Italia per compravendite finalizzate all’uso turistico. Si consumano in questo scenario e nell’assenza di politiche pubbliche per l’abitare, i drammi personali e familiari. Quartieri Spagnoli, nel 2022, una coppia di anziani malati, dopo due anni di resistenza, lascia la casa dove il ramo familiare materno viveva da oltre cento anni e abbandona il quartiere perché incapace di trovare alternative accessibili. In vico Don Minzoni, sempre Quartieri Spagnoli, nel 2018, un uomo di 32 anni si fa saltare in aria con tutto il nucleo familiare il giorno dello sfratto. Il proprietario, tale Romano, possiede oltre 300 appartamenti. L’estrattivismo turistico produce profitti privati e miseria pubblica, con la frequente incapacità di tutelare gli stessi siti monumentali che fanno da catalizzatore del fenomeno.

Nel 2019, il crollo nella storica “Farmacia degli Incurabili” porta con sé l’inabitabilità di oltre venti abitazioni pubbliche comprese nel complesso: le famiglie residenti vengono disperse nella periferia nord della città con una teorica promessa al ritorno. A Materdei, due donne aggredite da una sindrome genetica degenerativa resistono tutt’ora allo sfratto in un bilocale seminterrato da cui preferirebbero scappare se solo ci fosse un’alternativa disponibile e accessibile. Si moltiplicano anche gli sfratti per finita locazione, prima un fenomeno del tutto marginale in assenza di morosità. Malgrado in tante di queste situazioni si sia attivata una rete solidale che aiuta la resistenza agli sfratti, solo in una minoranza di casi si arriva a un esito positivo che permette la permanenza nel quartiere. Diventa sempre più urgente mettere i decisori istituzionali di fronte alle proprie responsabilità. Come in via San Nicola al Nilo, nel cuore dei decumani, in cui si è riusciti a ottenere il reinsediamento di sei famiglie sgomberate da una struttura pubblica.

L’aumento dei fitti, dovuto alla speculazione immobiliare, ha influito anche sulle “economia di prossimità”, in particolare, le botteghe artigiane, le piccole librerie indipendenti e le attività di servizio destinate all3 abitant3. In molti casi, tali attività sono state velocemente soppiantate da nuove attività di somministrazione di alimenti e bevande, snaturando completamente il tessuto commerciale storico della città e del centro antico.  Un’altra conseguenza della risposta al nuovo bisogno turistico è la crescente inaccessibilità dello spazio pubblico a causa dell’intensa occupazione di suolo.

Nel maggio del 2020, la delibera di Giunta comunale n.168, al fine di contrastare la crisi economica generata dalla pandemia, ha consentito alle attività commerciali di food&beverage di usare lo spazio pubblico e apporre dehors all’esterno, usufruendo di alcune deroghe, riguardanti sia le procedure di acquisizione delle autorizzazioni, pesantemente snellite, sia le parti di suolo che potevano essere oggetto di utilizzo, tra cui tutte le zone prospicienti alle attività stesse, con pochissime limitazioni. Un provvedimento nato come misura di tipo emergenziale è diventato poi procedura ordinaria a causa delle continue proroghe dell’atto originario. Solo di recente, con delibera n. 223 del 29 giugno 2023, sono state ripristinate le regole per l’ottenimento delle concessioni, che decorreranno a partire da gennaio. Mentre aspettiamo di vedere come il Comune avrà intenzione di gestire le concessioni, le piazze, le strade e vicoli del centro storico continuano ad essere completamente invasi dai tavolini con pesanti ricadute sul traffico pedonale e la possibilità di movimento delle persone nello spazio pubblico della città.

La cultura gioca un ruolo chiave in questo processo di turistificazione della città e di sottrazione di diritti all3 abitant3. Viene gestita dal Comune in un modo ormai chiaro: puntare tutto sulla mercificazione del patrimonio da vendere ai turisti con prezzi costantemente in crescita e sul partenariato pubblico privato.

Questo modello di gestione della cultura riguarda tanto i musei statali, quanto i siti comunali, che le chiese. Il Cimitero delle Fontanelle, per esempio, è già passato da una gestione pubblica ad una gestione privata tramite cooperativa. Il Museo Archeologico Nazionale e il Museo di Capodimonte, diventando autonomi, concedono prestiti folli delle loro collezioni più importanti, aumentano il biglietto di ingresso fino a 23€, propongono fiere della birra al loro interno. Sempre più siti di proprietà comunale velocemente vengono sottratti alla fruizione gratuita e numerose chiese di proprietà del Fondo Edifici di Culto, e quindi dello Stato, vengono gestite a pagamento da cooperative. Le cooperative non sono tenute a scegliere personale qualificato, non devono rendicontare all’ente pubblico i contratti applicati, la durata è estremamente lunga e la posizione del privato nei confronti del pubblico è sostanzialmente paritaria. Inoltre, quello che emerge trasversalmente è la grande spesa da affrontare per poter fruire di questi luoghi di cultura, che diventa sempre più appannaggio solo di chi se lo può permettere. È necessario invece riportare al centro la fruizione culturale pubblica per tutt3: a partire da bambin3 e student3 che hanno bisogno delle biblioteche, a ricercatric3 e studios3 che hanno bisogno degli archivi, alle abitant3 tutt3 che dovrebbero poter godere dell’accesso libero e gratuito a tutti i siti culturali della nostra città.

Durante le giornate della conferenza mondiale Unesco a Napoli, abbiamo sentito parlare tanto di conservazione dell’identità dei luoghi, di tutela e “valorizzazione” del patrimonio culturale materiale e immateriale di questa città. Tuttavia, valorizzazione è l’azione solamente economica di monetizzare tutto quanto sfugga al mercato e non nasca come moneta di scambio.

Il modello di un centro storico e una città da valorizzare si fonda sulla creazione strutturale di marginalità, esclusione, povertà e espulsione dell3 abitant3 dalle case e dagli spazi che hanno abitato e attraversato per anni e generazioni. In attesa di leggere il testo completo del nuovo Piano Regolatore Generale del Comune, riteniamo fondamentale chiarire da subito che difendere l3 abitant3 dai meccanismi espulsivi dal centro storico non significa accompagnarl3 altrove. Ma bloccare il processo di trasformazione di abitazioni in case vacanza, limitandole numericamente in modo drastico attraverso gli strumenti urbanistici (di cui il Comune dispone pienamente!) e intervenendo con nuove politiche pubbliche di sostegno al diritto alla casa e di reinsediamento abitativo negli stessi quartieri per chi ha perso la casa. Lo diciamo ancora una volta: il centro storico non è dell’industria turistica e noi non abbiamo nessuna intenzione di andarcene!

Immagine di copertina e nell’articolo della Campagna Resta Abitante