editoriale

A alternanza di merda, scuola di merda

L’alternanza scuola-lavoro è l’ennesima trovata adatta a smantellare in via definitiva l’idea di scuola come luogo di cultura

Una vecchia prima pagina di giornale recitava “a salario di merda, lavoro di merda”. Era il 1928 e il giornale era “L’Unità”, organo ufficiale dell’allora Partito Comunista d’Italia fondato da Antonio Gramsci. Il titolista, con un incipit che oggi sarebbe considerato quantomeno poco ortodosso, incitava i lavoratori a continuare gli scioperi in seguito all’ennesimo abbassamento dei salari. Altri tempi, altri modi di scrivere su certi giornali ma soprattutto un modo diverso di rapportarsi con il mondo del lavoro: i diritti non si chiedevano ma si pretendevano, salari dignitosi compresi. Riguardando questo titolo, non ho potuto non chiedermi come siamo passati dal contestare i salari all’accettare senza problemi una cosa come questa alternanza scuola-lavoro. Tra le due cose c’è un salto enorme e effettivamente non sembrano esserci collegamenti evidenti tra i salari bassi e l’alternanza, che ci viene propinata come ottima attività scolastica. Ricordiamoci, però, che spesso questa alternanza assume più le caratteristiche di un lavoro gratuito – quindi sfruttamento a tutti gli effetti – che di una vera e propria attività formativa.

Si è riusciti ad introdurre tra i ragazzi, in questi ultimi venti anni di riforme scolastiche, il concetto secondo il quale dobbiamo fare sempre meno scuola a vantaggio di progetti che, per come ci vengono propinati, dovrebbero aumentare le nostre skills e garantirci un posto di lavoro in futuro. Meno conoscenza e più abilità pratica, in sostanza. Viene così smantellata quell’idea di scuola secondo la quale l’istruzione è innanzitutto formazione personale e culturale e poi, forse, formazione specifica e pratica. Riforma Moratti, riforma Gelmini e soprattutto riforma “Buona Scuola” hanno via via introdotto l’idea malata che le aspirazioni e le passioni dei ragazzi non contano nulla e non devono assolutamente interferire con il percorso di studi: quello che interessa è quanto un ragazzo sa produrre e in quanto lo sa fare. Abbiamo così iniziato tutti, studenti e insegnanti insieme, a pensare di dover assolutamente rincorrere il mercato e a mettere i nostri progetti per il futuro da parte, pensando di recuperarli in un altro momento che, nella realtà, non sarebbe arrivato mai. Ci siamo fatti riempire la testa di frasi che ci invogliavano a prendere percorsi universitari scientifici a discapito dei percorsi umanistici perché “il mercato del lavoro oggi funziona così”. Abbiamo deciso di diventare schiavi di un sistema che non tiene conto di quello che siamo e abbiamo deciso che ci andava bene così. Questo non vuole assolutamente dire che decidere di intraprendere percorsi scientifici all’università o nella vita sia errato, ma vuol dire che abbiamo permesso a qualcun altro di indirizzarci verso una cosa piuttosto che un’altra solo perché faceva comodo al mercato, fregandosene di cosa noi davvero volevamo fare nella vita. Se noi ora ci troviamo dopo un lungo percorso di studi in mezzo alla strada è per colpa di tutto questo che ha permesso di far diventare la scuola pubblica un mero strumento, nel quale se sei adatto al mercato puoi avere la tua vita e se invece non lo sei vieni scartato, senza avere alcuna possibilità di essere felice.

L’alternanza scuola-lavoro è l’ennesima trovata adatta a smantellare in via definitiva l’idea di scuola come luogo di cultura. Smettiamo di studiare e andiamo a lavorare perché studiare non ci servirà: questo è il messaggio che spesso passa nei percorsi di alternanza svolti dagli studenti di tutto il Paese. E’ solo il completamento di tutto il percorso riformista analizzato sopra. Non dovremmo stupirci – cosa che infatti non accade se non con qualche rara eccezione – se dei ragazzi in orario scolastico vengono mandati a lavorare per grandi multinazionali o aziende che lucrano sul nostro lavoro gratuito. Siamo passati, quindi, dal lamentarci giustamente per i salari troppo bassi al non muovere dito se ci impediscono di farci la nostra cultura indipendentemente da come gira il mercato del lavoro. L’alternanza, oggi, non è quindi che lo specchio di quello che la scuola pubblica è diventata: un luogo di formazione adatto a far capire chi sarà in grado di lavorare meglio e chi invece sarà considerato inutile. Insomma, se oggi l’alternanza è una merda è perché abbiamo fatto diventare col tempo anche la nostra scuola una merda.

C’è qualcosa da salvare dalle macerie di questo progetto scolastico? Certo che sì. L’alternanza davvero formativa esiste, ma non può essere certo lo sfruttamento perpetuato ai ragazzi dalle grandi aziende e, soprattutto, deve essere un’alternanza che abbia una visione culturale prima che lavorativa. L’alternanza svolta nei musei, nei palazzi istituzionali, nei luoghi di ricerca: insomma un’alternanza che non punti solo a indirizzare nel mondo del lavoro per cosa oggi è disponibile sul mercato ma che punti a formare un individuo pensante e in grado di scegliere autonomamente. Intanto, finché non cambierà nulla, non mi rimane che farvi un augurio: a alternanza di merda, scuola di merda.