ITALIA

Fra cortei e assemblea nazionale, «può nascere un forte movimento studentesco»

Oggi studenti ancora in piazza, mentre per domani al Brancaleone è stato indetto un ritrovo per le scuole in lotta da tutta Italia. Abbiamo parlato con Dario del Manzoni di Milano per approfondirne le dinamiche

Non accenna a indietreggiare il movimento studentesco. Dopo le mobilitazioni di settimana scorsa (che hanno tra l’altro visto cariche della polizia a Torino e Milano, sulle quali si è aperta un’interrogazione parlamentare), oggi si torna in piazza per contestare l’esame di maturità. Domani e domenica, invece, è prevista una grossa assemblea nazionale delle scuole in lotta al Brancaleone (Roma): studenti da tutta Italia proveranno a discutere e ad articolare le proprie rivendicazioni, che si fanno sempre più complesse e ambiziose anche sulla scorta della tragica vicenda del ragazzo morto in provincia di Udine durante un tirocinio di formazione.

Abbiamo parlato con Dario del liceo Manzoni di Milano, attivo durante la recente mobilitazione dell’istituto e in procinto di partecipare all’assemblea nazionale, per capire “dall’interno” quali istanze vengono portate avanti dagli e dalle studenti in lotta e quale clima più generale si respiri fra giovani e giovanissimi.

Ondate di occupazioni fra Roma, Milano e altre città, mobilitazioni per la morte di Lorenzo Parelli e per gli esami di maturità, un’assemblea nazionale del movimento studentesco in vista… Nell’ambito scolastico, la fase politica è molto concitata. Qual è il tuo punto di vista?

Ci troviamo in una situazione effettivamente molto particolare. Entriamo nel terzo anno di pandemia e quest’ultima a volte sembra esserci altre volte non esistere, per alcuni sì per altri no… Insomma, è come se fossimo dentro a un lento ritorno alla normalità dove però sussistono strascichi dell’emergenza vissuta, e questo porta a rendersi conto di quello che già “prima” non andava bene.

Perciò, dal mio punto di vista, nelle scuole si è generato un forte “spontaneismo”: tante persone decidono di entrare in azione per proprio conto, di rispondere direttamente a delle mancanze e delle esigenze quotidiane. C’è insomma la volontà molto spinta di assecondare le necessità più concrete degli e delle studenti: quelle relative agli spazi, alla socialità, al bisogno di aggregazione…

Faccio un esempio: nel mio liceo per un certo periodo ci veniva negato l’intervallo nella giornata di sabato; abbiamo iniziato a mobilitarci semplicemente scambiandoci dei messaggi tramite i gruppi Whatsapp e a un certo punto c’è stato una sorta di corteo a scuola, vista la partecipazione totalmente spontanea; grazie a questo è stata finalmente introdotta una circolare che ripristinava l’intervallo al sabato.

Lo racconto per dire che il clima che osservo è un clima di frustrazione molto ampia, ma al tempo stesso c’è anche una grande voglia di attivarsi nella dimensione pratica, in un’ottica mutualistica. Non tanto, cioè, per aderire a un preciso discorso politico, ma per rispondere a esigenze concrete delle persone con le quali si riesce allora a stabilire un contatto diretto. È su questa base che vedo la possibilità oggi di creare un movimento forte, perché nessuno ce la fa davvero più, A settembre siamo tornati in una scuola incentrata su verifiche, interrogazioni, compiti e basta c’è una diffusa insofferenza fra gli e le studenti.

Ti sembra quindi che la partecipazione si stia allargando a sempre più persone, anche magari a chi prima di questo momento non era attivo politicamente?

Non è qualcosa di lineare. Quando, a ottobre scorso, abbiamo occupato nel nostro liceo l’aula magna come azione propedeutica all’occupazione di tutto l’istituto per esempio si era riempita di gente (ha una capienza di 200-250 persone) con alcuni e alcune studenti che dovevano prendere le sedie dalle aule. Allo stesso tempo, i cortei studenteschi in città però generalmente non sono stati così partecipati.

Quindi, tornando anche al discorso precedente, sembra che, se su manifestazioni e eventi collettivi più “tradizionali” le persone si mobilitino meno, di converso sulle azioni singoli, che vertono su bisogni più diretti e quotidiani, c’è invece un forte “consenso”. Anzi, molto spesso, quando sorgono delle problematiche specifiche tanti e tante studenti ci vengono a cercare e ci chiedono se c’è l’intenzione di fare qualcosa, al punto che talvolta siamo quasi incalzati.

Mi pare insomma che ci sia una forte coesione attorno a un assunto di fondo: voi ci fate andare in una scuola che non ci piace, che non tiene conto di quello che sono e di ciò che sento e allora io cerco sempre di mandare un segnale in questa direzione, per denunciare questa insofferenza.

(dalla pagina Facebook di Lupa_scuoleinlotta)

Vale per tutte le età?

Generalmente sì, anche se si verifica una sorta di ribaltamento rispetto ai periodi precedenti alla pandemia: se prima gli e le studenti degli ultimi anni erano forse più restii a mobilitarsi, ora mi pare che è proprio chi ha fatto esperienza della scuola pre-Covid a essere più desideroso di protestare ed entrare in azione.

Ovviamente questo vale anche per il biennio, ma non dimentichiamoci che le persone che arrivano in questo momento al liceo in pratica non hanno vissuto neanche le medie per via delle restrizioni e della didattica a distanza. Si fanno quindi prendere da questo “vortice”.

Qual è dunque la scuola che vorreste?

A me piacerebbe che la scuola fosse qualcosa che possa fruire come uno “spazio mio”, proprio nel senso concreto che fosse aperta e accessibile tutto il giorno. Poi penso che non ci si possa basare solo sulla valutazione, c’è davvero una sorta di ossessione per i voti: non è solo questione di non ridurre il valore delle persone a dei numeri, ma anche di non perdere di vista una formazione più ampia e completa. Al contrario, invece di educare gli e le studenti al “sapere”, le si spinge a saper dimostrare di sapere qualcosa.

Poi penso sia necessario riattualizzare i programmi, dobbiamo insomma sapere che cosa succede nella nostra contemporaneità e avere strumenti per leggere la realtà: non è concepibile un percorso di storia che si fermi alla Seconda Guerra Mondiale e non dica niente, per esempio, della Guerra Fredda o del 2001. Inoltre occorre parlare anche di conoscenza che non sono direttamente valutabili in termini quantitativi, come l’affettività o la sessualità.

Insomma, un’educazione fra pari in cui la valutazione non ammazzi ogni cosa e che formi in primo luogo cittadini e cittadine, che sappiano esprimere se stessi. E che, mi sembra inutile dirlo, sia innanzitutto scuola, e non lavoro! Quello verrà dopo.

Immagine di copertina di Francesco Brusa