ROMA

Addio Richard Benson, il rock si è fermato all’Alessandrino

Il racconto di un artista poliedrico che dalla borgata romana è finito su palchi e schermi tv, trasformato ne “er parucca” di quartiere e nel bersaglio del lancio di ortaggi e polli morti

Era il 2014 quando mi trasferii dalla rigogliosa Montesacro, con i suoi grandi platani che la abbracciano e l’Aniene che la culla, a una borgata di Roma Est, il quartiere Alessandrino. Non me ne vogliano i suoi abitanti ma basta fare una passeggiata lungo il viale omonimo per percepire lo spirito che trasuda da questa zona della città.

La gente è presa dai propri problemi personali e sociali e molto povera di convenevoli. Il look dei ragazzi è spartano, qualche tuta, doppi tagli alla gomorra, vecchie signore coi leggings e le pantofole, qualche coatta con le ciabatte di pelo, ma degli amanti del rock e della musica alternativa nemmeno l’ombra. Non proprio come il Pigneto o San Lorenzo dove capelloni, punks, ravers, hipsters e rockettari di ogni genere la fanno da padrone.

Potete immaginare il mio stupore quando passando davanti ad un bar/cornetteria, confinante col Quarticciolo, vedo semi sdraiato su una sedia di plastica questo metallaro antico con tanto di parrucca sintetica comprata dal cinese, jeans aderentissimi, reebok pump semi slacciate ai piedi, canotta bianca e occhiali da sole avvolgenti e specchiati.

Se ne stava beato a prendere il sole, di fianco a un tossico con una peroni e un  paio di vecchi che si giocavano la pensione alle slot machine. Penso sia un vecchio pazzo vestito così per puro caso oppure un vetusto tossico di quartiere amante del rock o semplicemente un residuato bellico della Roma anni ‘80, un po’ coatto, un po’ fedayn, con una spruzzata di rock italiano.

Guardandolo meglio mi rendo conto che assomiglia un po’  al metallaro matto che negli anni 2000 faceva quelle trasmissioni assurde su una tv privata, parlando di rock, di metal e di storie trash.

– Come si chiama? – chiedo a un amico – quel metallaro ospite di un sacco di trasmissioni anche sui canali Rai che strillava come un invasato?

– Ma chi? Richard Benson?

– Lo sai che c’è uno che sta all’Alessadrino che gli somiglia?

E così la rivelazione: «Guarda che è proprio lui, abita lì, di fianco a un bar in cui lo trovi sempre».

Richard Benson, alias Riccardo Bensoni, vero nome di battesimo Richard Philip Henry John Benson, di origini inglesi, chitarrista, critico musicale, presentatore, attore e performer abita all’Alessandrino e non sembra passarsela proprio alla grande.

Da lì a poco pubblicherà in rete un video dichiarando il proprio fallimento economico: è finito sul lastrico e chiede ai propri fan di aiutarlo, «anche un euro può essermi d’aiuto».

L’altro ieri è rimbombata in rete la notizia che ci ha lasciato. E che a me ha lasciato, per dirla con un brano degli AC/DC, “Thunderstruck”. Richard Benson è morto a 67 anni, dopo una lunga malattia cardiovascolare che lo debilitava da tempo.

Reduce di una televisione improvvisata opposta agli odierni talent show, mitologica e primordiale, come mitologiche rimarranno le improvvise zoomate sul suo braccio, a evidenziare le  polsiere raffiguranti demoni e creature dell’abisso, che un infervorato Richard indossava a ogni puntata.

Magari mentre raccontava, in una puntata del programma Cocktail Micidiale, sulla tv privata Televita, la storia del suo amico agricoltore Palmizio e di quella volta che lo invitò a una mostra di trattori, traendo da quell’aneddoto un insegnamento parabolico per tutti i musicisti che lo seguivano da casa: «meno c’è e meno si rompe». Tanto nei trattori come nella musica.

Musica sempre presente nella vita di Richard, militante nella scena beat e successivamente progressive rock italiana con la band “Buon Vecchio Charlie”. Agli inizi degli anni ‘70,  fece anche parte dello staff della trasmissione radiofonica “Per voi Giovani” di Renzo Arbore, che poi lo invitò, nel 1985, ormai nelle vesti di metallaro incallito, nel programma televisivo “Quelli della notte” includendolo nella look-parade condotta da Roberto D’Agostino.

Una vita ricca di amori, ultimo dei quali con la sua inseparabile compagna Ester Esposito. E poi le molteplici storie da lui narrate in tv e nei suoi concerti, molte delle quali inventate ma che a noi piace immaginare vere.

Come quella di sua nonna Marietta Toppi, originaria del paesino di Anticoli Corrado(RM), modella dell’Accademia delle Belle Arti di Roma e sposatasi con un pittore inglese J. B. Benson. Così come altre sei sorelle della famiglia Toppi tutte sposate con artisti dell’epoca che avevano stabilito un sodalizio artistico con il paesino rurale.

Il padre di Richard era stato anche modello per una pubblicità di una nota marca di rasoi, motivo per cui si trasferì in Italia con la famiglia e col figlio Richard. E sin da piccolo Richard aveva dimostrato passione per la musica, cosa che racconta in uno dei suoi famosi aneddoti televisivi in cui alla madre che lo rimprovera per aver passato, sin dall’età di otto anni, tutta la vita ad ascoltare dischi, lui risponde: «Lavora tu vecchiaccia, che c’hai la pelle dura, io sono creatura, non posso lavora’!».

Questo era Richard, una creatura che nella Roma ricolma di spazzatura, che riempie canali instagram e telegram con fatti di cronaca squallidi, tristi, ai confini dell’umanità, diventa un pagliaccio invece che un artista e un critico musicale. E lui lo era.

Roma lo aveva trasformato ne “er parucca” di quartiere, perché anche se sei ricco di contenuti è l’estetica che ti qualifica, i contenuti non interessano, fanno cambiare canale. E infatti Richard questo lo aveva capito, aveva i tempi televisivi giusti, con quella sua maniera rock’n’roll e dadaista di raccontare la musica e i fatti che la circondano.

In moltissimi appassionati di hard rock ed heavy metal stavano incollati alle sedie di casa di mammina ad ascoltare le sue recensioni di dischi vecchi e nuovi. Prima con il programma Ottava Nota e poi con Cocktail Micidiale. Anche Carlo Verdone lo aveva apprezzato e capito al punto da inserirlo nei panni di se stesso nel film “Maledetto il giorno che t’ho incontrato” e dedicargli poi un commosso necrologio sulla propria pagina facebook.

Ma al pubblico dei suoi ultimi concerti questo non importava, ciò che conta di più è tirare uova, pomodori e polli morti addosso a un artista, un po’ folle sì, ma che aveva tanto da dire. Del resto anche Iggy Pop con gli Stooges aveva avuto un periodo buio in cui la gente andava ai suoi concerti solo per tiragli di tutto, sputargli addosso e insultarlo.

Ma l’America non è l’Italia e Richard Benson non è mai diventato testimonial di Gucci. Anzi, invece di lanciarsi dal palco come faceva “L’Iguana”, il 15 settembre del 2000 si lanciò da ponte Sisto, facendo un volo di trenta metri, probabilmente per un tentativo di suicidio.

Pare fosse vittima di una profonda depressione a causa di una diagnosi di artrosi alla mano che gli avrebbe causato difficoltà nel suonare la chitarra. Nemmeno il Tevere lo volle con sé, cosa che gli fece notare un simpaticissimo fan a un suo concerto,  ma si ruppe una gamba e la caduta gli causò delle lesioni al volto.

Costretto negli ultimi anni a suonare dietro a una gabbia per proteggersi dal lancio di qualsiasi tipo di ortaggio e alimento, credo lo facesse più per dovere che per piacere e sono convinto che in cuor suo soffrisse molto di questa cosa.

Personalmente non ho mai amato e capito il divertimento nel trattare così un artista, specialmente quando è sul palco, anche se non si condividono i suoi gusti musicali. Il palco è sacro e non va violato e a tutti quelli che leggono e sono andati a un suo concerto solo per tirargli qualcosa voglio rispondere con una sua citazione tratta da un suo video: «schifosi vermi, strisciate per terra come gli ultimi, vi calpesto, ultimi degli ultimi, schifosi…io non li sopporto questi». Addio Richard, il rock si è fermato all’Alessandrino.