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Acqua bene comune: ancora sotto attacco i referendum.

L’AEEG reinserisce nei fatti la remunerazione del capitale in bolletta.

Poco prima di Capodanno l’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas (AEEG) ha inferto, con una decisione di natura burocratica e forse inappellabile, un altro duro colpo ai referendum del giugno 2011, quando il voto di oltre 27 milioni di cittadini aveva sancito che l’acqua è un bene comune e per tanto deve essere pubblica ed estranea a logiche di mercato.

Ma cosa è successo il 28 dicembre nelle segrete stanze dell’AEEG? Semplice, il nuovo piano tariffario riguardante il Servizio idrico integrato, con la formula “oneri finanziari”, nega di fatto il secondo quesito referendario, quello sulla remunerazione del capitale che impediva di fare profitto sulla distribuzione dell’acqua direttamente sulle bollette. Come se non bastasse nessuno dei gestori dell’acqua si è preoccupato di adeguarsi al referendum eliminando dalla bolletta il 7% , quello che riguarda proprio la remunerazione del capitale. A far rientrare dalla finestra la privatizzazione dell’acqua in un periodo di festa ci aveva già provato l’ultimo governo guidato da Silvio Berlusconi nell’agosto del 2011, provando a scavalcare il primo quesito referendario con un decreto legge poi giudicato incostituzionale. Poi ci hanno provato i comuni, con la scusa di far fronte ai tagli lineari della spending review, a cominciare dal tentativo di Alemanno di privatizzare il 21% di Acea, tentativo sventato dalla mobilitazione di opposizioni e movimenti. Ma a Trieste e Padova a privatizzare l’acqua è stato il centro sinistra, con Sel e Idv favorevoli, e la moblitazione di movimenti e cittadini non è bastata per evitare il passaggio delle multiutility cittadine a maggioranza pubblica al colosso dei servizi emiliano Hera.

Ancora una volta, istituzioni “tecniche” e politiche sembrano infischiarsene della volontà popolare. Ancora una volta, dietro “la tecnica” si nascondono precise indicazioni di natura politica. D’altronde, se una missiva proveniente dalla Bce può commissariare le politiche economiche e sociali interne rivoluzionando il quadro politico, figuriamoci quanto gliene può infischiare ai “mercati” di un referendum popolare! Ma il problema è questo: quel referendum è stato vinto dai comitati, da una mobilitazione carsica e capillare, contro tutto l’arco parlamentare e nonostante il silenziatore mediatico. Ancora una volta, attorno ai beni comuni e alla loro difesa si apre una questione di natura democratica: la sovranità popolare si è espressa, e non può essere espropriata con qualche sotterfugio.

L’Agenda Monti, ma anche quella Bersani se qualcuno ancora non se ne fosse accorto (ogni riferimento a Nichi Vendola è puramente casuale), prevedono la stessa amara ricetta per i beni comuni e i servizi: privatizzare, privatizzare, privatizzare. Un mantra ormai scassato, visto che ormai lo sanno anche i bambini che privato non vuol dire un servizio migliore e a costi più bassi, anzi.

Il Forum italiano dei movimenti per l’acqua ha convocato una giornata di mobilitazione nazionale per il prossimo 25 gennaio, diffusa territorio per territorio, e una due giorni di pressione sulle forze politiche che si candidano a governare il paese sui temi dell’acqua per l’8 e il 9 febbraio.