POTERI

À la guerre comme à la guerre. Note sullo stato d’emergenza in Francia

Lo stato d’emergenza è stato, dunque, formalmente dichiarato in Francia. Per anni siamo stati sommersi, fino all’asfissia, dalla letteratura e dalle retoriche sull’emergenza. Oggi, anche in Europa, ci troviamo di fronte ad un vero stato d’emergenza, sul piano giuridico e perciò materiale. Dalla fiction siamo passati al reality.

I padroni delle armi, sono anche padroni di far rimanere e non rimanere in vigore la costituzione.

Aristotele, Politica, VII (H), 9, 1328 b-1329 a

Ad ogni costituzione la sua emergenza

Dopo gli attentati di Charlie Hebdo, Hollande aveva risposto convocando una marcia repubblicana, provando cioè a mobilitare una parte della società francese. L’uso governativo della mobilitazione fu, già allora, estremamente problematico, con il preteso universalismo dei valori della République giocato a sostegno di una pericolosa rappresentazione delle due società. Oggi la risposta si configura come diametralmente opposta: alla mobilitazione del popolo si sostituisce la costruzione simbolica e materiale di uno spazio sociale e politico messo sotto custodia emergenziale, dunque desertificato.

In entrambi casi, però, il filo conduttore sembra essere lo stesso: il rimosso coloniale, e il tentativo di rispondere a un problema complesso con il riduzionismo proprio della logica della guerra. Il politico, per presentarsi nella forma mistificata della sua autonomia, necessita sempre della definizione di un nemico, insieme interno e esterno. Una risposta simmetrica a chi tenta, con una precisa strategia, di portare la guerra nel cuore dell’Europa.

Così, dopo la proclamazione dello stato d’urgenza, Hollande è andato oltre. Di fronte al Congresso riunito solennemente a Versailles, il Presidente della Repubblica, «tentando di darsi un tono virile», come ha osservato Judith Butler, ha chiesto una modifica della Costituzione della V Repubblica, per «consentire ai poteri pubblici di agire conformemente allo Stato di diritto contro il terrorismo di guerra». Nonostante il regime giuridico e costituzionale francese sia già dotato di diversi strumenti emergenziali, la proposta di Hollande vuole spingersi oltre, costituzionalizzando lo «stato d’urgenza» (état d’urgence), previsto dalla legge, n° 55-385 del 3 aprile 1955.

Questa legge dispone che il Consiglio dei Ministri, tramite decreto, possa dichiarare lo stato d’urgenza, autorizzando così le autorità amministrative, in particolare i prefetti, all’utilizzo di poteri eccezionali di polizia in diverse materie: la circolazione delle persone e dei veicoli, il soggiorno delle persone, le perquisizioni domiciliari di giorno e di notte, la chiusura dei luoghi pubblici, il divieto di riunioni, il sequestro di armi, il controllo della stampa e delle pubblicazioni di ogni natura. Lo stato d’urgenza ha durata di dodici giorni e la sua proroga deve essere autorizzata con legge parlamentare, come avvenuto mercoledì scorso. È la seconda volta che lo stato d’urgenza viene prorogato, nella storia della V Repubblica, dopo gli émeutes delle banlieue nel 2005.

Hollande nei lunghi, lunghissimi, anni del suo mandato, non si è certo distinto per originalità. Infatti, la proposta viene ripresa direttamente dal Comité Balladur, tredici esperti, o traducendo in italiota, saggi, incaricati nel 2007 da Sarkozy di redigere delle proposte di revisione costituzionale. Ne partorirono ben settantasette, destinate a rendere la Repubblique «più democratica», e tra queste c’era quella di iscrivere l’état d’urgence nella Costituzione, non recepita poi nella revisione costituzionale del 2008.

Va inoltre tenuta presenta la seconda proposta di Hollande: un «visa de retour» per i francesi con doppia nazionalità e condannati per terrorismo. L’unico precedente che si può riscontrare in materia è il decreto pétainista di revoca della naturalizzazione degli ebrei entrati in Francia a partire dal 1933, altro decreto pétainista. La storia del ministro vichysta che abolì il decreto Crémieux e poi divenne governatore dell’Algeria è esemplare per il continuismo della politica francese, di cui l’ambiguo Mitterand e lo sciagurato Hollande sono buoni testimoni.

Come si è detto, la Francia dispone già di diversi dispositivi emergenziali, anche di rango costituzionale. L’art. 36, che disciplina lo «stato d’assedio» (état de siège), prevede il trasferimento all’autorità militare di un certo numero di poteri di polizia, per dodici giorni prorogabili per legge, quando la Francia si trovi di fronte a una «grave crisi», una «guerra» o un’«insurrezione armata». L’art. 16, a sua volta prevede l’assunzione da parte del Presidente della Repubblica dei «poteri eccezionali», di fronte ad una minaccia «grave e immediata», che pesa sulle «istituzioni della Repubblica, l’indipendenza della Nazione, l’integrità dei suoi territori o sull’esecuzione dei suoi impegni internazionali». Nella storia francese si registra un solo caso di ricorso del Presidente ai poteri eccezionali, nel 1961, in occasione del colpo di Stato dei generali nella guerra d’Algeria, nel quale furono accordati a De Gaulle pieni poteri da aprile a fine settembre.

L’emergenza nella storia francese

Ma l’emergenza in Francia non comincia con la rottura «dall’alto» gaullista e la nascita della V Repubblica. Affonda le radici molto più lontano nel tempo, nella Rivoluzione del 1789. Ricostruirne la genesi e lo sviluppo, equivale a ripercorre le fasi e gli eventi più rilevanti della storia francese.

La logica emergenziale scandisce le tappe di questa storia, da un lato, essendo funzionale ai vari tentativi di neutralizzazione del potere costituente, dall’altro, segnando i momenti della rimozione coloniale.

Tra il 1789 e il Termidoro, possiamo parlare di un uso rivoluzionario dell’emergenza, in particolare dell’istituto dello stato d’assedio. Se nelle prime costituzioni (quella del 1791, e poi quella giacobina del ’93) l’emergenza era associata al diritto di resistenza del popolo contro eventuali tentativi di rovesciare l’ordine instaurato dalla rivoluzione, dopo il 1795, la ratio dell’istituto viene del tutto capovolta. Lo stato d’assedio (état de siège), introdotto con un decreto dell’Assemblea Costituente l’8 luglio 1791, viene così finalizzato ad un uso politico «interno». Dal diritto di resistenza verso l’oppressore, dal popolo in armi, si passa alla lotta contro il nemico politico interno. All’incorporazione della macchina da guerra all’interno di un apparato di cattura. L’utilizzo ai fini interni, cioè lo stravolgimento dell’istituto, avviene con il Termidoro, poi il colpo di Stato di Napoleone Bonaparte e, infine, con la Restaurazione.

Con la legge direttoriale del 27 agosto 1797, e poi con il decreto napoleonico del 24 dicembre 1811, viene infatti introdotta per la prima volta la distinzione tra lo stato d’assedio «fittizio» (état de siège fictif) e lo stato d’assedio «politico» (état de siège politique). Fin da subito la proclamazione dello stato d’assedio sarà strettamente legata alla possibilità di sospendere la costituzione (anche se ci troviamo ancora di fronte a costituzioni dotate di un certo grado di flessibilità). Ogni situazione di crisi costituzionale, d’ora in poi, sarà scandita dall’entrata in vigore di questo istituto.

Dopo i moti del 1848 e la caduta della Monarchia di Luglio, l’Assemblea Costituente decretava a Parigi lo stato d’assedio e assegnava al generale Cavaignac il compito di ripristinare l’ordine nella città. La Costituzione del 4 novembre 1848, art. 16, stabiliva che «Una legge determinerà i casi nei quali lo stato di assedio potrà essere dichiarato, e regolerà le forme e gli effetti di questa misura». Ma con la costituzione del 14 gennaio 1852, Napoleone III attribuì a sé stesso il potere esclusivo di proclamare lo stato d’assedio.

Con la guerra franco-prussiana e con l’insurrezione della Comune di Parigi lo stato d’assedio venne proclamato in quaranta dipartimenti della Francia. Solo dopo il tentato colpo di Stato da parte di Macmahon, nella primavera del 1877, lo stato d’assedio fu rimesso nelle mani del parlamento (legge del 4 aprile 1878, art. 1).

Il periodo delle due guerre mondiali vide moltiplicarsi i momenti di instaurazione dello stato d’assedio, accanto all’introduzione di altri strumenti, tutti nel segno di un maggiore accentramento del potere in capo agli esecutivi. Nel 1940, nella Francia già occupata dai nazisti, l’atto costituzionale dell’11 luglio attribuiva al maresciallo Pétain il potere di proclamare lo stato d’assedio su tutto il territorio nazionale, che era in parte già occupato dai nazisti. Una farsa dopo la tragedia.

Infine, con i referendum “costituenti” gaullisti e la nascita della V Repubblica, si arriverà alle due disposizioni (artt. 16 e 36) ancora vigenti. L’art. 16, trova il suo antecedente nell’art. 48 della Costituzione di Weimar, una norma costituzionale che, come molti osservarono alla luce della sua concreta applicazione, ebbe come esito quello di legalizzare un colpo di Stato.

La legge n° 55-385 del 3 aprile 1955, introduceva, invece la possibilità di decretare lo stato d’urgenza, situazione che si verificherà nel corso della guerra d’Algeria, dal 1955 al 1961, nel territorio coloniale dell’Algeria francese, nel territorio occupato in Kanaky e, infine, nel 2005, durante la rivolte delle banlieue, prima volta in cui lo stato d’urgenza ha investito il territorio della Francia metropolitana.

Dittatura costituzionale

Nonostante questa fitta trama di dispositivi emergenziali, Hollande vuole procedere ad un’ulteriore revisione della Costituzione. La proposta è stata salutata da alcuni come un tentativo di introdurre una disciplina maggiormente garantista in tema di emergenza.

I due articoli – 16 e 36 – non sarebbero adatti alla situazione che la Francia si trova oggi a fronteggiare. Sarebbe così necessario definire un nuovo dispositivo, in grado di rispondere al «terrorismo di guerra», definizione singolare quanto emblematica della definitiva rottura dei confini tra guerra «esterna» e guerra «interna».

Un dispositivo di guerra nel quale l’esterno e l’interno si intrecciano, fino a diventare indistinguibili, ma costituzionalmente garantito, e che a differenza dello stato d’assedio possa assicurare il funzionamento dei poteri pubblici. Un dispositivo che, senza trasferire i poteri civili all’autorità militare, consenta alla Francia di essere in guerra, all’esterno e soprattutto all’interno del suo territorio. Un vero e proprio regime costituzionale di riserva, o d’emergenza – anche qui, il paragone storico più calzante rimane la Costituzione di Weimar.

Ma senza scomodare Carl Schmitt, e gli spettri che l’epimeteo cristiano sempre porta con sé (anche se il rapporto di distinzione e, insieme, di co/implicazione tra dittatura commissaria e dittatura sovrana resta di grande rilievo analitico) possiamo rifarci ad un giurista e politologo che dalla Germania nazista era fuggito, Carl J. Friedrich, e che ha studiato il rapporto tra emergenza e costituzione nel secondo dopoguerra: «Tutto sommato, le disposizioni quasi dittatoriali dei sistemi costituzionali moderni, siano essi la legge marziale, lo stato d’assedio o i poteri d’emergenza costituzionali, non possono realizzare controlli effettivi sulla concentrazione dei poteri. Di conseguenza, tutti questi istituti rischiano di essere trasformati in sistemi totalitari, se si presentano condizioni favorevoli».

Riprendendo gli studi di Friedrich, il regime costituzionale di riserva che si vorrebbe introdurre in Francia, evoca la figura della dittatura costituzionale, una forma di accentramento dei poteri e di sospensione delle libertà volta a ripristinare un ordine minacciato. Come dire, per combattere contro chi vuole abbattere le «nostre» libertà, occorre sospenderle. Per sconfiggere il califfato occorre una dittatura. E’ noto poi, a chiunque si sia minimamente occupato del tema, che risulta difficile, nel caso della dittatura, distinguere tra conservazione dell’ordine e sua trasformazione. Il rapporto tra legalità e legittimità, nel momento dittatoriale, non rispetta un rapporto di causa-effetto, né valgono le vuote tautologie del formalismo: la sospensione della legalità porta con sé, sempre, la ricerca di un nuovo principio di legittimità. Lo schema catecontico mostra tutti i suoi limiti, né si può rispondere ad esso con facili retoriche escatologiche.

È evidente, nello stesso tempo, che stiamo assistendo, e probabilmente sempre di più assisteremo nei prossimi mesi, al moltiplicarsi di dispositivi d’emergenza. Questo non deve indurci a pensare che si produrrà una completa omogeneizzazione dello spazio giuridico e politico. Al contrario, come sempre accade nei contesti emergenziali, invece che trovarci di fronte ad uno spazio a-nomico, la situazione sarà esattamente opposta: un’ipertrofia normativa, che produrrà il moltiplicarsi, a livello europeo, di dispositivi, regolamenti e procedure amministrative, leggi speciali, proposte di revisione costituzionale, stati d’emergenza di fatto e contingenti. Inoltre, non c’è linearità nel rapporto, da un lato, tra guerra e democrazia, dall’altro tra Stato e mercato. Per fare un esempio, si veda lo scontro ancora in corso tra Fbi e Apple sulla decriptazione dei dati. I nemici dell’umanità usano l’iphone, ma Apple per adesso non concede l’autorizzazione ad accedere ai dati criptati del suo sistema operativo, perché ciò nuocerebbe al profitto. Difficilmente, in un tale contesto, la coppia sovranità-eccezione potrà essere ricondotta alla figura unitaria di un sovrano che decide.

Ma al di là delle questioni tecniche e dottrinarie, il punto è un altro. L’emergenza, come dimostrano il Patriot Act e il Military Order statunitensi, conduce, anche sul piano della guerra, all’esatto opposto rispetto allo scopo conclamato di combattere il terrorismo. Le tute arancioni fatte indossare ai prigionieri dell’Isis che riproducono fedelmente quelle dei prigionieri di Abu Ghraib e di Guantanamo, ne costituiscono una macabra conferma.

Se n’è accorto persino Sergio Romano, nelle pagine del Corriere della Sera: «La proclamazione dello stato d’urgenza punta il dito inevitabilmente contro le comunità musulmane e i loro quartieri, fa di ogni maghrebino, in molte circostanze e in alcune ore della giornata, l’individuo sospetto che sarà legale fermare, interrogare, perquisire, trattenere». Lo stato d’emergenza, con ogni probabilità, faciliterà il reclutamento da parte dell’Isis nelle metropoli europee.

La lotta contro lo stato d’emergenza va assunta oggi come una battaglia centrale. È necessario non cedere alla paura o, peggio, rispondere all’emergenza con una logica che ne riproduca la sua stessa razionalità. È molto importante che sabato scorso, a Marsiglia, mentre in altri luoghi della Francia veniva sperimentato addirittura il coprifuoco, un corteo si sia mosso per le strade della città.

Solo opponendoci alle misure emergenziali, affermando la nostra libertà e agibilità politica, potremo migliorare la nostra posizione nella lotta contro i fascismi.